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CAPITOLO III

LA PROTEZIONE DEL FAMOUS TRADEMARK

NELL’ORDINAMENTO DEGLI STATI UNITI

Sommario: 1. La nascita della dottrina della dilution; 2. L’evoluzione legislativa in

materia di marchi; 2.1. Il Federal Trademark Dilution Act; 2.2. Il Trademark Dilution

Revision Act; 2.3. Il caso Victoria’s Secret e il passaggio da actual dilution a likelihood of

dilution; 3. La definizione di famous mark; 4. La dilution by blurring; 5. La dilution by

tarnishment; 6. La parodia del famous trademark.

3.1 La nascita della dottrina della dilution

La dottrina della dilution statunitense affonda le sue radici in un passato molto

lontano: precisamente, in un articolo del 1927 del giurista Schechter, dal titolo

270

The Rational Basis of Trademark Protection.

Il suo apporto si è dimostrato fondamentale, tanto da influenzare le scelte

legislative successive, sia a livello di singoli Stati, sia, in tempi più recenti, a

livello federale. Come noto, da quanto esposto nel precedente capitolo, gli

insegnamenti della dilution doctrine sono stati recepiti anche dall’ordinamento

comunitario con la Direttiva 89/104/CEE e il Regolamento 40/94/CE, che hanno

introdotto una protezione del marchio che gode di rinomanza nei casi di dilution

by blurring e dilution by tarnishment.

Riprendendo una decisione della Corte Suprema statunitense, che ha rilevato che

“the primary and proper function of a trade-mark” è quella di “identify the origin

or ownership of the goods to which it is affixed”, Schechter ha innanzitutto

271

osservato come tale funzione non fosse più quella attuale.

270 SCHECHTER, The Rational Basis of Trademark Protection, in Harvard Law Review,

1927, 40 e in The Trademark Reporter, 1970, 60, pagg. 334 ss.

271 “Four hundred years ago a trademark indicated either the origin or ownership of the

goods to which it was affixed. To what extent does the trademark of today really function

as either? Actually, not in the least! It has been repeatedly pointed out by the very courts

that insist on defining trademarks in terms of ownership or origin that, owing to the

ramifications of modern trade and the national and international distribution of goods

from the manufacturer through the jobber or importer and the retailer to the consumer,

111

Se, dunque, la funzione del marchio non era più quella di indicare che il prodotto

272

o servizio contrassegnato provenisse da una particolare fonte, il giurista ha

ritenuto che le reali funzioni del marchio fossero quelle di “identify a product as

satisfactory and thereby to stimulate further purchases by the consuming public.”

Di conseguenza, il marchio non poteva essere considerato semplicemente come

simbolo di “good will”, ma, in realtà, come strumento per “the actual creation

and perpetuation of good will”: se così non fosse, verrebbe totalmente ignorato

“the most potent aspect of the nature of a trademark and that phase most in need

of protection”, dato che il marchio, appunto, è il fattore più rilevante ed efficace

nella creazione di “good will” e come tale necessita di tutela. Ed è proprio qui che

risiede il passaggio fondamentale operato da Schechter: “from the idea of

protecting existing goodwill to the idea of protecting the mark itself as a device to

273

sell products and generate new goodwill.”

Rifiutando dunque la comune concezione di marchio, che ha ostacolato il naturale

sviluppo dell’istituto, Schechter ha teorizzato la necessità di concedere una tutela

ai titolari dei marchi anche oltre la “actual confusion”, avendo rilevato la

possibilità che l’uso del segno per contraddistinguere prodotti o servizi

merceologicamente distanti potrebbe concretamente danneggiare il titolare del

marchio, anche in assenza di “diversion of trade or other concrete financial

liability or injury to trade repute.”

In una visione per cui era di primaria importanza che si pensasse ad una tutela del

marchio che si estendesse anche alla “preservation of the uniqueness or

individuality of the trademark”, tale unicità del marchio poteva appunto essere

limitata o “dispersa” nei casi di utilizzo del segno su prodotti merceologicamente

distanti.

the source or origin of the goods bearing a well-known trademark is seldom known to the

consumer.”

272 Il marchio serve semplicemente a indicare, sotto questo punto di vista, che “the goods

in connection with which it is used emanate from the same – possibly anonymous –

source or have reached the consumer through the same channels as certain other goods

that have already given the consumer satisfaction, and that bore the same trademark.”

273 Cfr. BONE, Schechter’s Ideas in Historical Context and Dilutions’ Rocky Road, in

Santa Clara Computer and High Technology Law Journal, 2007-2008. 112

Schechter ha dunque individuato dei casi in cui, in assenza di un pericolo di

confusione, possa verificarsi “the gradual whittling away or dispersion of the

274

identity and hold upon the public mind of the mark.”

Pertanto, il pensiero espresso dall’autore si può sintetizzare nei quattro punti che

hanno aperto il paragrafo conclusivo dell’articolo: “(1) that the value of the

modern trademark lies in its selling power; (2) that this selling power depends for

its psychological hold upon the public, not merely upon the merit of the goods

upon which it is used, but equally upon its own uniqueness and singularity; (3)

that such uniqueness or singularity is vitiated or impaired by its use upon either

related or non-related goods; and (4) that the degree of its protection depends in

turn upon the extent to which, through the effort or ingenuity of its owner, it is

actually unique and different from other marks.”

E tale conclusione (l’unica che poteva costituire una “rational basis” per la

protezione dei marchi) era ulteriormente rafforzata, secondo l’autore, dai risultati

a cui era pervenuta la dottrina tedesca di quegli anni, e che hanno trovato

275

espressione concreta anche in un caso del 1924.

Questa necessità di una modifica della legislazione a tutela dei marchi, per

rispondere e adeguarsi alle esigenze del commercio moderno, ha rappresentato la

274 L’autore ha fornito anche degli esempi pratici a sostegno della propria tesi. Dopo

avere osservato che “the use of similar marks on non-competing goods is perhaps the

normal rather that the exceptional case of infringment”, ha elencato dei casi in cui il

convenuto non stava sviando la clientela del titolare del marchio, ma era tuttavia

innegabile un pregiudizio al marchio: il marchio Kodak, utilizzato per macchine

fotografiche e biciclette; il marchio Aunt Jemima’s, per pancake e sciroppo; il marchio

Vogue, per una rivista di moda e cappelli; il marchio Rolls-Royce, per automobili e

componenti per radio; il marchio Beech-Nut, per alimentari e sigarette. L’autore ha altresì

aggiunto che i marchi Rolls-Royce, Aunt Jemima’s e Kodak sono stati “associated in the

public mind with a particular product, not with a variety of products, and have created in

the public consciousness an impression or symbol of excellence of the particular product

in question. Should the rule […] that a trademark may be used on different classes of

goods, be literally adhered to, there is not a single one of these fanciful marks which will

not, if used on different classes of goods, or to advertise different services, gradually but

surely lose its effectiveness and unique distinctiveness.”

275 Si tratta del caso riguardante il marchio celebre Odol, utilizzato per contraddistinguere

dei colluttori, e in cui il titolare aveva proposto un’azione di nullità nei confronti della

registrazione di un terzo dello stesso marchio Odol per dei prodotti in acciaio. La corte

tedesca ha stabilito che l’attore aveva un interesse “in seeing that its mark is not diluted:

it would lose in selling power if everyone used it as the designation of his goods.” La

parola dilution, a parte in questa citazione della sentenza tedesca, non è mai stata usata

dall’autore, che ne ha definito il concetto tramite l’espressione “gradual whittling away”,

assimilabile alla moderna dilution by blurring. L’articolo di Schechter non ha trattato,

invece, della dilution by tarnishment. 113

base della dilution doctrine, che ha proposto una nuova forma di tutela del well-

known trademark, azionabile anche in assenza di un pericolo di confusione, nei

confronti di terzi che abbiano utilizzato il segno altrui per contraddistinguere

unrelated goods. Tale forma di tutela era pensata proprio per proteggere il titolare

dal pericolo di dilution, ossia dall’indebolimento della capacità attrattiva del

proprio marchio.

La dilution doctrine ha fatto il proprio ingresso nell’ordinamento dell’Unione

Europea grazie alla riforma del sistema dei marchi, operata dalla Direttiva

89/104/CEE e dal Regolamento 40/94/CE sul marchio comunitario. Come si è

visto nei precedenti capitoli, le modifiche sono state recepite dal legislatore

italiano con la fondamentale riforma del 1992.

Prima del 1992, la dottrina italiana era divisa in merito all’applicazione della

276

teoria della dilution ai marchi celebri, mentre la giurisprudenza, in tutte le

277

circostanze, ha rifiutato la sua applicazione.

276 Cfr. VANZETTI, Equilibrio d’interessi e diritto al marchio, in Riv. Dir. Comm., 1960,

I, pag. 272, in cui l’autore ha osservato che la teoria della dilution del marchio “prende le

mosse dall’ovvia considerazione che quanto più largamente è usato un simbolo, tanto

meno efficace risulterà per i singoli utenti di esso; poiché per i sostenitori di questa

teoria il valore di un marchio risiede proprio nella sua capacità di suggestione, che deve

essere tutelata contro ogni lesione, […] ne deriva l’asserzione della necessità di tutela

del marchio suggestivo anche contro il suo impiego su prodotti non concorrenti, in

quanto tale impiego comporterebbe la diluizione di esso.” Per opinioni contrarie al

riconoscimento della teoria della dilution cfr. DI CATALDO, I segni distintivi, Milano,

1993, pag. 107, in cui l’autore ha rifiutato la tesi per cui “il marchio celebre, che è

«unico» fino ad un certo momento, perdendo la sua unicità a causa dell’adozione da

parte di un terzo, perde parte del suo valore, perché la sua immagine, presso il pubblico,

diviene meno efficace”, ritenendola “poco convincente, perché non è provato che la

perdita dell’«unicità» implichi una diminuzione di «efficacia» del segno.” Cfr. anche

LEONINI, Marchi famosi

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A.A. 2013-2014
153 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher teotremo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Giudici Silvia.