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IL MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA
Prendiamo in esame
Da come si nota, abbiamo un piccolo edificio a croce greca, oggi questo edificio è così, ma in passato era
solo una cappella aggregata ad una chiesa più grande che è andata distrutta. Questa cappella ha al centro
dei 4 bracci una cupola, che è costruita col sistema romano ( ciò significa che le maestranze con la corte
romana si sono trasferite a Ravenna ).
La tecnica utilizzata è l’uso di piccoli tubi di terracotta disposti a cerchi sempre più stretti fino ad arrivare
alla chiave di volta.
Il paramento murario è in semplice mattone con archetti allungati che servono ad alleggerire la parete,
scaricando il peso lungo le colonne, dando la possibilità di alleggerire queste sezioni di pareti in cui si
possono aprire delle finestre.
Il mattone permette anche una decorazione diversa rispetto alla pietra: la cornice, che limita in altro il
sottotetto, è eseguita con un gioco di mattoni aggettanti.
L’esterno dell’edificio sembra molto austero, spoglio, invece l’interno è rutilante di colori perché è decorato
con tessere vitree di mosaico. Abbiamo, quindi, austerità esterna e luminosità interna.
E’ formato da 4 bracci, i bracci sono aperti da volte a botte (è una volta che pesa su due lati) e queste volte
sono decorate con motivi geometrici o vegetali.
Alla fine di ogni braccio c’è una lunetta.
-In alto a destra ed in basso a sinistra le 2 lunette hanno dei giravi con due figure simboliche cioè le cerve
che si abbeverano (che è una ripresa del salmo), le altre due hanno sull’ingresso il buon pastore,
- nella parte che esternamente rappresenta il tiburio, invece, abbiamo due figure di martiri intorno alla
finestra e il motivo del cantaro con le colombe
Per quel che riguarda il pavimento, quello che vediamo nella prima delle 4
foto, è il più tardo, non è quello originale.
Quello che colpisce sono i mosaici.
E’ il buon pastore che abbiamo già visto, ne abbiamo apprezzato il naturalismo e la ripresa/cristianizzazione
della vita pastorale che adesso diventa il gregge, rappresentato secondo il modello Apollineo cioè del Cristo
giovane e con la croce a stile.
Mentre sull’altra lunetta abbiamo l’immagine di S. Lorenzo dove al centro vi è la graticola su cui è stato
martirizzato. E’ un diacono e quindi è rappresentato col libro dei vangeli aperto mentre nell’armadietto ci
sono i 4 vangeli. Si nota la vivacità con cui viene rappresentata la figura di S. Lorenzo: ha il manto che
svolazza la tunica che segue il movimento, quindi domina il naturalismo.
Nella volta, alla sommità del tiburio, è rappresentato un cielo stellato, spesso tipico delle chiese medievali e
convenzione che andrà avanti per tutto il rinascimento.
Al centro vi è la croce aurea (croce della vittoria di Costantino), il cielo stellato, i 4 simboli evangelici senza
l’aureola.
Nel Mausoleo ci sono anche due sarcofagi, mai usati. Noi però sappiamo che Onorio e Galla vennero
sepolti nel mausoleo che si trova presso S. Pietro a Roma, che poi sarà dedicato a S. Andrea e lo sappiamo
perché, in seguito a degli scavi, alcuni dei ritrovamenti preziosi furono la testimonianza che la tomba fosse
proprio la loro. Quindi questi 2 sarcofagi del Mausoleo di Galla Placidia non contennero i loro corpi ma sono
importanti in quanto mostrano alcune caratteristiche dell’arte ravennate: mentre a Roma (prendi in
considerazione i sarcofagi dogmatici) le pitture mostravano tranquillamente rappresentazioni di figure
umane a Ravenna, invece, c’è una certa ritrosia nel farlo, infatti, tutt’e due i sarcofagi presentano la figura
delle pecorelle. Notiamo l’agnello al centro sul monte del Paradiso, le iniziali di Cristo e i due agnelli al lato
rappresentano Pietro e Paolo. Abbiamo, poi, le palme coi datteri che alludono ai martiri.
Nell’altra tomba abbiamo addirittura l’agnello con la croce che identifica chiaramente la figura di Cristo.
Troviamo anche sarcofagi alla Romana, importati da Costantinopoli, ma questa è la produzione tipica di
Ravenna, diversa da quella Costantinopolitana che narravano dei miti e da quelli Romani che
rappresentavano le scene della vita di Cristo.
LA CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA.
Purtroppo la vediamo soltanto come esterno ed è ricostruita perché è stata gravemente danneggiata e poi
ricostruita durante la II guerra mondiale. Ci permette, però, di vedere quali sono le caratteristiche delle
basiliche ravennate: le basiliche si distinguono perché sono a 3 navate, hanno 1 sola abside fiancheggiata
da due ambienti che si chiamano pastoforia: quello di sinistra si chiama protesis e quello di destra
diaconicon. Tali ambienti servivano da sagrestia.
La chiesa è spesso preceduta da un nartece che è un portico.
Un’altra caratteristica è il fatto che l’abside è poligonale all’esterno e invece circolare all’interno.
Ci sono grandi finestre e l’uso del mattone.
All’interno l’edificio è scandito da 3 navate individuate da 2 file di colonne.
Oggi, entrando in S. Giovanni, vediamo una chiesta totalmente ricostruita. Infatti non c’è traccia di pittura,
non c’è un dipinto, una scultura. E’ una chiesa ridotta allo scheletro architettonico.
IL BATTISTERO DEGLI ORTODOSSI
E’ Chiamato così per differenziarlo da quello degli Ariani.
Osservano l’esterno vediamo che le cappelline hanno un’altezza inusuale, sono davvero basse e la
spiegazione consiste nel fatto che, essendo paludoso il terreno, nel tempo si è verificato un fenomeno di
bradisismo per cui il peso della costruzione ha fatto sì che il terreno su cui insiste si abbassasse, quindi, oggi
il livello del terreno è di almeno 3 m più altro di quello dell’edificio.
La sua è una struttura ottagonale e aveva dei lati alternativamente con o senza nicchie.
L’interno si è conservato perfettamente anche se è stato innalzato il pavimento in modo da entrare
all’interno a livello, senza scendere verso il basso, per cui abbiamo perso solo la base.
Il battistero è riccamente decorato in tutte le sue parti: a cominciare dal gioco di marmi colorati che
troviamo in basso, con rote di porfido. Lo spazio sovrastante le arcate è tutto decorato con tralci realizzati a
mosaico.
Il secondo registro vede l’apertura delle finestre e alternati ci sono archetti e timpani che individuano delle
finte nicchie in cui ci sono dei personaggi eseguiti in stucco.
Al di sopra delle nicchie abbiamo una finta galleria che alterna dei leggii, su cui posa un libro aperto, troni
vuoti e transenne attraverso le quali si intravede il giardino.
Sulla cupola compare una teoria di 12 apostoli che si susseguono in un giro costante con grande
naturalismo: sono nell’atto di offrire una corona.
Al centro vi è la rappresentazione del battesimo di Cristo: Cristo sembra Zeus barbuto con i capelli lunghi. E’
rappresentato nel nudo eroico e, secondo la tradizione classica, vediamo il fiume Giordano personificato.
Sulla sponda, invece del deserto, abbiamo del vegetale come simbolo di natura che si rigenera. Non c’è la
mano divina ma solo la colomba.
Il Battista e Cristo sono rappresentati con la stessa età e, negli apocrifi, Cristo è sempre bambino mentre il
Battista è grande. (Fai il confronto col Cristo degli ariani.)
Verso l’alto, grazie anche all’innalzamento, vediamo questa rotazione, la luminosità di paste vitree con
colori preziosi (tessere oro, lapislazzuli).
E’ un’opera che unisce elementi vegetali come i candelabri che separano gli apostoli. Le tende, in genere,
sono doni dei papi, di cui ce ne parla anche il “Liber Pontificalis” , da mettere davanti alle colonne o al
presbiterio, addirittura raffigurate. Ad esempio, Papa Pasquale I regalerà un telo raffigurante
l’Annunciazione, uno che rappresenta l’Ascensione della Vergine (caso in cui l’immagine precede la
posizione teologica della chiesa).
Tutto sembra ruotare all’interno di questo Battistero: le immagini degli apostoli, la visione del libro aperto
dell'Apocalisse, l'immagine del trono vuoto(etimasia). Ciò che, invece, sembra star fermo è il bollo centrale
che rappresenta Cristo battezzato, che rappresenta il tema dell'anima del cristiano che nasce a nuova vita.
Vediamo un dettaglio: sovrapporsi delle immagini in stucco con i padri della chiesa, dei profeti.
Vediamo poi il dettaglio dell'etimasia, del libro aperto dell’Apocalisse.
Si vede lo spazio architettonico ad esedra. Vediamo tra i colori, prevalere, il verde che è molto difficile da
ottenere e molto sfolgorante.
Il secondo periodo è caratterizzato dalla presenza dei goti ariani.
Teodorico muore nel 526, fece fare un mausoleo prima di morire: IL MAUSOLEO DI TEORICO
è una costruzione in pietra (nella città le pietre non c’erano e quindi le fece
portare) e, contro ogni tradizione, era a 2 piani: l’attuale ringhiera (che non è originale) segna il passaggio
tra i due piani. Nella camera al secondo piano c’è il grande sarcofago vuoto che doveva ospitare Teodorico.
Esiste una leggenda secondo cui Teodorico fosse stato rapito da Ravenna da un grande cavallo nero,
sputante fuoco, e fosse stato scaraventato nell’Etna.
Stupefacente non è solo l’utilizzo della pietra ma anche la copertura che è un monolite, cioè una pietra sola.
Tale pietra enorme è stata trasporta così in alto tramite piani inclinati, sollevata così fino a su.
La scelta del monolite dipende dal fatto che, nella tradizione gota, il monolite è segno di eternità.
I maniglioni che vediamo sulla parte alta, secondo gli studiosi, o servono per mettere in opera la pietra o
che sia semplicemente un ornamento.
LO PSEUDO PALAZZO DI TEODORICO, che vediamo in foto, in realtà è l'atrio
della chiesa di San Salvatore. Notiamo che le pareti i interrompono laddove doveva continuare un edificio a
3 navate che conteneva la chiesa. LA CATTEDRALE ARIANA DEDICATA AL SANTO SPIRITO: era la cattedrale
ariana. Il portico è Rinascimentale e sostituisce l’antico portico medievale.
IL BATTISTERO DEGLI ARIANI: anche questo battistero ha subito un fenomeno di bradisismo ma,
essendo più leggero è affondato di meno rispetto quello degli Ortodossi.
È decorato solo nel certo della volta e la decorazione riproduce il tema, come in
quello degli Ortodossi, degli apostoli che concorrono verso un trono su cui si siederà il Dio trionfante.
I candelabri vegetali sono molto più irrigiditi così come la posizione degli
apostoli che procedono. C’è quindi