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Dieta consigliata prima delle mestruazioni

Oltre ad un ridotto apporto di grassi alimentari, è consigliata anche una dieta iposodica nei dieci giorni che precedono la comparsa delle mestruazioni. In questo modo è possibile prevenire alcuni dei disturbi tipici della ritenzione idrica come gonfiore addominale, edema alle estremità e stipsi. In maniera analoga è importante evitare un consumo di zuccheri troppo raffinati. In seguito ad una loro assunzione, aumentano i livelli di insulina con un conseguente incremento della ritenzione idrica: quest'ultima può interagire con l'aldosterone attivandolo. Questa è la motivazione per la quale nelle donne con la sindrome premestruale viene raccomandato di ridurre l'introito di bevande alcoliche, particolarmente ricche di zuccheri. Tra gli alimenti sotto accusa si trovano anche quelli contenenti caffeina. Tale metilxantina, oltre ad essere uno stimolante del sistema nervoso, blocca i recettori dell'adenosina aumentando al tempo.

stesso adrenalinae dopamina. Ne consegue un aumento di ansia, irritabilità, depressione, insonnia e nervosismo. L’aumentodi adrenalina inoltre influisce negativamente sul funzionamento del progesterone e quindi sul normaleassetto ormonale. La caffeina può aumentare anche i dolori al seno e facilitare la formazione di noduliincrementando il rischio di una mastopatia fibrocistica (Verma et al., 2014; Minton et al., 1979; Dickerson etal., 2003).

4.1.2 Integrazione dietetica

Nel corso degli ultimi anni molte ricerche hanno osservato che alcuni micronutrienti e vitamine possiedonoun ruolo importante nella sindrome premestruale. Evidenze scientifiche sostengono che un’integrazione dicalcio, di magnesio e di vitamina D debba essere effettuata da tutte le donne affette da SPM sia nella formamoderata che grave.

La relazione tra gli ioni calcio e la sindrome premestruale è stata studiata da tempo. Okey e collaboratori, nel1930, hanno dimostrato che i livelli

plasmatici di calcio nelle donne con SPM si presentavano inferiori durante il periodo premestruale rispetto a quelli registrati la settimana successiva le mestruazioni, ovvero durante la fase follicolare. Tale risultato può essere spiegato considerando che un'elevata concentrazione ematica di estrogeni, durante l'ovulazione o la fase luteale, può inibire il riassorbimento osseo e ridurre la calcemia. Squilibri ormonali possono quindi alterare l'omeostasi calcica a cui segue una riduzione dei livelli di calcio nel sangue e un aumento della permeabilità capillare con sintomi quali depressione, tensione, crampi ed emicrania (Molteni & Cioni, 2008). Diversi studi sono stati condotti per verificare se il calcio potesse essere considerato un valido rimedio per il trattamento della sindrome premestruale. Nel 1989 un piccolo studio randomizzato, incrociato, controllato con placebo, ha analizzato l'efficacia dell'integrazione di calcio in donne.con SPM: 33 partecipanti hanno ricevuto giornalmente per tre mesi 1000mg di calcio elementare sotto forma di carbonato di calcio. A questi sono seguiti poi tre mesi di placebo. Al termine dello studio il 73% delle donne ha riportato, in seguito all'assunzione di calcio, un miglioramento globale della sintomatologia. Inoltre il calcio elementare si è dimostrato efficace nel ridurre il 50% dei sintomi caratteristici della sindrome premestruale (Thys-Jacobs et al., 1989; Verma et al., 2014). Nel 1993 uno studio metabolico, in doppio cieco, ha dimostrato che l'assunzione giornaliera di 1336 mg di calcio in 10 donne affette da SPM portava ad un alleviamento dei disturbi dell'umore, del comportamento, del dolore e dell'aritenzione idrica. Tale miglioramento è risultato essere superiore rispetto a quello derivante da un apporto di calcio di 587 mg/die (Penland et al., 1993; Bendich, 2000). A questi due promettenti studi preliminari è seguito uno studio prospettico.

multicentrico, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, particolarmente importante. In questo studio statunitense 466 donne tra i 18 e i 45 anni, con una diagnosticata sindrome premestruale, hanno ricevuto 1200 mg/die di calcio elementare o un placebo per tre cicli mestruali consecutivi. Durante il trattamento le partecipanti dovevano compilare giornalmente un diario sintomatologico costituito da una lista dei 17 sintomi tipici della sindrome premestruale. In base alla valutazione individuale è stato ricavato un punteggio medio relativo alla sintomatologia della fase luteale. All'inizio dello studio tale punteggio era di 0.90 ± 0.52 per il gruppo trattato e di 0.92 ± 0.55 per il gruppo placebo. Dopo tre mesi di trattamento il punteggio è risultato essere di 0.43 ± 0.40 per il gruppo trattato e di 0.60 ± 0.52 per il gruppo placebo. In sintesi, in seguito alla somministrazione di calcio, si è verificata una riduzione

complessiva dei sintomi del 48% contro il 30% del placebo. Il calcio, nello specifico, si è dimostrato efficace nel mitigare l'intensità delle quattro principali classi di sintomi premestruali con una riduzione del 45% delle emozioni negative, del 36% della ritenzione idrica, del 54% del desiderio di cibo e del 54% del dolore fisico. Oltre a queste, 15 dei 17 sintomi individuali sono stati alleviati (labilità emotiva, depressione, irritabilità, ansia, rabbia, crisi nervose, edema alle estremità, tensione mammaria, gonfiore addominale, crampi, dolori, mal di schiena, emicrania, alterazioni dell'appetito, desiderio di dolce o salato). È importante notare che l'integratore dietetico non ha comportato un miglioramento della sintomatologia durante la fase mestruale e intermestruale (sette giorni dopo la cessazione delle mestruazioni) (Thys-Jacobs et al., 1998).

In uno studio multicentrico, in doppio cieco, è stato visto che in 405

donne con DDPM la fluoxetina, inibitore selettivo del reuptake di serotonina, era in grado di ridurre del 45% sintomi comportamentali quali labilità emotiva, depressione, tensione e irritabilità. Parallelamente, nello studio precedente, il calcio aveva indotto una riduzione dei sintomi affettivi del 45%. Ne deriva quindi che il calcio può essere considerato al pari della fluoxetina nel trattamento della SPM con la differenza di essere una terapia più sicura, poco costosa e con meno effetti collaterali (Steiner et al., 1995; Thys-Jacobs et al., 1998). In un altro studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, 179 studentesse, che rispondevano ai criteri diagnostici della SPM, sono state suddivise in due gruppi e trattate con un placebo o con 500 mg di carbonato di calcio due volte al giorno per tre cicli mestruali. Similmente agli studi precedenti, è emerso che il calcio era capace di ridurre del 36% i sintomi fisici e psichici della SPM contro

Il 29% del placebo. In particolare, rispetto al placebo, si è verificato un miglioramento di sintomi quali stanchezza, alterazioni dell'appetito e depressione (27% vs 7%) (Ghanbari et al., 2009).

Dai precedenti studi clinici è possibile notare che l'apporto di calcio solitamente somministrato si aggira attorno ai 1000-1200 mg/die. In media il fabbisogno giornaliero di calcio nelle adolescenti (14-18 anni) è di circa 1200-1500 mg, mentre nelle donne adulte (19-50 anni) è di 1000 mg. Le donne affette da SPM in genere rappresentano un deficit di calcio: questa carenza si è notata anche in tutte le donne fertili, il cui apporto medio giornaliero risulta essere insufficiente (circa 607-809 mg) rispetto al fabbisogno. Pertanto una supplementazione giornaliera pari a 1000 mg può essere considerata sicura dal momento che la dose massima tollerabile si aggira attorno ai 2500 mg/die (Bendich, 2000).

La supplementazione dietetica e l'utilizzo di

integratori a base di carbonato di calcio appare condizione necessaria ma non sufficiente per il trattamento della sindrome premestruale. A fianco di un'integrazione di calcio è importante anche ridurne le perdite dall'organismo. Tale obiettivo può essere raggiunto normalizzando l'apporto proteico, evitando eccessi dietetici di sodio, di caffeina e di tabacco, praticando un'attività fisica regolare e garantendo un corretto apporto di vitamina D₃ (Molteni & Cioni, 2008). In merito all'integrazione vitaminica, Thys-Jacobs e collaboratori (2000) hanno dimostrato che le donne affette da SPM presentano non soltanto una bassa calcemia ma anche un'ipovitaminosi D. Una ridotta disponibilità di vitamina D₃ è associata ad uno scorretto assorbimento intestinale di calcio e ad una conseguente incapacità di tamponare la riduzione dei livelli sierici di calcio durante la fase luteale del ciclo mestruale. La vitamina D₃, o colecalciferolo,

È un ormone che, assieme al paratormone (PTH), regola i livelli plasmatici degli ioni calcio mantenendoli costanti. Viene prodotta dopo esposizione alla luce solare e sintetizzata a partire dal colesterolo. Per poter esplicare la sua azione, sono necessari due passaggi metabolici. Il primo consiste nella formazione della 25-idrossivitamina D₃, 25-OHD₃, a livello epatico. Il secondo in una sintesi del calcitriolo o 1,25-(OH)₂D₃ a livello renale (Molteni & Cioni, 2008). Il calcitriolo è il metabolita attivo della vitamina D ed è essenziale per permettere l'assorbimento intestinale degli ioni calcio. Infatti l'1,25-(OH)₂D₃ si lega al recettore nucleare della vitamina D (VDR) e in questo modo agisce come fattore di trascrizione stimolando l'espressione genica della calbindina (proteina di trasporto del calcio) negli enterociti. Esiste quindi un importante meccanismo di compenso che permette di incrementare la produzione renale di calcitriolo.

in risposta ad un basso introito di calcio, favorendone l'assorbimento anche se presente in quantità ridotte. Dunque, se l'apporto di vitamina D non risulta essere adeguato, l'ipocalcemia non viene compensata (Molteni & Cioni, 2008). Allo stesso modo un'alterata funzionalità delle paratiroidi (ipoparatiroidismo) può portare ad una produzione insufficiente dell'ormone paratiroideo a cui segue una mancata attivazione della vitamina D a livello renale. Ciò è dovuto al fatto che, in base ai livelli di calcemia, il PTH è in grado di regolare direttamente e indirettamente il metabolismo della vitamina D. Le ragioni dell'ipovitaminosi D sono molteplici. Nell'alimentazione la vitamina D è scarsamente reperibile e l'80% del fabbisogno (10 µg/die pari a 400 UI) è garantito dall'irradiazione solare presente soltanto in alcuni periodi dell'anno. Diversi studi hanno inoltreosservato che un picco degli ormoni ovarici durante la fase luteale può indurre la degradazione della 25-idrossivitamina D₃, principale metabolita circolante della vitamina D, riducendone i livelli sierici. L'estradiolo infatti può aumentare, a livello cellulare, l'espressione dell'enzima responsabile della degradazione della vitamina D. Questo fenomeno potrebbe avere implicazioni sulla salute delle donne, considerando che la vitamina D svolge un ruolo importante nella regolazione del metabolismo del calcio e nella salute delle ossa.
Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
55 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/14 Farmacologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alexia.val97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Farmacognosia e farmacologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof Biologia Prof.