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ATTO III
La principessa dà ordine che quella notte nessuno deve dormire a Pechino: fa bussare ad ogni porta della città per chiedere a tutti il nome del principe straniero. Il principe aspetta che arrivi l'alba fiducioso che alla fine il suo amore vincerà. In molti si avvicinano al principe cercando di convincerlo a pronunciare il suo nome ma il rifiuto di Calaf è sempre secco e deciso. Intanto le guardie hanno catturato Timur e Liù e li portano al cospetto di Turandot. Liù si sacrifica dichiarando di essere la sola a conoscere il nome del principe. Turandot la fa torturare, ma la piccola schiava non cede; meravigliata la principessa le chiede dove trova tutta quella forza, Liù risponde che le viene dall'amore, poi si trafigge con un pugnale e muore. La morte di Liù scuote profondamente Timur e tutta la folla. Con la morte di Liù terminerà il lavoro del Maestro. L'ultima parte è completata da Franco.Alfano sulla base di appunti lasciati dal compositore. La folla si allontana e per la prima volta Calaf e Turandot rimangono soli, Calaf è ancora convinto di poter conquistare la bella principessa e con impeto si getta verso di lei baciandola. Inizia così il crollo finale della crudele principessa che scopre per la prima volta emozioni forti. Il principe le svela il suo nome: si chiama Calaf. Davanti il popolo e all'imperatore Turandot dichiara di conoscere il nome dello straniero: "il suo nome è Amore!". Il dolore e la tragedia sono finalmente alle spalle e l'opera si chiude con un coro di giubilio.
Personaggi e simboli è un'opera caratterizzata da forti contrasti, evidenti fin da subito e l'uso di Turandot, oltre ad essere l'opera dei simboli, enfatizza ancora di più questo aspetto. Ma Turandot è anche l'opera del mistero. Il mistero è ovunque e sembra essere il
Il vero soggetto della rappresentazione. Lo si ritrova in mille sfaccettature diverse e non smette mai di far interrogare e riflettere lo spettatore. Ci sono misteri palesi legati agli enigmi di Turandot, al nome di Calaf ma soprattutto c'è il mistero rappresentato dal personaggio stesso di Turandot, emblema del femminile, senza dimenticare il mistero dell'altro e dell'amore. L'opera è costruita su una dialettica degli opposti.
Turandot e Calaf: la morte e la vita. A proposito di contrasti, basti pensare all'opposizione Turandot-Calaf, a cui sono collegati rispettivamente concetti, idee, sentimenti, simboli sempre in coppia: femminile-maschile; notte-giorno; luna-sole; morte-vita; buio-luce. L'opera è quindi costruita su una dialettica degli opposti. Turandot rappresenta la luna: è bianca, fredda e distante, appare ogni notte e illumina tutto con la sua bellezza, ma è anche immagine di morte. Calaf invece è il sole,
la vita, è l'alba che sconfigge le tenebre, il calore che scioglie il cuore di ghiaccio di Turandot; è l'amore che vince e trionfa. Puccini nelle sue opere aveva sempre dedicato più attenzione ai personaggi femminili: loro sono le protagoniste cui gravitano i personaggi maschili, nella sua ultima opera il personaggio maschile è molto forte, proprio perché è il portatore dell'amore. invece Calaf quindi è proprio l'emblema dell'amore. Fa maturare in Turandot un nuovo ordine di idee, in cui l'amore e la vita finalmente hanno la meglio sull'odio e la morte. Ecco la chiave della sua vittoria. Lo vediamo superare gli enigmi facendo affidamento più sui suoi sentimenti che sull'intelletto, la memoria o il ragionamento. I suoi sentimenti lo guidano sempre nella giusta direzione. Questo alla fine lo capirà anche Turandot (anche grazie al sacrificio di Liù): l'amore non è una debolezza,
ma una grande forza e anche una via di conoscenza.182.6.2. Turandot e Liù: le due figure femminili
Oltre alla contrapposizione Turandot-Calaf, esiste anche quella tra Turandot e Liù, due immagini di femminilità opposte. Entrambe insolute nella loro identità e nella vita interiore, proiettano verso l’esterno, in modo opposto, questa loro incompiutezza: una dedicandosi totalmente al vecchio Timur, dal momento che l’amato Calaf si è perduto durante una battaglia, l’altra richiudendosi in un autistico silenzio, che la porta ad allontanare ed uccidere qualsiasi pretendente per proteggersi dalle sue paure.
Liù è un’umile schiava, piccola e debole specialmente in confronto ad un personaggio come Turandot. Liù è povera di mezzi e di potere materiale, ma provvista di una coscienza superiore che le viene dall’amore e che le consente di tener testa a Turandot. Rappresenta quindi l’amore, quello che saattendere e comprendere. In lei l'amore è così grande che può infonderlo nel cuore della principessa di gelo. Infondo ella non è la suarivale, ma una vittima che merita di essere aiutata, una donna alla quale è giusto restituire il diritto e la possibilità di amare. E allora si comprende come il suo sacrificio sarà necessario per diventare parte di lei. Turandot invece è un personaggio che rifiuta l'amore in maniera radicale. Figlia dell'imperatore della Cina è una principessa tiranna e sanguinaria che manda al patibolo uno dopo l'altro tutti i pretendenti che osano presentarsi al suo cospetto e che soprattutto non riescono a risolvere i tre enigmi da lei proposti. Soltanto colui che supererà i tre enigmi potrà ottenere la sua mano. In realtà, questo è un pretesto che ha escogitato Turandot per evitare di doversi concedere in sposa a qualcuno e perdere la propria purezza e
libertà. Vibrante è in lei il ricordo tramandato da stirpe in stirpe di un'antica progenitrice, la coraggiosa principessa Lo-u-Ling, barbaramente uccisa per mano straniera mille anni prima. Turandot crede di essere la sua reincarnazione e da questo episodio nasce il desiderio di vendetta e l'avversione spietata che Turandot nutre nei riguardi del sesso maschile e tutto ciò che è "altro" straniero. La Turandot di Puccini è un personaggio molto più "dark" delle Turandot letterarie alle quali è ispirata. Attraverso la musica possiamo comprendere la psicologia più complessa del personaggio ed è proprio la musica che la rende umana, altrimenti rischierebbe di apparire soltanto come un mostro assassino.
CAPITOLO III
IL TORMENTATO FINALE DI TURANDOT: DA FRANCO ALFANO A LUCIANO BERIO
3.1. L'opera senza fine e la morte di Puccini
Puccini non terminò mai la sua opera. A chi si interessava alle
Sue precarie condizioni di salute diceva di non preoccuparsi: il suo destino era legato a quello della piccola Liù perché con la sua morte anche il maestro morirà. Il lungo lavoro svolto attorno ai personaggi, soprattutto riguardo alla protagonista, aveva esaurito le ultime energie del compositore, il quale non aveva trovato ancora lo spunto definitivo per le sue ultime scene, quelle cruciali della trasformazione.
In realtà il lavoro sulla Turandot non rimase effettivamente incompiuto. Certamente a questo episodio contribuì anche il fatto che Puccini in quel periodo non godesse di buone condizioni di salute, tanto che morirà poco tempo dopo per un tumore maligno alla gola. Puccini, dopo aver scritto l'ultimo coro funebre dedicato alla morte di Liù, in cui raggiunse il massimo splendore della sua musica, non volle più continuare ritenendo il lavoro già perfettamente concluso. Il lavoro di stesura di un vero e proprio
finaleiniziò praticamente poche settimane prima della sua morte, ma non rimasero che abbozzi più o meno compiuti.
Il 4 Novembre del 1924, Puccini, accompagnato dal figlio Tonio, parte in treno da Pisa a Bruxelles, dove nella clinica del dottor Ledoux, delle applicazioni di radio tenteranno di domare il tumore alla gola che gli è stato diagnosticato. Puccini, con sé porta 36 fogli di musica con abbozzi del finale dell’opera. Ma a Bruxelles Puccini non avrà tempo per lavorare. Le cure sono dolorose. Oltre al figlio Tonio, giungono la moglie Elvira e Fosca Leonardi, sua prima figlia amatissima. L’intervento chirurgico dura tre ore e mezzo e viene compiuto il 24 Novembre. L’intervento sembra riuscire ma il 28 Novembre inizia una crisi estrema con un collasso. Trascorre la notte, al mattino riceve l’estrema unzione. Giacomo Puccini muore il 29 Novembre 1924 alle 11,30. Ha 66 anni, senza poter completare quella Turandot la cui gestazione
Apparve subito difficile e complessa. L'opera era quasi perfettamente compiuta, ma proprio il finale non riusciva a convincere il compositore. Alla sua morte Puccini lascia 36 pagine di schizzi divisi in 22 fogli. I frammenti testimoniano tra cancellature, correzioni e ripensamenti il travaglio dell'autore nella ricerca di una forma credibile da dare allo "sgelamento" della Principessa. Puccini si tormentò quindi fino ai suoi ultimi giorni dietro a questo finale: voleva creare una musica eccezionale per sancire quello che doveva essere il momento dell'opera. Ma purtroppo era destino di rimanere un'opera senza fine.
Il problema del finale è ancora aperto. Per non lasciare l'opera incompiuta, la Ricordi e il maestro Arturo Toscanini, in accordo con Antonio Puccini, il figlio di Giacomo Puccini, cercarono un compositore che completasse il finale. Per primi furono contattati Mascagni e Riccardo
Zandonai che però declinarono l'offerta. La scelta cadde poi su Franco Alfano, all'epoca aveva 51 anni ed era direttore del conservatorio di Torino. Compositore di un certo rilievo, si era formato per certi versi sotto l'influsso di Puccini, di cui era diventato amico personale. Fu un compositore già affermato e giunto Alfano fu anche l'autore dellaal successo internazionale sin dal 1904 con Risurrezione.Leggenda di Sakuntala, andata in scena nel 1921 a Bologna. Opera di ambientazione esotica e con caratteristiche simili a Turandot. Ricordi e Toscanini non si curarono troppo delle differenze di scrittura musicale e ritennero Turandot e Sakuntala affini. Alfano inizialmente non si sentì di accettare l'offerta, ma poi si convinse a tentare questa impresa proprio per la grande ammirazione che nutriva per il compositore scomparso. Cercò di decifrare al meglio gli appunti e la volontà di Puccini e creò un primo finale cheviene chiamato Alfano I. Le cose, però, non andarono secondo le sue pre