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analizzata nella letteratura scientifica […]. Ci limiteremo a notare che possono triplicarsi sia singoli dettagli
di carattere attributivo (le tre teste del drago), sia funzioni singole, appaiate (persecuzione-salvataggio), a
gruppi, come pure intieri movimenti. La ripetizione può essere uniforme (tre compiti, servire tre anni), o in
crescendo (il terzo compito è il più difficile, il terzo combattimento è il più arduo), oppure possiamo avere
un risultato due volte negativo e la terza positivo». 45
Nel caso di Liombruno, il soggetto iniziale del racconto è il pescatore;
l’oppositore, invece, è il Nemico, come suggerisce il nome.
La prima funzione individuabile nella fiaba è quella in cui l’antagonista pone
un tranello (j) al primo protagonista: il patto con il Diavolo, infatti, prevede
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che a quest’ultimo venga ceduto il figlio «che nascerà a breve» e che al
pescatore venga garantita una pesca sempre fruttuosa. Il contratto viene
accettato dal vecchio, convinto che la moglie non possa più avere figli; la
1
funzione consequenziale a j è, quindi, quella relativa alla connivenza (y ), al
prestare consenso al patto stipulato.
Come già accennato, nonostante l’età avanzata dei genitori, Liombruno
nasce – come previsto dal Nemico – e il contratto si dimostra ancora valido.
Giunto il nuovo – e reale – soggetto del racconto all’età di tredici anni, il
padre è obbligato a tener fede all’accordo stipulato con l’antagonista, per cui
il bambino viene abbandonato sulla riva del mare, momento nel quale va
collocata la pericope riguardante la scena delle croci.
8
Il Nemico tenta un danneggiamento (X ) del protagonista, in una forma che
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«appare come conseguenza di un patto fraudolento» : l’antagonista esige
la sua vittima, la sua “parte” del contratto.
Il divincolamento da questa condizione avviene attraverso la comparsa di
un’aquila, la quale prontamente conduce l’eroe presso la sua dimora. Segue,
quindi, l’allontanamento (e) del protagonista dal paese natale.
Il distacco da casa dell’eroe dura un tempo indefinito, come comunemente
avviene con l’ellissi di una porzione di testo. L’aquila, trasformatasi nella
Fata Aquilina, sposa il protagonista e fa sì che questo sia istruito nelle arti e
nel maneggio di armi. 1
Segue la prima funzione del donatore (D ), in cui la Fata consegna un rubino
al protagonista, ponendogli un divieto (k): essa intima, infatti, all’eroe, di
119 I. C , Fiabe italiane cit., p. 594.
ALVINO
120 V. J. P , Morfologia della fiaba cit., p. 39.
ROPP 46
tornare a casa entro un anno e di non rivelare la sua identità nel caso in cui
fosse richiesta:
– Vai pure, e porta ai tuoi vecchi genitori la ricchezza, - disse la Fata, - ma
per la fine dell’anno devi tornare da me. Tieni questo rubino: tutto quello che
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domanderai l’avrai. Ma devi guardarti dal rivelare che sono la tua sposa.
1
Dopo la fornitura del mezzo magico (Z ) si colloca il ritorno (↓) del
protagonista, desideroso di riabbracciare i genitori, al paese natale. Questa
funzione potrebbe anche essere sostituita, leggendo il testo con maggiore
0
attenzione, con quella relativa all’arrivo in incognito ( ):
Al paese di Liombruno quando videro arrivare un cavaliere così riccamente
armato e vestito la gente gli fece ala. E lo videro scendere di sella alla porta
del vecchio pescatore. – Che volete da quella povera gente? – gli chiesero,
ma Liombruno non diede loro retta. Venne ad aprire la madre, e Liombruno,
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senza palesarsi, domandò alloggio.
L’eroe, ottenuto alloggio presso la dimora paterna, andata in rovina dopo la
sua scomparsa, chiede al rubino di trasformare la vecchia capanna in un
palazzo. La mattina successiva i genitori, svegliatisi «in un letto così
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morbido che ci affondavano dentro» , chiedendo spiegazione di questo
miracolo al cavaliere sconosciuto, riconoscono il figlio perduto: avviene,
quindi, il processo di identificazione (I) del protagonista.
Liombruno, allontanatosi nuovamente dal luogo natio per tornare al castello
della Fata Aquilina, giunge in una città e partecipa ad una giostra
cavalleresca, uscendone vincitore per tre giorni consecutivi. Dopo aver
tentato la fuga per non ricevere il premio della contesa – la mano della figlia
del Re – Liombruno viene fermato dalle guardie ed è obbligato a spiegare la
motivazione per la quale non può riscuotere il premio.
121 I. C , Fiabe italiane cit., p. 596.
ALVINO
122 Ibidem.
123 Ibi, p. 597. 47
A seguito di un momento di imbarazzo della principessa – causato
dall’umiliazione scaturita dall’eroe stesso che parla della sua sposa come
«mille volte più bella» della donna – Liombruno è costretto ad utilizzare il
rubino per mostrare in pubblico la sposa di cui tanto aveva parlato. È qui che
si colloca l’infrazione (q) del divieto imposto dall’essere magico: la Fata
scompare e diviene l’oggetto della ricerca del protagonista.
Ma la Fata Aquilina s’avvicinò a Liombruno e facendo atto di prendergli la
mano gli portò via il rubino, esclamando: – Traditore! Tu m’hai perduta, e
non mi ritroverai più a meno che tu non consumi sette paia di scarpe di ferro,
124
– e sparì.
L’eroe si reca presso un fabbro e si fa fornire le sette paia di scarpe.
Successivamente, tenuto a mediare in una contesa tra tre ladri, Liombruno
8
ruba a ciascuno un mezzo magico (Z ), ossia una borsa che «ogni volta che
la si apre mette fuori cento ducati», «un paio di stivali che chi li calza corre
d’un miglio avanti al vento» e «un mantello che rende invisibile chi lo
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porta».
Corso via dal bosco in cui si trovavano i tre malfattori, Liombruno giunge
presso la Casa dei Venti di cui si è già parlato: a divenire il nuovo aiutante è
Scirocco, che non solo fornisce all’eroe indicazioni sul cammino da
percorrere per giungere al palazzo della Fata, ma lo accompagna
direttamente sul posto. Avviene, in tal modo, il trasferimento nello spazio
tra due reami (R) e l’eroe viene condotto sul luogo in cui si trova l’oggetto
della sua ricerca.
Giunto a palazzo, Liombruno utilizza il mantello per rubare il caffè e la
cioccolata destinati alla Fata, sconsolata per gli avvenimenti recenti. Lo
sposo, infine, si palesa all’amata: nonostante le nozze tra i due siano già state
celebrate, il racconto termina con la funzione relativa alle stesse, trovandoci
124 Ibi, p. 599.
125 Ibidem. 48
nel caso in cui «un eroe già sposato perde la moglie» e, «in seguito alle
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ricerche», «si rinnova l’unione» (n ).
In Cannelora, nella prima porzione della fiaba il soggetto presentato è
costituito dal Re, che manda a gridare un bando per trovare un modo per far
sì che sua moglie, sterile, partorisca un figlio.
L’oggetto del desiderio del Re è quindi la speranza che, con l’ausilio di
persone terze, possa ottenere una discendenza. Accorre prontamente, con un
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rimedio inusuale tipico dei racconti di fate, un «vecchio lacero e barbuto» ,
che consiglia al sovrano di pescare un drago marino – un evidente mezzo
magico – e far bere la zuppa da esso ricavata alla Regina.
Il mandante, colei che conduce il soggetto verso l’oggetto del desiderio, è la
cuoca di palazzo che, cucinata la zuppa, partorisce nello stesso momento
della Regina un altro bambino, avendo inalato l’odore del piatto durante la
sua preparazione.
I due fanciulli – Emilio, figlio della regina; Cannelora, protagonista e figlio
della cuoca – crescono volendosi bene come fratelli. Il momento di rottura è
determinato dall’invidia della Regina, infastidita dal fatto che tra i due non
ci siano differenze e impaurita dall’eventualità che Emilio possa «diventare
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più intelligente e fortunato del Principino vero». La novella antagonista –
sebbene rivesta questo ruolo solo per il tempo necessario affinché la vicenda
si dispieghi propriamente – lancia una pallottola rovente in testa a Cannelora
che, a seguito di questo tentativo di danneggiamento, decide di partire ()
per cercar fortuna.
L’eroe, lasciata al gemello una fontana e una mortella – create entrambe da
due colpi di spada – comincia il suo peregrinare. Giunto, lo stesso, poi, a un
bivio tra un bosco e «le altre parti del mondo», fa la conoscenza di due
ortolani:
126 V. J. P , Morfologia della fiaba cit., p. 69.
ROPP
127 I. C , Fiabe italiane cit., p. 603.
ALVINO
128 Ibi, p. 604. 49
Dove le due vie si separavano c’era un orto e nell’orto due ortolani che
litigavano e stavano per venire alle mani. Cannelora entrò nell’orto e
domandò la ragione del litigio. – Ho trovato due piastre, - disse uno, - e questo
mio compagno ne vuole una perché era vicino a me quando l’ho trovata. –
L’ho vista prima io, – dice quell’altro, – o almeno l’abbiamo vista insieme.
Cannelora cavò fuori di tasca quattro piastre e ne dette due a quello che aveva
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già trovato le altre due e due al suo compagno.
Ci troviamo di fronte alla funzione corrispondente alla reazione dell’eroe
all’operato dei futuri donatori: l’eroe «esegue la spartizione e rappacifica i
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litiganti» (E ) e, grazie al suo operato, gli vengono fornite indicazioni per
il conseguimento dell’obiettivo.
Imboccata la via giusta, Cannelora ferma due ragazzacci dal tagliare la coda
ad una serpe che subito striscia via: calata la notte, il protagonista incontra
una giovane fanciulla che si palesa all’eroe dicendogli essere proprio la serpe
che lui aveva salvato.
Passata la notte presso il domicilio della Fata serpentina, Cannelora riprende
il suo viaggio e, giunto presso un bosco, comincia a seguire una cerva dalle
corna d’oro fino a quando, scoppiato un temporale, è obbligato a rifugiarsi
in una grotta. In questa sede si colloca l’arrivo del nuovo antagonista,
anch’esso sotto sembianze serpentine:
Cannelora guardò fuori e vide una serpe. Sapeva che aiutare le serpi gli
portava fortuna e disse: – Vieni, accomodati pure. – Sai, – disse la serpe, – ho
paura che il cane mi morda. Non potresti legarlo? Cannelora lo legò. – Vedi,
– disse la serpe, – il cavallo potrebbe calpestarmi coi suoi zoccoli.
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