Estratto del documento

E.

213 Vedi E. Levy, West Roman Vulgar Law, The Law of Property, Philadelphia, 1951.

214 L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma, cit., p. 387.

215 80

pubbliche, come l’esazione delle imposte per i coloni che venne affidata ai

proprietari del fondo .

216

Levy ritiene che la diffusione del diriOo volgare in Occidente nel corso del

IV e V secolo sia dovuta in larga parte alla sua tendenza alla semplificazione e

alla popolarizzazione, allontanandosi dai tecnicismi della giurisprudenza

classica, nonché al desiderio di norme più adeguate alle condizioni del tempo. In

questo un ruolo importante ebbe la concessione universale della ciOadinanza da

parte di Caracalla che portò a una progressiva aOenuazione della rigidità del

diriOo. Il tuOo era accompagnato da una diminuzione dell’erudizione giuridica e

da un calo nel numero di giuristi qualificati. Il risultato fu l’emergere di una

nuova forma di diriOo, che non aderiva alle finezze tradizionali né si fondava su

conceOi rigorosi, e che era incapace, o disinteressata, a raggiungere gli standard

di elaborazione artistica e di costruzione logica che caraOerizzavano la

giurisprudenza classica . Questo era il diriOo romano volgare.

217

Questo scenario catastrofico, secondo cui i giuristi tardo-antichi non

avrebbero saputo distinguere neanche fra diriOi in rem e in personam, è stato

rivisto dalla doOrina più recente. InnanzituOo il numero di giuristi nell’Impero

non ebbe un brusco calo nel corso del IV, solo dopo il sacco di Roma del 410 a

opera dei visigoti di Alarico la carenza di avvocati, nelle aree più remote, divenne

un problema (Nov. Val. 32.6), ma gli esperti di diriOo furono sempre fortemente

richiesti nella burocrazia imperiale come ci testimonia lo stesso Cassiodoro nelle

Variae. In un contesto del genere è difficile immaginare una degradazione

repentina e drastica della cultura giuridica. Si prenda per esempio il capitolo 147

dell’EdiOo di Teodorico:

M. Caravale, Ordinamenti giuridici, cit., p. 34.

216 E. Levy, West Roman Vulgar Law, cit., p. 7.

217 81

147. Placita bona fide et definita venditio a venditore rescindi non potest: sed

pretium, quod ab emptore debetur, repetendum est .

218

Se è stata conclusa una vendita in modo correOo allora il venditore non può

rescindere il contraOo ma può pretendere il pagamento del prezzo. Levy utilizza

questa disposizione come esempio per affermare che nel corso del tardo-antico

vi fosse una tendenza alla semplificazione dei contraOi di compravendita,

aOraverso la compressione degli elementi che rendono il negozio giuridico

conforme a diriOo (contraOo, traditio e pagamento del prezzo) in particolar modo

il semplice pagamento del prezzo avrebbe faOo sorgere il diriOo. TuOavia non

sembra logicamente possibile dedurre questa conclusione dal testo normativo, si

richiede infaOi una placita bona fide et definita venditio, i compilatori poi

presuppongono la traditio ma non c’è nulla che possa far pensare a un suo

superamento. Se si guarda poi al capitolo 141 dell’EdiOo si vede come sono

menzionate tuOe le tre tradizionali condizioni richieste per una vendita legiOima:

141. Quicunque fugere solitum vendiderit ignoranti, si emptorem quoque fugerit,

et precium venditor reddat et damna sarciat, quae per eundem contigerint

fugitivum .

219

In questo caso il compratore, ignaro del faOo che lo schiavo vendutogli fosse

solito fuggire, ha il diriOo di ripetere il pagamento del prezzo e i danni subiti nel

caso in cui lo schiavo effeOivamente fugga. Il fondamento di questa norma è che

la compravendita è nulla in quanto il contraOo non è stato soOoscriOo con la

buona fede di entrambe le parti. Si presuppone che sia avvenuta la traditio,

Edictum Theoderici regis ex Petri Pithoei editione repetitum adnotatione indicibusque instruxit

218

F. Blhume i.c., in MGH, Leges 5, Hannoverae 1875-1889, p. 167, 147. “La vendita conclusa e

definita dal venditore secondo buona fede non può essere rescissa; ma il prezzo, che è dovuto dal

compratore, deve essere preteso.”

Edictum Theoderici regis ex Petri Pithoei editione repetitum adnotatione indicibusque instruxit

219

F. Blhume i.c., in MGH, Leges 5, Hannoverae 1875-1889, p. 166, 141. “Chiunque abbia venduto a

qualcuno ignaro chi era solito fuggire, se sia fuggito anche al compratore, il venditore restituisca

il prezzo e risarcisca i danni prodoIi dallo stesso fuggitivo.”

82

dunque la consegna materiale dello schiavo, ed il pagamento del prezzo. Non c’è

nulla che ci fa pensare che i tre elementi siano stati compressi o modificati .

220

In questo senso l’EdiOo di Teodorico non può essere considerato un prodoOo

del diriOo romano volgare ma non è neanche una raccolta di diriOo classico. I

compilatori erano in qualche modo a conoscenza degli aspeOi più tecnici e

formali delle leggi e della giurisprudenza antica ma si sentirono liberi di

modificare le disposizioni che ritenevano non più al passo con i tempi, adaOando

in questo modo il diriOo alla realtà dell’Italia del VI secolo. In questo processo

presero come riferimento consuetudini locali e pratiche che si andavano

affermando nelle province, comprendendo che queste potessero essere più

vincolanti delle leggi stesse perché nate dal consenso comune della popolazione.

S. D. W. Lafferty, Law and Society, cit., pp. 58 - 60.

220 83

Parte II

Analisi dell’Edictum Theoderici

84

Capitolo 4

Ius publicum e crimina

4.1 Ius publicum e ius privatum

Prima di cominciare l’analisi del testo dell’EdiOo è necessario spendere

qualche parola sulla modalità con cui le materie contenute al suo interno sono

state divise.

Nel corso dei secoli, almeno dalla riscoperta cinquecentesca in poi, i filologi,

gli storici e gli studiosi in genere hanno utilizzato diversi criteri per catalogare e

analizzare i 154 capitoli contenuti all’interno dell’EdiOo. Un primo approccio,

inaugurato da Bluhme e poi ripreso da Paradisi, è stato partire dalle fonti

utilizzate per redigere le disposizioni ediOali, sulla base di questo criterio sono

state individuate due masse: una prima composta da costituzioni imperiali ed

una seconda da scriOi giurisprudenziali .

221

Questo approccio è stato criticato per essere basato esclusivamente su

suggestioni, senza alcun cenno a un metodo di lavoro o a un impianto

redazionale dell’EdiOo come quello usato dallo stesso Bluhme per il Digesto.

Orazio Licandro, autore di questa critica, afferma che è possibile scorgere nella

compilazione teodoriciana almeno tre nuclei di norme: uno relativo alla

giurisdizione (nella parte iniziale e poi norme sparse e a chiusura), un altro di

B. Paradisi, Critica e mito dell’ediRo teodoriciano, cit., p. 260.

221 85

diriOo civile (a seguire e prevalentemente nella parte finale), infine un terzo

nucleo concernente il diriOo penale (grosso modo nella parte centrale). 222

Questa impostazione tende tuOavia ad inquadrare i capitoli dell’EdiOo

all’interno di categorie moderne, approccio che comunque non è isolato, per

esempio TrombeOi nel 1895 aveva individuato sei gruppi di materie: I diriOo

giudiziario; II reati contro la pace pubblica; III reati contro la proprietà; IV reati

contro le donne e l’onore domestico; V disposizioni su testamento, locazione e

donazione; VI norme diverse .

223

Altri autori invece hanno analizzato singoli istituti senza cercare una

schematizzazione precisa della materie, si pensi per esempio a Vismara che, ai

fini della sua tesi sull’origine gallica dell’EdiOo, ha passato in rassegna solo alcuni

istituti, la cui disciplina è sparsa in diversi capitoli, in particolare: diriOo di asilo,

appello, allegatio nei gesta, la repressione dell’incendio, la deportatio in insulam,

l’assenza del mare e il deposito sulla nave, la quinta (sponsalitia largitas) e il

concubinato.

224

Ai fini di questo studio si rende comunque necessario identificare un criterio

per suddividere le materie traOate nell’EdiOo e in questo modo ordinare, anche

nell’esposizione, quella che può sembrare una serie giustapposta di comandi.

TuOavia questo criterio non può essere individuato nelle moderne categorie del

diriOo, cosa che sarebbe foriera di errori di comprensione in riferimento alle

circostanze in cui queste norme venivano emanate e applicate. Occorre dunque

ricercare un parametro di schematizzazione che possa essere calato nel contesto

del VI secolo e rimanere valido anche allora.

In questo senso appare appropriato utilizzare la distinzione fra ius publicum

e ius privatum, tuO’oggi considerata fondamentale e che ebbe grande importanza

anche nel mondo romano, seppur con significati parzialmente diversi. Ad una

O. Licandro, E T , cit., pp. 125 - 126.

222 DICTVM HEODERICI

U. TrombeIi, L’EdiRo di Teodorico. Critica storico - legale, Verona, 1895, p. 17.

223 G. Vismara, Edictum Theoderici in ScriRi di storia giuridica, vol. 1, cit., pp. 148 - 208.

224 86

riflessione su questi due conceOi si arrivò tardi e non sempre in modo chiaro, un

primo motivo di ciò va rintracciato nell’approccio che i romani avevano rispeOo

alle categorie del diriOo, individuate in base alla fonte da cui originavano. Ius

privatum era il diriOo creato dalle fonti private mentre ius publicum quello creato

da fonti pubbliche. Il rilievo dato a questa divisione in età repubblicana è aOestato

dalle opere retoriche del I secolo a.C., l’enfasi mostrata va probabilmente

collegata all’allora scarsezza dei poteri dello Stato e la corrispeOiva ampiezza dei

poteri delle comunità inferiori (familiae, gentes e i loro membri), i cui poteri non

derivavano da una concessione della res publica ma erano originari. 225

Questa impostazione cominciò a mutare con l’inizio del principato ma ne

rimase comunque traccia nella tradizione giuridica romana, per esempio nella

fondamentale regola per cui il ius publicum non poteva essere derogato da negozi

privati, basati su un potere ritenuto ormai secondario, ossia subordinato alle leggi

e fonti equivalenti. Nel periodo classico alcune differenze importanti derivanti da

questa distinzione erano state studiate dai giuristi, in particolar modo la

differenza fra deliOi pubblici lesivi del re, dei magistrati e del populus, chiamati

crimina e puniti con pene pubbliche da parte di organi pubblici, e deliOi privati

lesivi della famiglia o di singoli privati, chiamati semplicemente delicta, puniti su

iniziativa e per opera dei soggeOi interessati .

226

La definizione più famosa nel diriOo romano di cosa sia ius publicum e cosa

ius privatum è sicuramente quella data da Ulpiano nel III secolo:

Dig. 1.1.1.2. Huius studii duae sunt posi

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