La strategia dei Corleonesi: verso la dittatura di Cosa Nostra
Per tutto il corso degli anni Settanta andarono gradualmente formandosi i due schieramenti protagonisti della seconda guerra di mafia. Il conflitto conosciuto come "la mattanza" investì Cosa Nostra tra il 1981 e il 1982 e causò la morte di qualcosa come cinquecento-mille persone.
La guerra segnò l'ascesa al potere della fazione corleonese e del suo capo Salvatore Riina, e la sconfitta, o sarebbe meglio dire l'eliminazione sistematica, di tutte le forze che tentarono di opporsi alla sua schiacciante superiorità militare. In realtà si trattò di un conflitto ben diverso dalla prima guerra di mafia, in cui l'escalation di violenza si caratterizzò di continue rappresaglie messe in atto dalle due famiglie rivali. In questo caso non ci fu battaglia, nel senso che l'attacco lanciato dai corleonesi e dai loro alleati non ricevette alcuna risposta e nell'arco di pochi mesi l'intera fazione rivale fu letteralmente spazzata via.
I due anni del conflitto furono il risultato ultimo di una strategia a lungo termine che i corleonesi avviarono sin dall'inizio degli anni Settanta e che approfondirono nella seconda metà del decennio con l'obbiettivo di raggiungere la supremazia sulla città di Palermo e quindi il controllo dell'intera organizzazione criminale. Come ha spiegato Giovanni Falcone, "il problema sollevato dalla guerra di mafia è […] un problema di potere" e la lotta condotta dai corleonesi mirò sin dall'inizio alla conquista del predominio assoluto su Cosa Nostra.
Se la posta in palio è identificabile con il potere e il controllo all'interno dell'organizzazione, le radici della seconda guerra di mafia vanno ricercate nella profonda disparità economica che esisteva tra le famiglie di Cosa Nostra, generata, come si è visto, dal loro diverso grado di coinvolgimento nel traffico internazionale della droga.
Inizialmente le rivalità non si manifestarono e rimasero latenti, anzi le testimonianze rese dai collaboratori di giustizia mostrano come specialmente Gaetano Badalamenti fosse particolarmente legato ai corleonesi. Tommaso Buscetta a questo proposito ha raccontato come il boss di Cinisi li aiutò e sostenne economicamente, essi al confronto "erano dei pezzenti morti di fame. [Badalamenti] se ne prendeva cura, gli trovava le case per dormire durante le loro latitanze, il sostegno economico. Riina e Liggio avevano molti obblighi nei suoi confronti".
Ciò nonostante, questa asimmetria economica a lungo andare ebbe ripercussioni devastanti.
La strategia volta a minare l'autorità e il controllo territoriale posseduti dai boss impegnati nel narcotraffico si avviò sotto la direzione di Luciano Leggio, e si approfondì dal 1974 in poi, quando a questo succedette Salvatore Riina. Pur essendo finanziariamente deboli, i corleonesi possedevano infatti una grande forza militare che sin dall'inizio utilizzarono per commettere i sequestri di persona.
Una delle regole che vige all'interno di Cosa Nostra vieta i sequestri sul territorio siciliano. Sia Buscetta che Calderone hanno riferito a riguardo: "La commissione aveva deciso che sequestri di persona in Sicilia non se ne dovevano più consumare, e ciò non per motivi umanitari, ma per mero calcolo di convenienza. I sequestri infatti creano un sentimento generale di ostilità da parte della popolazione nei confronti dei sequestratori e ciò è controproducente se avviene in zone, come la Sicilia, dove la mafia tradizionalmente è insediata; inoltre i sequestri determinano una maggiore attenzione delle forze di polizia nei confronti della criminalità organizzata".
Commettere sequestri di persona in questo caso andava però ben oltre il disobbedire ad una generica regola imposta dalla Commissione. I rapimenti ordinati da Salvatore Riina avevano infatti l'obbiettivo di screditare, colpire e mettere in discussione il potere e il prestigio dei capimafia avversari.
Nel 1971, Riina ordinò il sequestro di Pino Vasallo, figlio del costruttore edile Francesco Vasallo, uno dei protagonisti del sacco di Palermo molto vicino sia a Badalamenti che a Bontade. Nessuno dei due potenti capimafia riuscì ad ottenere la liberazione dell'ostaggio che rimase imprigionato per cinque mesi e fu liberato solo dopo aver pagato la somma richiesta come riscatto. L'anno seguente fu il turno dell'imprenditore Luciano Cassina, figlio del conte Arturo Cassina, uno degli uomini più ricchi di Palermo che deteneva il controllo sulla rete stradale e quella fognaria della città. Riina organizzò questo sequestro senza avvisare Badalamenti e Bontade con lo scopo di infliggere un colpo ulteriore al loro prestigio. L'affronto più grave arrivò però nel 1975, quando i corleonesi rapirono e uccisero Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo. Nino e Ignazio Salvo, gli esattori di Palermo che facevano da tramite con il mondo della politica, erano strettamente legati a Bontade e a Badalamenti, i quali furono subito chiamati in causa per tentare la liberazione dell'ostaggio ma non riuscirono neppure a recuperare il corpo del sequestrato.
Attraverso i sequestri di persona, Riina colpiva l'autorità territoriale dei suoi rivali e allo stesso tempo guadagnava riconoscimento e rispetto da parte degli altri uomini d'onore. Il denaro ottenuto con i sequestri veniva infatti ridistribuito tra i mafiosi che avevano necessità e non investito in lucrosi affari economici.
Se da un lato questa strategia non consentì alla fazione dei corleonesi di penetrare all'interno del circuito della droga, d'altra garantì loro l'appoggio e la fiducia di sempre più uomini d'onore che iniziarono a schierarsi dalla loro parte.
Una prova della superiorità ormai raggiunta da essi all'interno dell'organizzazione fu senza dubbio la facilità con cui nel 1978 l'allora capo della Commissione, Gaetano Badalamenti, venne "posato". Il suo posto fu preso da Michele Greco, detto "il Papa", già alleato di Totò Riina.
Durante gli anni Settanta molti uomini d'onore erano infatti passati dalla parte dei corleonesi, che erano riusciti a guadagnare consensi in quasi tutte le famiglie mafiose, anche al di fuori della provincia di Palermo. Non a caso, allo scoppio delle ostilità non ci fu quasi resistenza da parte degli avversari che "furono uccisi prima ancora di rendersi conto di essere in pericolo, traditi dalle loro famiglie che avevano segretamente fatto causa comune con la fazione vittoriosa […]. La direzione delle famiglie e dei mandamenti dei boss assassinati fu immediatamente affidata a mafiosi fedeli ai corleonesi".
Alla fine degli anni Settanta, i corleonesi erano ormai riusciti ad ottenere il controllo assoluto sulla Commissione, al cui interno detenevano la maggioranza, e a penetrare nelle altre famiglie mafiose. La loro scelta di investire le risorse all'interno dell'organizzazione mafiosa con l'obiettivo di accrescere il power syndicate risultò vincente, mentre coloro che avevano basato il proprio potere sulle ricchezze e le relazioni ottenute attraverso l'affare della droga si ritrovarono del tutto isolati e furono addirittura traditi dai membri delle loro stesse famiglie al momento dello scontro.
A questo proposito Salvatore Lupo rileva come l'offensiva corleonese riuscì a spaccare "trasversalmente le famiglie evidenziando la fragilità dei loro interni collanti". In questo momento, con l'enorme sviluppo dei traffici internazionali degli stupefacenti, "la cosca non rappresenta più la cellulabase dell'organizzazione mafiosa, sottoposta com'è alla pressione opposta e contraria di due forze: la centralizzazione del potere militare nella Commissione, le spinte centrifughe dovute allo sviluppo dei network affaristici".
I collaboratori di giustizia hanno parlato, infatti, di "schieramenti" che si scontrarono durante la seconda guerra di mafia e non più di famiglie rivali, come invece accadde nella prima guerra interna a Cosa Nostra. I tradimenti e i passaggi alla fazione corleonese furono molti, sia prima che durante il conflitto. Tommaso Buscetta ha posto in evidenza come "il fatto stesso, che non soltanto siano stati uccisi impunemente capifamiglia, ma soprattutto membri delle stesse famiglie abbiano preso il posto dei capi significa, senza che possano esservi dubbi di sorta, che i sostituti erano preventivamente d'accordo con l'eliminazione dei capi".
A questo risultato i corleonesi ci arrivarono attraverso un piano sotterraneo che minò irreparabilmente il prestigio dei capimafia al punto tale che la loro eliminazione e sostituzione potesse essere compiuta senza la necessità di portare avanti uno scontro frontale. Il merito di tutto ciò va senz'altro attribuito all'elaborata strategia di radicamento territoriale adottata dal gruppo Leggio-Riina, ma è anche vero che l'accerchiamento dei rivali fu reso altrettanto possibile dall'incapacità di cogliere le sfide e le minacce e dall'impreparazione che caratterizzavano la fazione avversaria al momento della resa dei conti. [...]
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