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LA MORA NEL DIRITTO ROMANO
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L’ADEMPIMENTO E L’INADEMPIMENTO MORA E RISARCIMENTO
1 Premesse adempimento – inadempimento un quadro generale
Lo schema obbligazionario prevede due o più soggetti coinvolti che ricoprono il ruolo di
creditore e debitore e nelle fonti romane tutte le regole più importanti in materia di
adempimento, inadempimento e responsabilità appartengono al novero delle obbligazioni da
atto lecito.
Il modo principale di estinzione di un’obbligazione è l’adempimento la c.d. Solutio, Ulpiano
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a riguardo definisce l’adempimento solvere dicimus eum, qui fecit quod facere promisit.
Quello che era stato promesso, seguendo l’orientamento accreditato, affermava che il
debitore dovesse usare la diligentia ordinaria o media, quella dell’uomo comune quella del
pater familias. A riguardo bisogna però puntualizzare che nei contratti protetti da azioni c.d.
di buona fede, dove il debitore non andava a ricavare utilità, come nel caso del deposito,
non si richiedeva la diligenza ma altresì una condotta che non procurasse nocumento al
creditore; al contrario, quando la parte ricavava diretta utilità, era necessaria una diligenza
esatta assunta come quella del bonus vir o del bonus pater familias, l’uomo di valore, più
alto dell’uomo medio. La diligenza esatta o esattissima comportava un dovere di cura ed
attenzione verso la cosa tale da evitare danni che potessero essere ricondotti al soggetto o a
terzi, ne è un esempio il comodatario che doveva preservare la cosa da furto; il conduttore
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doveva evitare che altri danneggiasse la cosa o tagliasse alberi . In questi casi non era
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chiesto al debitore di resistere alla violenza .
Solitamente si nota che l’inadempimento poteva avere diverse specie: dall’omissione (totale
o parziale) della prestazione alla distruzione o danneggiamento della cosa, alla cattiva
esecuzione dell’opera sino al ritardo.
Il caposaldo unico ed imprescindibile rimaneva che la condotta che portava
all’inadempimento produceva un danno al creditore, principio dunque che comportava la
responsabilità del debitore per danno connesso ad un comportamento a lui imputabile. Il
debitore poteva estinguere l’obbligazione (oltre che con l’esecuzione di quanto dovuto, via
naturale per il soddisfacimento del creditore) qualora la stessa fosse divenuta impossibile
per fatto a lui non imputabile non andando a ingenerare così alcuna responsabilità salvo che
egli non fosse in mora. L’impossibilità poteva avere causa giuridica, come se Tizio avesse
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promesso di dare un fondo e, sine facto eius, la cosa era diventata sacra ; oppure da una
causa naturale, come la morte, che andava a determinare il perimento dell’oggetto di
obbligazione. A tal riguardo è giusto specificare che l’oggetto dell’obbligazione doveva
essere una cosa certa e individualmente determinata o far parte di un genere limitato senno
genus numquam perit e quindi l’obbligazione non si estingueva perché il debitore poteva
trovare “una sostituzione”. Pagina
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Viceversa, secondo una regola attribuita ai giuristi veteres , quando la prestazione diveniva
impossibile per fatto imputabile al debitore c.d. factum debitoris perpetuava l’obbligazione:
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Si per debitorem steterit quominus res detur perpetuatur obbligatio .
In principio il raggio applicativo di questa regola era delimitato alle c.d. obbligazioni di dare
senza che vi fosse omissione ma bensì un atto positivo. Tizio si era obbligato, con
stipulazione, a dare a Caio il suo servo; prima che egli adempisse (ma senza essere in mora),
lo schiavo si era ammalato. Tizio aveva trascurato di curarlo e lo schiavo era morto. Tizio
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aveva responsabilità? Doveva corrispondere il controvalore? . La risposta fu, almeno
inizialmente, negativa perché l’obbligazione era di dare, non di fare e il fare non poteva
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essere incluso in un dare .
Se l’obbligazione era divenuta impossibile per fatto del debitore, la obbligazione si
perpetuava; come avrebbe altrimenti il giudice potuto evitare l’applicazione del principio ad
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impossibilia nemo tenetur che portava all’assoluzione per prestazione oggettivamente
impossibile condannando così il debitore al valore pecuniario della cosa in riferimento al
momento della contestazione della lite; da qui la creazione da parte dei giuristi di un
sapiente artifizio tale da far si che l’obbligazione si fosse perpetuata come se la cosa non si
fosse mai estinta.
Come anzidetto l’inadempimento ingenerava responsabilità nel debitore se ad esso
imputabile; in linea con i diversi gradi di diligenza, differenti erano anche i criteri di
imputazione di responsabilità:
- Dolus Malus, il debitore rispondeva solo se l’inadempimento era dipeso da dolo,
- Custodia, il debitore traeva vantaggio dalla condotta e la responsabilità
“oltrepassava” il dolo, il debitore era liberato solo se l’inadempimento era dipeso da
caso fortuito o forza maggiore,
- Culpa, che si può definire come imprudenza, negligenza e imperizia, per stabilire la
colpa di un debitore, lo si paragonava a se stesso, cioè si confrontava il
comportamento tenuto come debitore con quello che egli normalmente teneva con le
proprie cose.
La Mora – premesse
Come è stato analizzato l’obbligazione era composta da due o più soggetti: creditore e
debitore con diritto assoluto potenzialmente perpetuo in capo al primo perché l’obbligazione
nasce per essere estinta e questo ne è il suo naturale decorso tranne per alcuni casi
eccezionali nei quali la stessa diventava impossibile sempre in riferimento all’utilitas
contraentium.
Data la premesse inizieremo dunque a trattare la c.d mora solvendi; il termine mora descrive
ed indica un ritardo nell’adempimento, ossia la questione di un debitore che aveva un debito