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4. PERCHE’ LE IMPRESE UTILIZZANO I CONTRATTI A TERMINE

Entrando più nello specifico, è possibile individuare quattro gruppi di motivazioni che

spingono le imprese a utilizzare i contratti di lavoro a termine

1. Un primo gruppo fa riferimento a motivazioni oggettive: si tratta delle situazioni in

cui la domanda di lavoro è a tutti gli effetti una domanda di lavoro temporaneo e

corrisponde alla sostanza del contratto di lavoro attivato.

Si tratta della domanda di lavoro finalizzata a :

a. far fronte a picchi produttivi occasionali o imprevisti;

b. gestire la stagionalità strutturale di alcune produzioni;

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c. sostituire i lavoratori temporaneamente assenti.

2. Un'altra motivazione è relativa all’uso diffuso del contratto di lavoro a tempo

determinato per “provare” il lavoratore, utilizzando un periodo di prova più lungo di

quello previsto dai contratti con assunzione a tempo indeterminato. Questo

utilizzo è distorto quando dal lato dell’azienda è intenzionale, vale a dire che il

datore di lavoro ha in mente effettivamente di selezionare i candidati per

un’assunzione stabile, in altri casi; si tratta di un utilizzo inintenzionale nella misura

in cui la decisione del datore di lavoro matura successivamente all’assunzione a

tempo determinato.

3. Un terzo gruppo è riconducibile a particolari previsioni normative: ad esempio,

dato il particolare regime di favore per le imprese che assumono dalle liste di

mobilità lavoratori a tempo determinato; oppure per i vincoli della Pubblica

Amministrazione nel caso di ricorso ad assunzioni a tempo indeterminato, con

conseguente ripiego sulle assunzioni a tempo determinato che consentono

all’impresa di scambiare l’offerta di un’opportunità formativa con una prestazione

lavorativa relativamente poco costosa, a seguito degli sgravi contributivi concessi,

e senza vincoli di assunzione, una volta completato il tirocinio formativo.

4. Resta il ricorso al contratto a tempo determinato per finalità elusive o irregolari:

abbassare il costo del lavoro, mettersi al riparo dal rischio dei costi molto incerti

del licenziamento, mantenere il lavoratore in uno stato di soggezione, con il ricatto

della mancata conferma del posto di lavoro.

Si tratta di casi in cui il posto di lavoro di fatto esiste, ma l’azienda ritiene

conveniente coprirlo con una successione continua di contratti a termine

impiegando talvolta il medesimo lavoratore, talaltra lavoratori diversi. [Pirrone

2008] 18

Per quanto riguarda invece i motivi per cui le imprese non ricorrono a contratti a tempo

determinato, rientrano la non necessità di assumere nuovi lavoratori; altre imprese

affermano di preferire altre forme contrattuali, in particolare il contratto di apprendistato

(22%); il 18.7% delle imprese afferma di utilizzare il contratto a tempo determinato solo

per i picchi di produttività.

Interessante è la risposta del 6.5% delle imprese che affermano di non utilizzare questo

tipo di contratto perché non accettato dai lavoratori. [Duranti 2011]

5. SISTEMA DI PROTEZIONE DEL LAVORO: DIRITTI E TUTELE MANCANTI

I sistemi di protezione sociale in Italia sono costruiti sul lavoro salariato standard, che di

fatto non trovano corrispondenza in quelli che appiano essere i profili di rischio dominanti,

che sono sempre più legati ai lavori instabili. Non a caso, nel dibattito scientifico vengono

considerati atipici “quegli impieghi che offrono un accesso limitato o nullo ai diritti sociali”

(Barbieri, Scherer, 2005, pag. 300).

Tra le diverse forma contrattuali esiste poi una “giungla delle tutele”: la moltiplicazione

delle tipologie, la frammentazione delle discipline ed il susseguirsi di provvedimenti

legislativi, in assenza di una chiara scelta politica del diritto e di un organico disegno di

riforma, ha condotto al quadro odierno: pieno di vuoti normativi, insufficienze di tutele e

disparità di trattamento, che colpiscono soprattutto i lavoratori parasubordinati,

tipicamente i collaboratori. Si consideri che essi non hanno alcun diritto a sospendere la

prestazione per la cura dei propri figli, non possono astenersi dal lavoro, non hanno diritto

ad attività formative remunerate, non hanno diritti ad alcuna proroga della durata del

contratto nel casi in cui siano costretti a sospendere il lavoro per malattia o infortunio.

Non vi è l’obbligo per il committente di comunicare al lavoratore parasubordinato il

recesso per iscritto del contratto né i motivi che lo hanno determinato. Anche la

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definizione del compenso è “ambigua”: per i collaboratori l’ambiguità e la difficoltà

applicativa delle norme introdotte hanno impedito di risolvere la questione del corrispettivo

adeguato, per gli altri lavoratori parasubordinati non esiste alcuna disposizione in merito e

le parti sono libere di determinare il corrispettivo economico.

Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, le giornate di attività dei lavoratori

parasubordinati non concorrono a determinare i presupposti della disoccupazione

ordinaria.

Il deficit delle tutele per i lavoratori atipici si estende anche fuori dal rapporto di lavoro. Il

primato attribuito alla condizione di lavoratore occupato con contratto a tempo

indeterminato ha indotto ad un sostanziale disconoscimento delle esigenze assistenziali

di quanti lavorano sotto un altro istituto contrattuale.

Gli schemi di protezione sociale pubblici sono basati su una logica di tipo assicurativo, e

dunque, si rilevano inadeguati a tutelare i soggetti con carriere lavorative discontinue. Il

problema per questi lavoratori è sia di titolarità di diritti, sia di impianto degli schemi di

protezione. Le durate brevi dei contratti generano una frammentazione dei percorsi di

lavoro e deboli storie contributive che limitano le possibilità di accedere pienamente al

sistema di protezione sociale anche quando teoricamente se ne avrebbe diritto in ragione

del contratto sottoscritto.

I lavoratori temporanei, quando cade la domanda di lavoro, sono i primi a perdere

l’occupazione, senza il beneficio di qualche forma di indennizzo e con la prospettiva di

non trovare una nuova occupazione in tempi ragionevoli. [Altieri 2009]

Il punto centrale da cui partire è quindi la stabilità del lavoro. La persona ha dei diritti da

esercitare durante il rapporto di lavoro se nello stesso tempo ha una fondata garanzia di

stabilità del proprio rapporto di lavoro. Una continuità che non significa solo avere lo

stesso lavoro per tutta la vita, ma anche nel senso che il datore di lavoro non può

interrompere e non rinnovarlo senza legittima motivazione.

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Si può dire ad un lavoratore con un rapporto di lavoro a tempo determinato che ha gli

stessi diritti del lavoratore con un rapporto a tempo indeterminato, ma quando si trova ad

esercitarli effettivamente, l’esercizio di quei diritti avviene all’interno di un lavoro che ha

una durata limitata. Si è fatto un’estensione delle garanzie che non è azionabile dal

lavoratore.

Il diritto del lavoro dovrebbe pensare di procedere ad estendere le garanzie e di

prevedere la parità di trattamento. “Ma una parità di trattamento a condizioni diverse di

contratto è una parità di trattamento formale e non sostanziale”. [Gosetti 2011, pag.31]

Il diritto del lavoro nel nostro paese è stato un diritto fondato sul lavoro subordinato, quello

che tuttora definiamo standard. Quando parliamo di lavoro atipico stiamo utilizzando una

definizione di lavoro in negativo; ossia continuiamo a ragionare pensando che tipico sia il

lavoro standard. Inteso come lavoro subordinato, a tempo pieno, tendenzialmente

maschile. Tutti gli scostamenti da questa formula, sono atipici.

Almeno da 15 anni i giuristi del lavoro si interrogano sul fatto che non possono occuparsi

esclusivamente di questo, ma si deve guardare ai lavori e ai lavoratori al plurale. Un aiuto

importante viene dall’articolo 35 della Costituzione, il quale sostiene che si deve pensare

ad una tutela dei lavori in tutte le loro forme e applicazioni. Di coprire quindi anche i lavori

diversi dallo standard, quelli che definiamo atipici.

Quando il lavoratore è collegato a dei diritti, si va da incidere anche sul livello di

legittimazione del lavoro, sul modo in cui è percepito il lavoro da parte della popolazione

generale, dalla politica, dalla scuola. Se il lavoro si può comprare e vendere come fosse

un oggetto qualsiasi, di cui si tratta il prezzo e la qualità, significa anche produrre un

giudizio denigratorio del lavoro.

Questo è un percorso in atto a partire dagli anni’80, con le leggi del 1997 e del 2003 in

Italia, che sono andate tutte nel senso di favorire il peggioramento delle condizioni di

lavoro, provocando una sostanziale delegittimazione del lavoro.

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Dal 1980 in poi si è tornati alla pratica e all’idea del lavoro come merce: sono state

inventate decine di forme di lavoro atipico, diverso da quello a tempo pieno e senza data

di scadenza, che sono andate nel senso di trasformare il lavoro come merce. Si vende il

lavoro e si chiede che il soggetto stesso concepisca il lavoro come una vendita. Il resto

della sua personalità, delle passioni, delle fatiche, non ha rilevanza. Ridurre il lavoro a

merce significa pensare di trattarlo come un elemento totalmente separabile dalla

persona.

Bisognerebbe quindi pensare alla costruzione di una normativa che individua la

protezione per questi lavoratori, che non può essere quella costruita per i lavoratori a

tempo indeterminato.

Peraltro, gli stessi lavoratori a tempo indeterminato in questo momento sono altamente

soggetti a rischio. Tutto il meccanismo della stabilità del rapporto di lavoro è messo a

rischio in questa fase: sia per l’introduzione del contratto a termine, sia per la difficoltà di

avere garanzie per effetto della crisi delle imprese. [Gosetti 2001] Ciò che viene messa a

rischio è la sicurezza del lavoro.

Possiamo considerare sette tipi di sicurezza del lavoro (elaborati nel dopoguerra dai partiti

laburisti e dai sindacati) da cui la “classe precaria” è esclusa.

1) la sicurezza dell’occupazione: cioè l’opportunità di ottenere un reddito adeguato;

2) sicurezza del posto di lavoro: la protezione contro la possibilità di licenziamento

arbitrario, la regolamentazione dell’assunzione e della risoluzione del contratto;

3) sicurezza del ruolo professionale: la possibilità di mantenere il proprio ruolo,

l’offerta di opportunità di mobilità verso l’alto, sia in termini di status che di reddito;

4) sicurezza sul posto di lavoro: la protezione contro il rischio di incidenti e malattia,

attraverso la regolamentazione della sicurezza , della tutela dell

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
45 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SolidSnake86 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia e ricerca sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Gherardi Silvia.