Hanno anche loro, tuttavia, un ruolo passivo rispetto alle vicende che gli ac-
cadono, poiché, più che essere loro a trascinare lo scorrere degli eventi du-
rante il loro svolgimento, vengono trascinati essi stessi lungo le pagine delle
fiabe, come affermato a riguardo da Giovanni Getto, il quale ritiene che “nel
Pentamerone l’uomo trionfa per un giuoco di forze a lui estranee, anche se a
lui propizie. In queste fiabe l’uomo è un ingranaggio di un meccanismo in
14
moto, una componente di un sistema di forze” .
Bisogna inoltre notare il motivo per il quale Vardiello viene ritenuto pazzo a
tal punto da essere rinchiuso in un manicomio. La mamma, infatti, ha il timore
che egli possa raccontare in giro, sciocco com’è, della pentola d’oro che è
stata ritrovata:
«La mamma, visto li scuti e sapenno ca lo figlio averria sprubecato lo fatto, le disse
che fosse stato a pede la porta pe quanno passava lo caso recotta, ca le voleva accat-
tare no tornese de latto. Vardiello, ch’era no pappone, subeto se sedette nmocca la
porta; e la mamma fece grannanejare pe chiù de mez’ora da la fenestra chiù de seje
rotola de passe e fico secche. Le quale Vardiello adonanno, strillava: «O mamma, o
mamma, caccia concole, miette cavate, apara tinelle; ca, sì dura sta chioppeta, sar-
15
rimmo ricche!» .
14 G. Getto, Il Barocco letterario in Italia, Bruno Mondadori, Milano, 2000, p. 307.
15 G.B. Basile, Lo cunto de li cunti. Con testo napoletano e traduzione a fronte, Garzanti,
Milano, 2013, p. 102. 44
Mentre lo stolto figlio veniva distratto per opera della madre, un altro episodio
avviene a fare in modo che egli venga definitivamente riconosciuto non solo
come ignorante, ma anche come persona affetta da gravi disturbi mentali:
«Occorze che no juorno, facenno a costejune dui lavorante, esche de corte, pe na
pretennenzia de no scuto d’oro trovato nterra, ce arrivaje Vardiello, e disse: «Comme
site arcasene a litechiare pe no lupino russo de chisse, de li quali io non ne faccio
stimma, pocca n’aggio trovato na pignata chiena chiena!» La corte, nteso chesto,
aprennoce tanto d’uocchie, lo nzammenaje, e disse: comme, quanno e con chi avesse
trovato sti scute? A lo quale respose Vardiello: «L’aggio trovato a no palazzo, drinto
n’ommo muto, quanno chiovettero passe e fico secche». Lo jodece, che ntese sto
sbauzo de quinta nmacante, adoraje lo negozio e decretaje, che fosse remisso a no
16
spitale, comme a jodece competente sujo» .
La follia di Vardiello viene percepita come tale perché egli crede a qualcosa
di impossibile e fantastico, a qualcosa che avviene soltanto nelle fiabe. Mi-
chele Rak ha parlato dell’accezione di questo personaggio di andare alla ri-
cerca di quel minimo barlume di assurdità presente nel mondo fiabesco, con
il suo conseguente bisogno di stare con le orecchie tese e gli occhi pronti a
17
seguire il manifestarsi dell’impossibile e trarne vantaggio” .
Il ritrovamento di una pentola ricca di monete d’oro all’interno di una statua,
una pioggia d’uva passa e fichi secchi, sono avvenimenti che possono avere
luogo soltanto in un mondo dominato sotto tutti i punti di vista dalla logica
fiabesca, di cui Vardiello va alla ricerca, senza però avere successo.
Egli stesso conduce la propria vita come se abitasse all’interno di una fiaba,
in quanto vede il mondo in maniera diversa rispetto a tutti gli altri personaggi
del suo racconto. Egli è un “estraneo” rispetto agli altri perché ragiona come
16 Ivi. pp. 102-103
17 M. Rak, Il racconto fiabesco, in G.B. Basile, Lo cunto de li cunti. Con testo napoletano e
traduzione a fronte, Garzanti, Milano, 2013, p. 52.
45
farebbe Peruonto, il quale non si stupisce del suo potere di saper trasformare
uno scoglio in un palazzo, o Moscione, che in un mondo dominato da forze
magiche osserva senza stupirsi le gesta e le abilità dei suoi fantastici amici,
oppure di Nardiello, che acquista per una cifra sconsiderata degli animali, che
soltanto successivamente riveleranno i propri poteri magici.
Potremmo dire che Vardiello è uguale a tutti gli altri stolti fiabeschi di Basile,
ma la sua sfortuna è di abitare un mondo in cui la sua follia non si mescola
alla stessa che permea ogni ambiente della realtà circostante, perché la sua
realtà è più simile alla nostra che a quella degli altri protagonisti ignoranti
precedentemente citati.
III. Imparare dai propri errori
Un discorso a parte, rispetto a tutti gli altri personaggi citati, andrebbe fatto
per il primo passato in rassegna tra di loro, quello di Antuono. Anche la fiaba
di cui egli è protagonista è composta al suo interno da vicende irreali, la cui
narrazione si sviluppa grazie alla presenza di oggetti magici, nonché dalle
azioni rilevanti di un personaggio fantastico, ossia il mostruoso orco, figura
peraltro spesso ricorrente nelle fiabe basiliane. Antuono riesce a dare un senso
al viaggio da lui compiuto, al termine del quale ottiene un riscatto dal punto
di vista economico, ma soprattutto per quanto riguarda la propria dignità di
essere umano.
Uno stolto come lui è stato facile preda delle cattiverie e degli inganni da parte
di una persona pronta ad approfittarsi dei più deboli. Antuono riesce però a
comprendere gli sbagli da lui commessi, che gli hanno causato i rimproveri
dell’orco, il quale non le ha certo mandate a dire al suo sciocco amico. “Asca-
deo, mamma–mia–'moccame–chisso, vozzacchio, sciagallo, tadeo, verlascio,
18
piezzo d'anchione, scola–vallane, nsemprecone, catammaro e catarchio” ,
18 G.B. Basile, Lo cunto de li cunti. Con testo napoletano e traduzione a fronte, Garzanti,
Milano, 2013, p. 38. 46
sono solo alcuni degli epiteti rivolti ad Antuono per via della sua ignoranza e
imprudenza.
Tuttavia, il protagonista, come detto in precedenza, apprende dai suoi sbagli,
comprendendo quale sia l’azione corretta da compiere per beffare alla stessa
maniera chi lo aveva precedentemente beffato. Non è stato necessario l’inter-
vento diretto di elementi o personaggi dai poteri magici, né lo è stato dedicarsi
giorno e notte al duro studio.
A smuovere la vicenda e la sorte del protagonista è stato l’ingegno che in lui
è maturato, attraverso le esperienze vissute. Viaggiando e confrontandosi con
altre persone, anche se mal intenzionate, Antuono ha potuto capire come sia
difficile stare al mondo, specialmente per una persona poco accorta come lui.
Gli è stato dunque necessario fare uno sforzo d’ingegno mai fatto prima di
allora e solo in questo modo egli ha potuto superare sfide che altri personaggi
dalle sue stesse caratteristiche hanno oltrepassato soltanto grazie ad un inter-
vento magico dall’esterno.
La magia ha comunque un ruolo centrale per la risoluzione degli eventi nar-
rati, come dimostrato dalla sequenza finale in cui Antuono riesce ad abbattere
la forza magica del bastone sull’ingannevole oste. Tuttavia, tale aspetto è solo
di contorno rispetto al motore e mezzo principale che porta alla risoluzione
positiva per la sorte del protagonista, che consiste nell’ingegno in lui maturato
grazie alle esperienze vissute. 47
IV. La trasmissione del genere fiabesco. Il confronto con i rac-
conti di Jacob e Wilhelm Grimm
L’eredità del genere fiabesco e dei suoi canoni estetici e narrativi venne rac-
colta da numerosi autori in tutto il mondo. Questo genere presentava un mo-
dello che si sarebbe diffuso nelle tradizioni del racconto europeo attraverso
19
differenti canali, spesso estranei a quelli delle società letterarie .
Le tematiche poste in risalto da Basile nel Pentamerone verranno, senza
troppe problematiche, riadattate per la realizzazione di racconti simili, anche
in contesti sociali ben differenti rispetto alle corti seicentesche del Regno di
Napoli, seppur in forma irregolare e discontinua. Allo stesso modo, vengono
anche riadattate le figure dei protagonisti delle fiabe napoletane, con i loro
comportamenti e le loro caratteristiche, ormai racchiuse all’interno di speci-
fici canoni. Uno di questi personaggi è quello del protagonista ignorante, l’an-
tieroe per eccellenza.
Nelle fiabe dei fratelli Grimm questo personaggio viene presentato con l’ap-
pellativo di Grullo, il quale è al centro delle vicende narrate nei racconti inti-
tolati: La regina delle api, Le tre piume e L’oca d’oro. Ciascuno di essi è
rispettivamente il minore di tre fratelli e la loro mancanza di adeguate capacità
intellettive li rende figure da lasciare in disparte e da non coinvolgere in ogni
azione o discussione che riguarda i membri della loro stessa famiglia.
Nelle tre fiabe i fratelli maggiori, ritenuti più accorti e giudiziosi, vanno alla
ricerca di avventure, con lo scopo finale di diventare re o di sposare una bel-
lissima principessa, ambizioni irrealizzabili e inaccessibili per il Grullo.
19 M. Rak, Da Cenerentola a Cappuccetto rosso. Breve storia illustrata della fiaba barocca,
Milano, Bruno Mondadori, 2007, p. 63. 48
«Il Grullo andò in cerca dei suoi fratelli e quando finalmente li trovò, essi lo scher-
nirono, perché, sciocco com’era, voleva farsi strada nel mondo, mentre loro due non
20
ne venivano a capo, pur essendo molto più accorti» .
A partire da questo contesto di discriminazione, ciò che permette loro di ol-
trepassare le barriere che gli sono state imposte è l’intervento di creature ma-
giche o meravigliose, come ad esempio l’oca d’oro dell’omonima fiaba, che
permetterà al Grullo di sposare una principessa, animale che egli ha ricevuto
come dono da un anziano mendicante.
I limiti cognitivi sottolineati nelle fiabe non vengono descritti dettagliata-
mente e in realtà il lettore non sa nemmeno se tali limiti dipendano da un
effettivo deficit mentale, oppure da un’eccessiva ingenuità o da scarso buon
senso, caratteristiche che del resto racchiudono il significato del termine
“grullo”, anche se noi oggi useremmo sinonimi quali “stolto” o “stupido”.
Ciò che però conta sottolineare è come queste figure ottengano riscatto al ter-
mine di ciascuna delle tre fiabe, riscatto che, ad eccezione di Le tre piume, è
concesso a causa della bontà d’animo da essi dimostrata. Bisogna inoltre sot-
tolineare come i gesti positivi da loro compiuti sono rivolti a figure che, come
i protagonisti dei racconti, sono deboli e soggetti alle prepotenze altrui, come
il vecchio mendicante che troviamo in L’oca d’oro, oppure come gli animali
indifesi oggetto d
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