La pubblicità informativa degli avvocati
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ESTRATTO DOCUMENTO
Introduzione
"Imputato #1: Avevo un buon lavoro, ma un giorno il mio capo mi ha
accusato di furto! Mi conviene chiamare Saul!
Imputato #2: Avevo bevuto a una festa, non facevo niente di male!
Poliziotta: Signore, lei è in arresto.
Imputato #2: Mi conviene chiamare Saul!
Saul Goodman: Il mio nome è Saul Goodman. Sapevi di avere dei
diritti? Lo dice la nostra costituzione e lo dico anch'io. Finché non si
dimostra io credo che ogni uomo, donna o bambino sia innocente! Ed
è per questo che intendo lottare per te! Ti conviene chiamare Saul!
Chiama il 505 164! Ripeto 505 164! Parliamo spagnolo!"
Il mio percorso parte proprio da questo spot pubblicitario (tratto da
una serie tv americana, Breaking Bad), un po' fantasioso ma di certo
molto vicino alla realtà dei fatti al di là dell'oceano: i diritti dei
cittadini diventano prodotti acquistabili all'ingrosso e, soprattutto, gli
avvocati si travestono da attori navigati e si fanno pubblicità in
televisione.
L'obiettivo del mio lavoro è analizzare, prima di tutto, la disciplina
italiana e poi, una volta messi a fuoco i limiti e i passi avanti fatti nel
corso degli anni, spostarmi nei paesi più vicini alla nostra tradizione
giuridica, fino ad arrivare al legal marketing a stelle e strisce.
Tra i vari testi consigliati per la preparazione dell'esame di "Logica e
argomentazione giuridica e sociologia del diritto con elementi di
deontologia professionale e informatica giuridica" c'è il saggio di un
avvocato a me sconosciuto (ai tempi): "La deontologia forense in
Italia" di David Cerri. La lettura prosegue liscia e piacevole fino al
paragrafo 11, intitolato "Un caso paradigmatico: la pubblicità degli
avvocati": è lì che si accende la mia curiosità, è lì che si materializza
la voglia di approfondire e di fare mio l'argomento. Grazie al
benestare e alla disponibilità del Professore Greco, il docente della
materia succitata nonché mio relatore, ho il piacere di conoscere
quello stesso avvocato che aveva fomentato il mio interesse: sarà lui
stesso a fornirmi la maggioranza dei testi consultati per la redazione di
questa mia tesi e a seguirmi passo passo, fino alla stesura finale.
La mia indagine conoscitiva comincia con un breve preambolo sulla
deontologia professionale, globalmente intesa, fino ad arrivare a
quella specificatamente forense.
Di seguito si sposta proprio sulla pubblicità informativa: un'analisi
storica, tecnica e socio-economica metterà a fuoco i dettagli ed i
risvolti che questo profilo della deontologia forense ha avuto e che ha
nel momento in cui si scrive.
Allargando il raggio d'azione, l'esplorazione si trasferisce negli
ordinamenti di civil law come il nostro, poi si ferma nel Regno Unito
per poi ripartire alla volta della Turchia, passando e soffermandosi
sugli enti sovranazionali che fanno capo all'Unione Europea. Infine,
come anticipato, si mette sotto la lente d'ingrandimento la disciplina
della nazione dove il tutto ha visto i natali: nemmeno a dirlo, gli
U.S.A..
Non mancherà un'analisi sul nuovo Codice Deontologico Forense,
entrato in vigore lo scorso 15 Dicembre 2014: l'attenzione si
concentrerà sul nuovissimo impianto sanzionatorio, sulla rivisitata
composizione dei titoli e degli articoli che ne fanno parte e, per finire,
su quegli istituti che hanno appena (ri)visto la luce.
Utile e fondamentale è risultata la consultazione di testi e di saggi
dedicati all'argomento trattato: molti dei quali portano la firma di
Cerri. Degni di nota sono anche gli scritti del Prof. Avv. Guido Alpa
(presidente uscente del Consiglio Nazionale Forense), del Prof. Avv.
Giuseppe Colavitti (coordinatore del comitato di redazione di
Rassegna forense, rivista trimestrale del Consiglio Nazionale Forense
studi del CNF) e del Prof. Aldo
diretta dal Prof. Alpa, e dell’Ufficio
Berlinguer (docente ordinario di Diritto Comparato presso l'Università
di Cagliari); in particolare, il testo di quest'ultimo intitolato "La
professione forense: modelli a confronto" ha ricoperto un ruolo
basilare per la stesura del III capitolo, dedicato appunto al raffronto
delle varie discipline normative degli stati esteri.
1. La deontologia forense
L'etimologia della parola "deontologia" è da ricondursi al greco "deo"
(che significa "dovere") e "ontos" (participio presente del verbo
essere). Per Kant la correttezza etica di un comportamento era un
dovere assoluto e innegabile: è la logica che, attraverso l'imperativo
categorico, deve determinare l'irreprensibilità di un'azione. D'altro
canto, Schopenhauer, ideologicamente contrario al suo connazionale,
sosteneva che il concetto di dovere ha senso solo se messo in relazione
a una promessa di premio o a una minaccia di castigo: l'imperativo
non sarebbe mai categorico (incondizionato), bensì soltanto ipotetico
(perché condizionato dal premio o dalla minaccia).
Fatto sta che oggi la deontologia viene intesa come l'insieme di norme
etico - sociali che disciplina l'esercizio di una categoria professionale.
Alcune di queste - perlopiù si tratta di professioni intellettuali - a
causa delle loro peculiari caratteristiche sociali, comportano
l'iscrizione all'Ordine di appartenenza e devono rispettare un
determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere
la dignità o la salute di chi sia oggetto del loro operato. L'art. 2229 del
codice civile (contenuto nel Titolo III dedicato al lavoro autonomo)
dichiara espressamente che spetta all'Ordine il potere disciplinare sugli
iscritti:
Art. 2229 c.c. - Esercizio delle professioni intellettuali
La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi o elenchi.
L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei
medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni
professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga
diversamente.
Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i
provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto
all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e
nei termini stabiliti dalle leggi speciali.
Ed è proprio per questo motivo che gli ordini professionali hanno
sviluppato dei codici deontologici, di cui sarebbero tutori mediante
l'esercizio dei poteri disciplinari. Si tratta, appunto, di codici di
comportamento cui il professionista deve attenersi per l'espletamento
della sua attività; si tratta frequentemente di un atto di soft law, vale a
dire una norma che non rientra tra le fonti tradizionali del diritto e che,
di conseguenza, nella sua formazione, non conosce l'iter
procedimentale delle fonti statali ma solo quello dell'organismo della
categoria professionale che se ne vuole dotare. Anche l'Ordine degli
avvocati ha conosciuto il suo Codice Deontologico che, dal 1997 al
momento in cui si scrive, ha subito diverse modifiche vuoi per
interventi legislativi, vuoi per uniformarsi al mutato contesto socio-
economico che ruota attorno alla figura dell'avvocato.
Figura che ha avuto diverse sfaccettature, a partire dai nutricola
causidicorum (come li chiamava Giovenale) dell'Antica Roma,
passando per l'Azzeccagarbugli raccontatoci da Manzoni, fino ad
arrivare alla più recente riforma, ovvero quella della legge del 2012,
ma che ha sempre conservato quell'aura di quasi sacralità, degna di
grande considerazione. Ed in conseguenza di ciò e del suo ruolo di
fondamentale importanza che riveste nello Stato di diritto in cui
viviamo che l'avvocato è obbligato a mantenere sempre una condotta
irreprensibile, ed è tenuto ad uniformarsi "ai principi contenuti nel
codice deontologico emanato dal Consiglio Nazionale Forense ai sensi
degli articoli 35, comma 1, lettera d), e 65, comma 5 (della legge 247
del 2012). Il codice deontologico stabilisce le norme di
comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e,
specificatamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte,
con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice espressamente
individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla
tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione,
hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono
essere caratterizzate dall'osservanza del principio della tipizzazione
della condotta e devono contenere l'espressa indicazione della
1
sanzione applicabile" . Da ciò si evince che la regolamentazione della
deontologia forense costituisce la base su cui poggia l'affidamento del
pubblico interesse al corretto esercizio della professione, dal momento
che la difesa ha funzione sociale e rappresenta un modo per
concretizzare i diritti a rilevanza costituzionale (art. 24 Cost.). Il
codice deontologico elenca doveri, regole di condotta, canoni, principi
e norme di comportamento: la loro violazione rappresenta un illecito
disciplinare, che viene accompagnato da una sanzione (prevista
sempre dal codice) irrogata dai consigli distrettuali di disciplina. Ma
non è sempre stato così.
La prima legge in materia, risalente al 1874, non fa espresso
riferimento all'etica professionale: si limita a catalogare una serie di
principi, tratti dalla prassi forense e dall'antica saggezza, riprodotti
sinteticamente e a mo' di enciclopedia a beneficio di chi leggeva. "Le
regole etiche in un certo senso si confondevano con quelle giuridiche,
ma erano così note da non richiedere ulteriori illustrazioni: chi
2
apparteneva a quel ceto le conosceva naturaliter" . I capisaldi della
deontologia forense vengono individuati per la prima volta con la
legge professionale novecentesca (r.d.l. 27.11.1933 n. 1578): si
comincia a parlare di dignità e decoro; chi non vi rende conforme la
propria condotta viene sottoposto a procedimento disciplinare, che
consta di decisioni - provvedimento (atti amministrativi) degli Ordini
territoriali e di decisioni - sentenza (atti giurisdizionali) del Consiglio
nazionale forense, al quale possono appellarsi gli avvocati "condannati
in primo grado". Il combinarsi delle regole scritte con la prassi
giurisprudenziale contribuì a far acquisire al CNF il rango di giudice,
1 Art. 3, co. 3, l. 247/2012.
2 Guido Alpa, Etica e Responsabilità - Principi fondamentali della deontologia
forense e società civile in Italia, Roma, 2010, p. 92.
equiparato a quello ordinario. Non solo: da ciò il dibattito sulla natura
delle norme etiche, delle decisioni del Consiglio e sul suo ruolo.
"Quando il Consiglio nazionale forense, nei compiti disciplinari e di
gestione degli albi professionali, esercita la sua funzione
giurisdizionale, non si pone come giudice speciale nella applicazione
del sistema normativo legale, bensì come giudice (etico) nella
applicazione del sistema normativo etico che governa l'attività della
3
professione forense" : ad oggi, questo è l'orientamento tenuto sia dalla
Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione. È il 1997 quando
vede la luce il primo Codice deontologico forense: si tratta di un
"contenitore" di principi articolati in formule di natura generale e
canoni dimostrativi. Elenca esemplificazioni di condotte scorrette,
neppure collegate a specifiche sanzioni; di conseguenza anche
l'illecito ha carattere generale, senza essere raccolto in un numero
chiuso: sono grandi le differenze con l'ultimo Codice del 2014. Si
viene a creare una sorta di "trinità" deontologica composta dalla legge
forense, dalla giurisprudenza del CNF e, appunto, dal nuovo codice.
Se dal punto di vista strettamente normativo pareva che fosse stata
raggiunta una certa stabilità, questa viene minata da alcune direttive
dell'Unione Europea e dall'azione dell'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato. È proprio l'AGCM, tramite due indagini
conoscitive (datate 1997 e 2009), che ritiene i codici deontologici una
barriera al libero esercizio dell'attività professionale e alla libera
concorrenza: dove c'erano restrizioni, queste dovevano essere rimosse.
Il tutto veniva aggravato dal disposto dell'art. 14 del d.l. 233/2006:
«nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave ed
irreparabile per la concorrenza, l'Autorità può, d'ufficio, ove constati
ad un sommario esame la sussistenza di un'infrazione, deliberare
l'adozione di misure cautelari».
Ed è proprio grazie a questi poteri che l'AGCM ha provveduto ad
3 Angelo Falzea, Sulle funzioni giurisdizionali del Consiglio nazionale forense, in
Rassegna forense, 1984, p. 279.
esaminare se gli ordini professionali (compreso quello forense)
avessero abrogato le norme sul divieto di pubblicità, sul divieto del
patto di quota lite e sull'applicazione delle tariffe. Il CNF, quando ha
dovuto adeguarsi, ha fatto eccezione per il divieto di pubblicità
comparativa, ritenendo che la sua abolizione dovrebbe presupporre
una completa assimilazione ai servizi d'impresa. Altre disposizioni
(una su tutte, la "legge sulle liberalizzazioni") hanno portato il CNF a
ribadire che principi quali la dignità e il decoro sono irrinunciabili,
come del resto anche la trasparenza e la conformità dell'attività
promozionale agli standard posti a tutela dell'affidamento della
clientela, avendo sempre a mente il principio sancito dall'art. 24 della
Costituzione.
Più rispettosa dell'autonomia deontologica delle organizzazioni
professionali è la direttiva europea n. 123 del 2006 (cd. ex Bolkestein)
che, nel considerando n. 100, recita:
«occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni
commerciali per professioni regolamentate, revocando non i divieti
relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei
divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono
una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto
assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di
comunicazione. Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle
comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del
settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di
condotta a livello comunitario».
Tenuto conto anche di queste indicazioni, il CNF, nel Dicembre del
2006, ha affermato il principio opposto a quello seguito fino a quel
momento : ossia la libertà di forme nella comunicazione di
informazioni sull'attività professionale; mentre, in precedenza, lo
stesso Codice elencava i mezzi attraverso i quali era possibile
comunicare a terzi l'attività dello studio.
La succitata direttiva, all'art. 24, dispone così:
«1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di
comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni
commerciali che emanano dalla professioni regolamentate
ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto
comunitario, riguardanti, in particolare, l'indipendenza, la dignità e
l'integrità della professione nonché il segreto professionale, nel
rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole
professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non
discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale
e proporzionate».
L'intento , chiaro ed univoco, del legislatore comunitario è quello di
incoraggiare all'autoregolamentazione delle professioni, che
4
riscontriamo anche nella questione delle assicurazioni professionali , e
non vuole farsi fautore di una "rivoluzione liberale, ma semmai si
limita a registrare esiti già acquisiti negli stati membri, talvolta anche
in forma volontaria da parte delle categorie, [...] forse la maggiore
novità consiste nella prospettiva generale nella quale gli obblighi
informativi sono inquadrati. Il punto di vista che la direttiva assume è
quello del fruitore dei servizi, e pertanto gli obblighi di informazione
che gravano sui prestatori di servizi sono considerati altrettanti oggetti
5
di diritti in capo ai fruitori degli stessi" .
4 Con il d.p.R. 137/2013, tutte quelle categorie di lavoratori che si trovano spesso
ad affrontare problemi dovuti a richieste di risarcimento per responsabilità civile,
sono obbligare a stipulare un'apposita polizza assicurativa per responsabilità RC
professionale.
5 Giuseppe Colavitti, La direttiva Bolkestein e la liberalizzazione dei servizi
professionali, Rassegna Forense, 2009, pp. 44 ss.
2. Il nuovo codice deontologico forense italiano
Il 15 Dicembre 2014 è entrato in vigore il nuovo codice deontologico,
approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 Gennaio scorso e
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 Ottobre 2014.
Queste che seguono sono le parole con cui Guido Alpa, presidente del
C.N.F., ha presentato - il 19 Febbraio 2014 - la nuova raccolta:
«con il nuovo codice deontologico, moderno ed aggiornato,
configuriamo l’Avvocato del nuovo millennio a fianco dei cittadini,
delle imprese, degli organismi intermedi, con le sue capacità di
assistenza e soprattutto di consiglio» e, ancora, «diamo un segnale
forte di serietà, correttezza e responsabilità sociale».
Della redazione del nuovo testo si è occupata in particolare la
commissione deontologica del C.N.F. coordinata dal Consigliere Avv.
Stefano Borsacchi; questo codice rappresenta l'ultimo tassello, in
ordine di tempo, della riforma dell'ordinamento forense, partita con la
l. 247/2012. Ed è la stessa legge di riforma che ha previsto, agli
articoli di seguito riportati, la revisione del C.D.F. entro un anno dalla
data di entrata in vigore della stessa legge e, sopra ogni cosa, che la
condotta del professionista sia uniformata ai principi elaborati dal
codice:
"Articolo 3 - Doveri e deontologia
[...] 3. L'avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel
codice deontologico emanato dal CNF ai sensi degli articoli 35, comma 1,
lettera d), e 65, comma 5. Il codice deontologico stabilisce le norme di
comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e,
specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri
avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua
fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico
interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali
norme, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall'osservanza del
principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l'espressa
indicazione della sanzione applicabile."
"Articolo 35 - Compiti e prerogative
1. Il CNF:
[...] d) emana e aggiorna periodicamente il codice deontologico, curandone la
pubblicazione e la diffusione in modo da favorirne la più ampia conoscenza,
sentiti i consigli dell'ordine circondariali, anche mediante una propria
commissione consultiva presieduta dal suo presidente o da altro consigliere da
lui delegato e formata da componenti del CNF e da consiglieri designati dagli
ordini in base al regolamento interno del CNF".
"Articolo 65 - Disposizioni transitorie
[...]5. Il codice deontologico è emanato entro il termine massimo di un anno dalla
data di entrata in vigore della presente legge. Il CNF vi provvede sentiti gli ordini
forensi circondariali e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense
in relazione alle materie di interesse di questa. L'entrata in vigore del codice
deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche
se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si
applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua
entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato."
Grazie a questo combinato di norme, si fa luce su alcune questioni che
negli anni sono sempre state spinose; innanzitutto, si legittima, una
volta per tutte, il Consiglio Nazionale Forense ad emanare il codice
deontologico: si tratta di una competenza normativa esclusiva.
Ancora, seguendo l'indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione (sent. n. 26810/2007), con la necessità della
pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale" si consolida l'idea della
natura giuridica del codice. Per finire, con l'ultima parte del quinto
comma dell'art. 65, viene introdotto il principio del favor rei, che mai
era stato riconosciuto a causa della natura non giurisdizionale dei
procedimenti disciplinari tenuti dai Consigli dell'Ordine. 6
Come espresso a chiare lettere nella relazione illustrativa , tutte le
norme del nuovo codice hanno rilievo disciplinare, dal momento che
"le previsioni deontologiche tutelano, in ogni caso, l'affidamento della
6 Il testo della relazione è reperibile all'indirizzo URL che segue:
http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/area-cittadino/codice-
deontologico-forense/articolo8605.html
collettività ad un esercizio corretto della professione che esalti lo
specifico ruolo dell'avvocato come attuatore del diritto costituzionale
di difesa e garante della effettività dei diritti, salvaguardandosi, al
contempo, quella funzione sociale della difesa richiamata anche nelle
disposizioni di apertura della legge n. 247/2012" e, di conseguenza,
tutte queste norme "possono [...]ritenersi non espressioni di istanze
corporative bensì veicolo del pubblico interesse al corretto esercizio
della professione se è vero che la difesa ha funzione sociale ed è
7
mezzo di attuazione di diritti a rilevanza costituzionale" .
Ai sensi di altri articoli della stessa legge del 2012, che verranno
richiamati successivamente, il codice prevede doveri, regole di
condotta, canoni e principi, ai quali il legale deve uniformarsi
altrimenti il comportamento contrario costituisce illecito disciplinare.
"Articolo 51 - Procedimento disciplinare e notizia del fatto
1. Le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta dettati dalla legge o dalla
deontologia sono sottoposte al giudizio dei consigli distrettuali di disciplina."
"Articolo 17 - Iscrizione e cancellazione
1. Costituiscono requisiti per l'iscrizione all'albo:
[...] h) essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice
deontologico forense."
2.1. Le sanzioni
È proprio l'elemento dell'illecito disciplinare, collegato alla sanzione
applicabile, che costituisce un elemento di novità rispetto al passato.
Il codice previgente sottolineava in particolare i principi generali,
esemplificando i comportamenti deontologicamente scorretti, non
collegati a specifiche sanzioni; di conseguenza, anche l'illecito
assumeva carattere generale. Adesso invece, di regola e "per quanto
possibile", l'illecito diviene tipico e tipizzato e, qualora non lo fosse,
7 Ottavio Panone, Nuovo codice deontologico forense: dovere di corretta
informazione, in Diritto 24, a cura de Il Sole 24 Ore, 2014.
può essere in ogni caso ricostruito prendendo spunto dalla norma di
chiusura della legge forense:
"Articolo 3 - Doveri e deontologia
[...] 2. La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà,
probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale
della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza."
In questo modo si è venuto a creare un tendenziale processo di
tipizzazione, dove ad ogni illecito è collegato un tipo di sanzione
applicabile, senza esserci più discrezionalità nella scelta. Questo
aspetto è un'assoluta novità del codice, dal momento che, fino alla
precedente versione, la norma di chiusura (il vecchio articolo 60)
recitava così: «le disposizioni specifiche di questo codice
costituiscono esemplificazione dei comportamenti più ricorrenti e non
limitano l'ambito di applicazione dei principi generali espressi». Il
principio regolatore era che i comportamenti illeciti erano tratti
dall'esperienza giurisprudenziale e davano concretezza alle regole
generali, motivi per i quali la loro elencazione non poteva esaurire la
tipologia delle condotte punibili.
Con l'affermarsi del nuovo principio, però, non verrà meno l'attività
interpretativa della giurisprudenza disciplinare, che "costituirà lo
strumento che nel rispetto del principio di tipicità consentirà di
conservare al codice la necessaria elasticità apparentemente persa col
8
passaggio dal sistema dell'atipicità a quello della tipicità" .
Nello specifico sono due gli articoli del codice che si occupano di
illeciti e sanzioni: gli artt. 21 e 22, che vanno a chiudere il Titolo I
della raccolta. Il primo, citando la relazione illustrativa, si impegna a
recuperare e a razionalizzare i principi ed i criteri, conducenti ed
ispiratori, anche sulla scorta del "consolidato" giurisprudenziale, che
presiedono al sistema sanzionatorio" mentre il secondo "riproduce
8 Ubaldo Perfetti, Avvocati: operativo dal 15 dicembre 2014 il Codice Deontologico,
in Guida al Diritto/Il Sole 24 Ore, n. 2, 2015.
l’apparato punitivo previsto dalla legge prevedendo e regolando, ai
commi 2 e 3, ed una volta per tutte, il meccanismo del possibile
aggravamento e della possibile attenuazione della sanzione edittale
che è stata espressamente indicata e prevista per ognuna delle norme
della parte speciale e ciò in stretto ossequio al dettato della legge". La
suddetta sanzione edittale è stata individuata confrontando la diversa
esperienza disciplinare e la casistica giurisprudenziale. All'ultimo
comma, infine, nonostante non sia dichiaratamente una sanzione
disciplinare vera e propria, viene anche individuato il "richiamo
verbale" come uno degli esiti della decisione che può definire il
procedimento disciplinare.
"Articolo 21 - Potestà disciplinare
1. Spetta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle
procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e
proporzionate alla violazione deontologica commessa.
2. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato; la
sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del
medesimo procedimento.
3. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa,
all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento
dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze,
soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione.
4. Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio
eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione
dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti
disciplinari."
"Articolo 22 - Sanzioni
1. Le sanzioni disciplinari sono:
a) Avvertimento: consiste nell’informare l’incolpato che la sua condotta non è stata
conforme alle norme deontologiche e di legge, con invito ad astenersi dal compiere
altre infrazioni; può essere deliberato quando il fatto contestato non è grave e vi è
motivo di ritenere che l’incolpato non commetta altre infrazioni.
b) Censura: consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità
dell’infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti dell’incolpato e il suo
comportamento successivo al fatto inducono a ritenere che egli non incorrerà in
un’altra infrazione.
c) Sospensione: consiste nell’esclusione temporanea, da due mesi a cinque anni,
dall’esercizio della professione o dal praticantato e si applica per infrazioni
consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le
condizioni per irrogare la sola sanzione della censura.
d) Radiazione: consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro e
impedisce l’iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro, fatto salvo quanto
previsto dalla legge; è inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile
la permanenza dell’incolpato nell’albo, elenco o registro.
2. Nei casi più gravi, la sanzione disciplinare può essere aumentata, nel suo
massimo:
a) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due mesi, nel
caso sia prevista la sanzione dell’avvertimento;
b) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale non superiore a un
anno, nel caso sia prevista la sanzione della censura;
c) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale non superiore a tre
anni, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività
professionale fino a un anno;
d) fino alla radiazione, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione
dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
3. Nei casi meno gravi, la sanzione disciplinare può essere diminuita:
a) all’avvertimento, nel caso sia prevista la sanzione della censura;
b) alla censura, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione dall’esercizio
dell’attività professionale fino a un anno;
c) alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale fino a due mesi nel caso
sia prevista la sospensione dall’esercizio della professione da uno a tre anni.
4. Nei casi di infrazioni lievi e scusabili, all’incolpato è fatto richiamo verbale, non
avente carattere di sanzione disciplinare.
Con l'art. 22 la sanzione assume elasticità, poiché è in grado di
uniformarsi all'effettiva consistenza del comportamento, alleggerendo
l'eccessiva rigidità della tipizzazione. Tra le sanzioni irrogabili viene
meno la cancellazione, mentre restano in vita l'avvertimento, la
censura, la sospensione (elevata nel massimo a 5 anni) e la radiazione.
Anche nella precedente versione del codice non era prevista la
possibilità di aggravare la sanzione in sede di appello.
"La questione della riformabilità in pejus è complessa. Da un lato la
possibilità di incidere su tipo e durata della sanzione consentirebbe di
apprezzare meglio la pena edittale, rispetto a quella disposta in prime
cure e consentirebbe anche di uniformare le sanzioni per medesimi
fatti e comportamenti che nelle diverse sedi potrebbero avere
Dall’altro lato, in un’ottica garantista, il divieto di
trattamenti diversi. la pena affida alla valutazione effettuata dall’
modificare in pejus
organo locale l’apprezzamento del quantum, e limita, sotto questo
profilo, il controllo in sede di appello solo al profilo dell'an. Anche
9
nella nuova versione si è privilegiata quest’ultima soluzione" .
2.2. La composizione
La nuova raccolta, entrata in vigore lo scorso 15 Dicembre, contiene
73 articoli riuniti in 7 titoli: il primo (artt. 1-22) individua i principi
generali; il secondo (artt. 23-37) è riservato ai rapporti con il cliente e
la parte assistita; il terzo (artt. 38-45) si occupa dei rapporti tra
colleghi; il quarto (artt. 46-62) attiene ai doveri dell'avvocato nel
processo; il quinto (artt. 63-68) concerne i rapporti con terzi e
controparti; il sesto (artt. 69-72) concerne i rapporti con le Istituzioni
forensi; il settimo (art. 73) contiene la disposizione finale precisando
la data di entrata in vigore.
Nel primo titolo abbiamo tre tipi diversi di norme: quelle che
disciplinano l'ambito di applicazione (soggettivo ed oggettivo), quelle
che elencano i doveri e, infine, quelle che si occupano di
responsabilità e sanzioni.
Tra i principi generali individuati dal primo titolo, preme ricordare
quelli di indipendenza, di autonomia, di leale concorrenza, di
diligenza, di competenza, di aggiornamento e di formazione continua;
l'art. 16 poi impone all'avvocato gli adempimenti di ogni onere fiscale,
9 Guido Alpa, Nel solco della riforma il nuovo codice deontologico per un avvocato
moderno, qualificato e indipendente, in Guida al Diritto, 8 Marzo 2014.
previdenziale, assicurativo e contributivo. Infine, l'art. 9 ("Doveri di
probità, dignità, decoro e indipendenza") ricalca la "valvola" collegata
alla norma di chiusura contenuta nell'art. 3, co. 2, della legge forense,
che mantiene e valorizza i principi cardine della professione.
Il titolo successivo, relativo ai rapporti con il cliente e la parte
assistita, nel codice previgente era inserito subito dopo a quello che si
occupava dei rapporti con i colleghi: l'attuale inversione, segnalata
anche dal C.N.F., sta a sottolineare la vocazione pubblicistica delle
norme. Il titolo in questione marca distintamente le tappe del rapporto
professionale, con i relativi obblighi informativi che ne conseguono:
prevedibile durata del processo e oneri ipotizzabili, preventivo scritto
10
(solo se richiesto) e gli estremi della polizza assicurativa. L'art. 25
definisce gli accordi sulla pattuizione del compenso e reintroduce il
11
divieto del patto di quota lite . Inoltre, l'avvocato non deve
consigliare azioni inutilmente gravose e deve emettere documento
fiscale ad ogni versamento ricevuto. Il "dovere di corretta
informazione" (art. 35), per la prima volta in questo titolo, ha il
compito di affinare, semplificare gli artt. 17 e 17 bis ed in "diretta
saldatura" con il "divieto di accaparramento di clientela" (art. 37).
Rispetto alla precedente versione, il titolo III ("Rapporti con i
colleghi" non solo è stato "declassato" ma ha anche perso parte dei
suoi contenuti: la norma che riguarda i rapporti con il Consiglio
dell'Ordine è stata trapiantata nel nuovo art. 70, contenuto
nell'altrettanto nuovo titolo VI ("Rapporti con le istituzioni forensi");
anche l'altro titolo che ha appena visto la luce (il IV, "Doveri
10 Bisogna aggiungere che nell'ultimo disegno di legge sulla concorrenza approvato
dal Governo lo scorso 20 Febbraio 2015 il preventivo perde la sua discrezionalità
(da parte del cliente): se il Parlamento approverà il testo, scatterà l’obbligo di
presentare un preventivo in forma scritta. Al suo interno devono essere contenuti
tutti i costi della prestazione fornita, distinguendo tra oneri, spese e compenso
professionale.
11 Anche questo, come la richiesta facoltativa del preventivo scritto, potrebbe
venire meno con l'approvazione dell ddl concorrenza.
dell'avvocato nel processo") ha confermato il precedente divieto
contenuto nell'attuale titolo III: quello di produrre in giudizio la
corrispondenza scambiata con il collega (art. 48). La responsabilità dei
collaboratori, sostituti ed associati e la responsabilità disciplinare della
società si sono trasferite nel titolo I (rispettivamente agli artt. 7 e 8).
Stando a ciò che resta del titolo preso in considerazione, nel proprio
studio l'avvocato dovrà favorire la crescita formativa dei propri
collaboratori, compensandone in maniera adeguata la collaborazione,
tenendo conto dell'utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio (art.
39). Ai praticanti dovrà assicurare l'effettività e la proficuità della
pratica forense e, fermo l'obbligo del rimborso delle spese,
riconoscergli, dopo il primo semestre di pratica, un compenso
adeguato (art. 40). Ad ogni modo, resta sempre vivo il "principio che,
in caso di contrasto, il dovere di difesa prevale sempre sul rapporto di
colleganza. L'obbligo di colleganza infatti non può essere invocato per
12
ledere i diritti della parte" .
Il titolo IV ("Doveri dell'avvocato nel processo") raccoglie
sistematicamente quelle disposizioni sparse in diversi ambiti del
vecchio codice; inoltre, disciplina: il "dovere di verità" (art. 50), il
tema della "testimonianza dell'avvocato" (art. 51), il "divieto di uso di
espressioni offensive o sconvenienti (art. 52), il dovere da osservare
nei rapporti con gli organi di informazione. L'aspetto più significativo
è, di sicuro, l'introduzione di una nuova norma: il nuovo art. 56
13
("Ascolto del minore" ). I restanti articoli si occupano dei "rapporti
con i magistrati" e con gli altri "soggetti" (artt. 53, 54 e 55), e di buona
parte dei "momenti" di cui vive la giurisdizione: la "notifica in
proprio" (art. 58), il "calendario del processo" (art. 59), l'"astensione
dalle udienze" (art. 60), l'"arbitrato" (art. 61) e, per finire, la
12 Remo Danovi, Il nuovo codice deontologico forense, in La previdenza forense, n.
2, 2014, p. 156.
13 David Cerri, Il ruolo dell’avvocato nell’ascolto del minore: la deontologia della
competenza, in Cultura e diritti, 2014,3,83.
"mediazione" (art. 62). Tutte queste norme possono essere racchiuse
in tre gruppi che regolamentano i diversi tipi di comportamenti: i
doveri dell'avvocato nel processo, l'avvocato con particolari funzioni
e, per finire, i rapporti dell'avvocato con vari soggetti.
Il titolo V, rimasto orfano di molti articoli trasferitesi nel precedente
titolo esaminato, focalizza le proprie attenzioni sui "rapporti con i terzi
e controparti", definendo il comportamento extra-processuale (la "vita
privata") dell'avvocato secondo quanto previsto dai principi generali,
contenuti nel titolo che apre la raccolta.
"Sostanzialmente l’avvocato deve adempiere a tutte le obbligazioni
assunte nei confronti dei terzi e comportarsi con correttezza anche nei
confronti della controparte, evitando di minacciare o proporre azioni
14
onerose o vessatorie" .
Degna di nota è l'introduzione di un nuovo comma (il quinto) all'art.
68 (vecchio art. 51), il quale prevede che "l'avvocato che abbia
assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal
prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in
successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa".
Come abbiamo già visto, anche il titolo VI ("Rapporti con le
istituzioni forensi") rappresenta una novità rispetto alla precedente
versione. Anche in questo caso vengono valorizzati i principi generali
della professione quando l'avvocato entra in contatto con le istituzioni
forensi, regolando i rapporti che i legali devono intrattenere con
queste ultime. Preme sottolineare la riproduzione del vecchio art. 24
("Rapporti con il Consiglio dell'Ordine") nel nuovo art. 71 ("Dovere di
collaborazione", con le istituzioni forensi in linea generale), tenendo
conto dell'ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione. Per concludere, l'art. 72 ("Esame di abilitazione")
14 Remo Danovi, op. ult. cit., p. 158.
sanziona l'attività volta a favorire candidati durante l'esame di
abilitazione, soprattutto da parte dell'avvocato-commissario d'esame.
Il titolo VII contiene un'unica disposizione, quella finale, sull'entrata
in vigore del codice.
3. La pubblicità degli avvocati: la
regolamentazione vigente
Il nuovo articolo 17 del Codice deontologico forense (al primo
comma) recita così:
L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.
Locuzione che può significare tutto e può non significare nulla. Può
significare tutto perché lo stesso articolo, giusto 17 anni prima,
affermava un categorico impedimento in materia, tant'è vero che il
titolo della norma era "Divieto di pubblicità". Ma non ci sono voluti
17 anni al "legislatore" per cambiare idea, bensì solamente due:
l'articolo venne modificato il 16 Ottobre 1999 e si consentì
all'avvocato di dare informazioni sulla propria attività. Ma con dei
precisi limiti.
L'informazione poteva avvenire onorando i principi di correttezza e
verità, nel rispetto della dignità del decoro della professione stessa e
degli obblighi di segretezza e di riservatezza. Successivamente
venivano elencate le modalità per mezzo delle quali poteva essere
diffusa l'informazione.
3.1. La figura dell'avvocato
Ma andiamo con ordine; le domande che ci dobbiamo porre sono:
cos'è la pubblicità informativa oggi? Che funzione ha all'interno del
nostro contesto sociale? Prima di rispondere a queste domande
bisognerebbe chiarire la posizione che l'avvocato ricopre. Per il nostro
Codice deontologico, rappresenta il tutore del "diritto alla libertà,
(del)l'inviolabilità e (del)l'effettività della difesa, assicurando, nel
processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio" come pure
vigila "sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e
dell'Ordinamento dell'Unione Europea e sul rispetto dei medesimi
principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell'interesse
15
della parte assistita" . Quello che se ne ricava è che, all'esterno, viene
visto come "strumento d'attuazione del diritto costituzionale alla
16
difeso e [...] principale strumento di tutela della libertà dei cittadini"
e, per questo, inquadrato tra le professioni liberali protette, sia
dall'ordinamento sia dall'Ordine di riferimento. "Gli avvocati sono [...]
gli intermediari tra lo Stato, con le sue strutture che assicurano [...] il
perseguimento di fini di interesse generale della collettività, ed il
cittadino o l'ente che agiscono in giudizio. L'avvocato [...] riveste [...]
la figura di un operatore sociale, con una funzione ed una
responsabilità etiche che trascendono il suo mero interesse economico
17
personale" . E cos'altro potrebbe essere se non la pubblicità una
connotazione marcante della professione forense?
3.2. Perchè nasce la pubblicità
Per riuscire ad inquadrarla meglio con i connotati che più ci
interessano, dobbiamo arrestare il passo per un momento, guardarci
indietro e chiederci: la pubblicità serve? Il mercato funzionerebbe alla
stessa maniera anche senza di essa? La pubblicità funziona? E cos'è?
Il termine ha origine dal francese publicité, che a sua volta deriva da
public (pubblico) e prende piede nella seconda metà del XVII secolo,
anche se la definitiva consacrazione la si avrà con la rivoluzione
industriale. Se ci limitiamo ad associare la pubblicità alla pura e
semplice propaganda, forme primordiali le possiamo scorgere anche a
Pompei e risalgono al I secolo d. C.: si tratta di scritte sui muri delle
case romane, distrutte dal vulcano nel 79 d.C., che invitano i passanti
a votare per un certo candidato alle elezioni. Riprendendo il
15 Art. 1, co. 1-2, Codice deontologico forense.
16 Guido Calvi, Relazione al Progetto di legge sull'ordinamento professionale (A.S.
963 del 20/06/2007).
17 David Cerri, Pubblicità e professione forense, in Rassegna Forense, n. 2, 2009, p.
227.
significato letterale del termine, la pubblicità sta ad indicare qualsiasi
forma di propaganda e di promozione dirette a ottenere dalla
collettività la preferenza nei confronti di un prodotto o di un servizio.
E perché dovremmo optare per quello o quell'altro avvocato in base ad
una "spicciola" campagna pubblicitaria? Possiamo davvero affidare le
nostri sorti giudiziarie a un presunto principe del foro che magari è
solo un esperto di marketing? Ne potrebbe andare della nostra libertà
personale...
3.3. La reputazione
D'altronde la storia e un'indagine socioeconomica da parte del Censis
(datata 2009) ci insegnano che la scelta dell'avvocato è ancora dettata
dai suggerimenti di conoscenti ed amici e, in misura minore, dalla
notorietà locale del professionista. Strettamente collegata a questi
parametri solo in parte meritocratici riscontriamo la cosiddetta
reputazione: ossia "la valutazione che il professionista riceve nel
giudizio collettivo diffuso tra i colleghi all'interno di una certa
comunità professionale e, per quanto con minore nettezza certezza, a
livello di opinione pubblica. Tale giudizio collettivo a sua volta
consiste in un distillato del tutto sistematico di valutazioni
professionali, osservazioni casuali, dicerie, attribuzioni di carattere
personale, stereotipi, e così via... Generalmente, per chi necessiti di
assistenza legale, il criterio distintivo tra avvocati [...] consiste
18
appunto nella reputazione" . Rispetto ad essa, la pubblicità si può
porre come parziale integrazione o come congegno creativo di una
(reputazione) del tutto artificiale. Ed è proprio per questo motivo che
la pubblicità necessita di limiti, vuoi che siano naturali vuoi che siano
fissati dal legislatore di turno.
18 Geoffrey Cornell Hazard - Angelo Dondi, Etiche della professione legale, Bologna,
Il Mulino, 2005, p. 200.
3.4. La Direttiva Bolkestein e il contesto europeo
In ambito europeo, la già citata Direttiva Bolkestein, riferendosi ai
professionisti, tecnicamente non parla di pubblicità, ma di
"comunicazioni commerciali emananti dalle professioni
regolamentate", tracciando una netta linea di confine con la pubblicità
strettamente commerciale:
«le informazioni che il prestatore ha l'obbligo di rendere disponibili
nella documentazione con cui illustra in modo dettagliato i suoi servizi
non dovrebbero consistere in comunicazioni commerciali di carattere
generale come la pubblicità, ma piuttosto in una descrizione
19
dettagliata dei servizi proposti» .
Analizzando il testo normativo non riscontriamo divieti in materia di
comunicazione informativa: anzi, in via generale, sono tutti soppressi.
In ogni caso, viene prevista un'attitudine che prescrive la conformità
del messaggio informativo alle regole (deontologiche) professionali,
con riguardo rispetto alla specifica professione, e, tanto più,
all'indipendenza, all'integrità, alla dignità e al segreto professionale.
D'altronde anche una direttiva di ambito più ristretto in materia, la n.
31 del 2000, relativa alle informazioni diffuse tramite il web (attuata
in Italia con il d.lgs. n. 70 del 2003), faceva il medesimo affidamento
agli stessi valori elencati prima. Tutto questo ci conferma il chiaro
intento del legislatore europeo: ossia quello di stabilire che la
comunicazione pubblicitaria venga disciplinata dalle norme
deontologiche professionali piuttosto che dal legislatore ordinario.
Altra normativa europea è stata pensata e, successivamente, emanata
per regolamentare le pratiche commerciali: come ad esempio la
direttiva n. 29 del 2005 (conseguentemente attuata con il d.lgs.
19 Considerando n. 96, direttiva 2006/123/CE
146/2007). Essa, nello specifico, fa riferimento alle pratiche c.d. sleali:
vengono proibite quelle ingannevoli, moleste e contrarie alle norme di
diligenza professionale. Proprio quest'ultima viene definita, dalla
direttiva in esame, come «il normale grado della specifica competenza
ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un
professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di
correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista».
Ritornando alla distinzione desunta dalle fonti europee tra la
pubblicità commerciale e l'attività informativa del professionista, è
impossibile non rammentare ciò che viene statuito dalla Corte di
giustizia europea il 13 Marzo 2008, nella causa n. 446 del 2005: vale a
dire la compatibilità con le norme comunitarie in tema di libera
concorrenza di normative nazionali che prevedano un divieto assoluto
di pubblicità per alcune categorie di operatori professionali (nello
specifico la legge belga 15 Aprile 1958 relativa alla pubblicità in
materia di cure dentistiche). "Anche il divieto assoluto di pubblicità
dunque, in via di principio, potrebbe costituire un'opzione
20
legittimamente perseguibile da un ordinamento interno" .
3.5. La sentenza del 5 Aprile 2011
Un importante riferimento giudiziario a livello europeo, rimanendo in
tema, resta la sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) del 5
Aprile 2011, in merito agli atti di promozione commerciale diretta
(démarchage) da parte di un professionista. Il contendere proveniva
direttamente da un rinvio pregiudiziale del Conseil D'État, che doveva
pronunciarsi su una controversia tra la Sociéte fiduciaire nationale
d'expertise comptable e il Ministero del tesoro e del Bilancio francese,
avente ad oggetto la richiesta di annullamento del decreto n. 1387 del
27 Settembre 2007, recante il codice deontologico della professione di
dottore commercialista. La Corte ha deciso che "l'art. 24, n. 1, della
20 Consiglio Nazionale Forense, La pubblicità dell'avvocato, 22 Ottobre 2013, Roma
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 Dicembre 2006,
2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale
vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata, come
quella di dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di
promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi
(démarchage)". Tutto questo che ricadute può avere sulla professione
forense? Il nostro quadro di riferimento è rappresentato dal nuovo art.
37 (Divieto di accaparramento di clientela), che prima dell'ultima
modifica era l'art. 19, del Codice Deontologico Forense che, al comma
IV ( prima can. III), vieta di "offrire, sia direttamente che per
interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio
degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in
luoghi pubblici o aperti al pubblico", nonché da una parte del Codice
del Consumo (D. lgs. 206/2005) che disciplina i "contratti negoziati
fuori dei locali commerciali" (artt. 45-49) e i "contratti a distanza (artt.
50-61).
Le conclusioni che trae la Corte di Giustizia sono le seguenti:
- il démarchage (la cd. offerta di servizi "porta a porta") rappresenta
una forma di comunicazione di informazioni, mettendo in pratica un
atto di esercizio di marketing diretto;
- l'art. 12 del codice degli esperti contabili francesi viola le previsioni
della Direttiva Servizi per il suo divieto assoluto per qualsiasi forma di
comunicazione non sollecitata;
- lo stesso art. 12 costituisce una restrizione alla libera prestazione di
servizi transfrontalieri, rendendo più difficoltosa agli operatori
stranieri la penetrazione dei mercati interni.
Preso atto delle motivazioni del tribunale europeo, possiamo
chiederci: il nostro art. 37 (all'ultimo comma) qualora venisse
sottoposto all'interpretazione della Corte di Giustizia supererebbe
l'esame?
La risposta (positiva) possiamo trovarla combinando la stessa
Direttiva Bolkestein e gli altri articoli del Codice Deontologico che si
occupano di pubblicità informativa: da una parte la stessa direttiva
afferma che le limitazioni in materia, che, come abbiamo visto prima,
in astratto sono possibili e lecite, possono essere giustificate da
"motivi imperativi di interesse generale nel rispetto dei principi di non
discriminazione e proporzionalità"; dall'altra, i nuovi artt. 17 e 35
garantiscono all'avvocato di offrire un'informazione pubblicitaria
completa e dettagliata, non potendosi riscontrare alcun divieto che sia
assoluto.
Anche se una regolamentazione in merito non è da ritenersi una
chimera: l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico nel 2008 ha pubblicato i risultati della sua indagine sulle
21
restrizioni alla concorrenza nel settore legale , dicendo chiaramente
che "un mercato completamente libero porta con sé il rischio di servizi
legali di qualità scadente. Le asimmetrie dell’informazione possono
causare un peggioramento della qualità e ciò a sua volta determina la
domanda di una nuova regolamentazione, come è illustrato dal caso
dei paesi nordici". Dello stesso avviso è l'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato che, in merito al controllo cautelativo delle
comunicazioni pubblicitarie da parte degli Ordini di appartenenza,
riferisce che "la trasmissione del messaggio pubblicitario potrebbe,
invece, essere prevista per la tutela di interessi pubblici la cui
preponderante rilevanza giuridica tuttavia deve essere attentamente
giustificata, come nel caso della pubblicità dei servizi medici, che non
dovrebbe creare bisogni artificiali di cure mediche". Di conseguenza
"creare [...] un bisogno artificiale di procedimenti giudiziari (è
l'esperienza straniera) non dovrebbe meritare una riflessione diversa,
ché non vi è dubbio che l'offerta di servizi porta a porta condotta
21 In lingua inglese e francese all'indirizzo web:
http://www.olis.oecd.org/olis/2007doc.nsf/ENGREFCORPLOOK/NT0000F872/$FILE
/JT03239332.PDF
secondo modalità commerciali potrebbe effettivamente portare al
proliferare di iniziative giudiziarie da cui effettiva necessità sarebbe
22
discutibile, con i conseguenti, immaginabili, costi sociali" .
3.6. Vietato falsare il mercato
Rientrando nei nostri confini, cerchiamo di mettere ulteriori "paletti" e
di marcare il territorio legislativo applicabile (e applicato). Abbiamo
detto che lo scopo della norma (intesa in senso lato) in materia è
quello di tutelare l'affidamento della collettività e, di conseguenza,
evitare che si possa giungere a falsare il mercato e mantenere il già
23
citato divieto di accaparramento della clientela .
Un mercato cosiddetto falsato è un mercato dove il professionista
(l'avvocato) si fa preferire ad altri colleghi non per le sue qualità o per
la sua preparazione professionale, bensì per le sue capacità di
orientare il consumatore con qualsiasi strumento. Un esempio può
essere la presentazione del vantaggio (?) della riduzione dei costi
come conseguenza del completo svilupparsi di ogni pratica
giudiziaria; ma la storia dei notai olandesi ci insegna che la
liberalizzazione ha portato, al contrario, un aumento dei costi, la
diminuzione della qualità dei servizi e uno scarso incremento della
concorrenza.
A rendere un po' più chiare le cose ci viene in soccorso, come spesso
accade, la normativa a tutela del consumatore: nello specifico, i due
decreti legislativi dell'estate 2007 (n. 146 - 147), che danno attuazione
alla Direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra
imprese e consumatori nel mercato interno, ci forniscono specifiche
definizioni delle pratiche commerciali vietate dal nostro ordinamento:
vale a dire, quelle comparative, denigratorie e, soprattutto,
22 David Cerri, Corte di Giustizia, démarchage e avvocati, Diritto e Formazione, n. 3,
2011, 404 ss..
23 David Cerri, Pubblicità e Professione Forense, in Rassegna Forense, n. 2, 2009, p.
230.
ingannevoli. Ancor più preciso è il nostro Codice del Consumo che,
all'art. 18, definendo cosa significhi «falsare in misura rilevante il
comportamento economico dei consumatori», recita come segue:
«l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare
sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione
consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di
natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».
Tutte queste norme (considerando anche la lettera h dello stesso art.18
e l'art. 20 sempre del Codice del Consumo) sembrano però contenere
clausole generali apparentemente vuote: bisogna sempre fare
riferimento ai rispettivi codici deontologici professionali per dare loro
la giusta concretezza.
3.7. Nascita e sviluppo della pubblicità informativa
"Il divieto di propaganda costituisce un principio deontologico
importante, diretto a sottolineare la particolare dignità della
professione forense, che non è equiparabile ad una qualunque attività
24
di servizi" .
Nelle parole sopracitate è racchiuso il pensiero e l'opinione che si
avevano della pubblicità agli inizi degli anni '90: ovviamente,
circoscritti all'Italia. Già, perché i "cugini" francesi, nel 1991, si erano
dotati di una normativa che consentiva agli avvocati di fare
propaganda pubblicitaria, ma entro certi limiti: essa doveva servire a
dare informazione al pubblico sull'attività svolta e non doveva avere
un aspetto commerciale; lo stesso in Germania.
In Italia, la prima normativa in materia la si ha nel 1997 con
l'emanazione del primo Codice deontologico forense (sempre all'art.
17) ma i contenuti sono diversi: viene permessa una limitata attività di
informazione, che sia veritiera e rispettosa dei doveri di dignità e
decoro. La pubblicità (in senso stretto) restava comunque vietata.
24 Edilberto Ricciardi, Lineamenti dell'ordinamento professionale, 1990, Milano, p.
335.
Testo e rubrica originari, del 17 Aprile 1997:
"Art. 17 - Divieto di pubblicità
È vietata qualsiasi forma di pubblicità dell'attività professionale.
I. È consentita l'indicazione e nei rapporti con i terzi (carta da lettere, rubriche
professionali e telefoniche, repertori, banche dati forensi, anche a diffusione
internazionale) di propri particolari rami di attività.
II. È consentita l'informazione agli assistiti, ai colleghi sulla organizzazione
dell'ufficio e sull'attività professionale svolta.
III. È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte
dello studio purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o
abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei
suoi eredi.
IV. In ogni caso l'attività di informazione consentita deve essere attuata in modo
veritiero e nel rispetto dei doveri di dignità e decoro."
Per vedere delle modifiche bisogna aspettare quelle del 1999 e del
2002: la prima muta il titolo dell'articolo in questione (che prima era
Divieto di pubblicità) in Informazioni sull'esercizio professionale; la
seconda approfondisce le modalità attraverso le quali è ritenuto
legittimo informare i (potenziali) clienti. Il pensiero che ancora
predomina è che si ha "la volontà [...] di distinguere tra informazione e
pubblicità, considerando la prima un diritto dell'avvocato derivante dal
mutato assetto sociale, e la seconda una indecorosa attività
25
mercantile" .
Testo modificato con delibera del 16 Ottobre 1999:
"Articolo 17 - Informazioni sull'esercizio professionale.
È consentito all'avvocato dare informazioni sulla propria attività professionale,
secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione
e degli obblighi di segretezza e riservatezza.
I. L'informazione può essere data attraverso opuscoli, carta da lettere, rubriche
professionali e telefoniche, repertori, reti telematiche, anche a diffusione
internazionale.
25 Antonino Ciavola, Pubblicità dell'avvocato: cosa cambia nel nuovo codice
deontologico forense, Altalex, 20 Febbraio 2014.
II. È consentita l'indicazione nei rapporti con i terzi di propri particolari rami di
attività.
III. È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte
dello studio purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o
abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei
suoi eredi."
Testo modificato con delibera del 26 Ottobre 2002:
"Articolo 17 - Informazioni sull'esercizio professionale.
È consentito all'avvocato dare informazioni sulla professionale, secondo correttezza
e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di
segretezza e riservatezza.
L'informazione è data con l'osservanza delle disposizioni che seguono.
17.I) Quanto ai mezzi di informazione:
A) Devono ritenersi consentiti:
- i mezzi ordinari (carta da lettere, biglietti da visita, targhe);
- le brochures informative (opuscoli, circolari) inviate anche a mezzo posta a
soggetti determinati (è da escludere la possibilità di proporre questionari o di
consentire risposte prepagate);
-gli annuari professionali, le rubriche, le riviste giuridiche, i repertori e i bollettini
con informazioni giuridiche (ad es. con l'aggiornamento delle leggi e della
giurisprudenza);
- i rapporti con la stampa (secondo quanto stabilito dall'articolo 18 del codice
deontologico forense);
- i siti web e le reti telematiche (Internet), purché propri dell'avvocato o di studi
legali associati o di società di avvocati nei limiti della informazione, e previa
segnalazione al Consiglio dell'Ordine. Con riferimento ai siti già esistenti l'avvocato
è tenuto a procedere alla segnalazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza
entro 120 giorni.
B) Devono ritenersi vietati:
- i mezzi televisivi e radiofonici (televisione e radio);
- i giornali (quotidiani e periodici) e gli annunci pubblicitari in genere;
- i mezzi di divulgazione anomali e contrari al decoro (distribuzione di opuscoli o
carta da lettere o volantini a collettività o a soggetti indeterminati, nelle cassette
delle poste o attraverso depositi in luoghi pubblici o distribuzione in locali o sotto i
parabrezza delle auto, o negli ospedali, nelle carceri e simili, attraverso cartelloni
pubblicitari, testimonial, e così via);
- le sponsorizzazioni;
- le telefonate di presentazione e le visite a domicilio non specificatamente richieste;
- l'utilizzazione di Internet per offerte di servizi e consulenze gratuiti, in proprio o su
siti di terzi.
C) Devono ritenersi consentiti se preventivamente approvati dal Consiglio
dell'Ordine (in relazione alla modalità e finalità previste):
- i seminari e i convegni organizzati direttamente dagli studi professionali.
17.II) Quanto ai contenuti della informazione:
A) Sono consentiti e possono essere indicati i seguenti dati:
- i dati personali necessari (nomi, indirizzi, anche web, numeri di telefono e fax e
indirizzi di posta elettronica, dati di nascita e di formazione del professionista,
fotografie, lingue conosciute, articoli e libri pubblicati, attività didattica,
onorificenze e quant'altro relativo alla persona, limitatamente a ciò che attiene
all'attività professionale esercitata);
- le informazioni dello studio (composizione, nome dei fondatori anche defunti,
attività prevalenti svolte, numero degli addetti, sedi secondarie, orari di apertura);
- l'indicazione di un logo;
- l'indicazione della certificazione di qualità (l'avvocato che intenda fare menzione
di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell'Ordine il
giustificativo della certificazione in corso di validità e l'indicazione completa del
certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente
riconosciuta dallo Stato).
B) È consentita inoltre l'utilizzazione della rete Internet e del sito web per l'offerta
di consulenza, nel rispetto dei seguenti obblighi:
- indicazione dei dati anagrafici, Partita Iva e Consiglio dell'Ordine di
appartenenza;
- impegno espressamente dichiarato al rispetto del codice deontologico, con la
riproduzione del testo, ovvero con la precisazione dei modi o mezzi per consentirne
il reperimento o la consultazione;
- indicazione della persona responsabile;
- specificazione degli estremi della eventuale polizza assicurativa, con copertura
riferita alle prestazioni on-line e indicazione dei massimali;
- indicazione delle vigenti tariffe professionali per la determinazione dei
corrispettivi.
C) Devono ritenersi vietati:
- i dati che riguardano terze persone;
- i nomi dei clienti (il divieto ritenersi sussistente anche con il consenso dei clienti);
- le specializzazioni (salvo le specifiche ipotesi previste dalla legge);
- i prezzi delle singole prestazioni (è vietato pubblicare l'annuncio che la prima
consultazione è gratuita);
- le percentuali delle cause o l'esaltazione dei meriti;
- il fatturato individuale o dello studio;
- le promesse di recupero;
- l'offerta comunque di servizi (in relazione a quanto disposto dall'articolo 19 del
codice deontologico).
17.III) È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto
parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente
previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso
unanime dei suoi eredi."
A prima vista ci accorgiamo subito che il tema della pubblicità forense
viene affrontato e, di conseguenza, disciplinato dallo stesso
"legislatore" della categoria professionale in questione: il CNF.
Tutto questo prima che venisse recepita la (più volte) citata direttiva
Bolkestein: con il d.l. 223/2006 (c.d. "decreto Bersani"), poi
convertito in legge 4 Agosto 2006 n. 248, comincia un percorso
legislativo segnato da criteri generali che lasciano spazio a diverse
interpretazioni ma che alle orecchie del consumatore (il cliente)
suonano un po' tutte allo stesso modo.
Decreto Legge 4 Luglio 2006, n. 223 - Disposizioni urgenti per il rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,
nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.
"Articolo 2 - Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei
servizi professionali
1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di
libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli
utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione
delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente
decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con
riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
[...] b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le
specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo
e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del
messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine"
Tali direttive vengono quindi fatte proprie anche dal Codice
deontologico che nel Gennaio 2007 modifica nuovamente l'art. 17
dopo appena un anno dall'ultima revisione. Nel 2006, infatti, veniva
scisso il suddetto articolo: da una parte l'art. 17 conteneva i principi
generali che caratterizzavano la pubblicità informativa, dall'altra il
nuovo art. 17 bis elencava le modalità d'informazione. Fino al 2006, il
codice elencava dettagliatamente i mezzi con i quali era possibile
informare i potenziali clienti sull'attività dello studio legale, tagliando
fuori in sostanza i soli mass media. Con questa modifica, invece,
prende piede un principio che sta agli antipodi con il precedente: la
libertà di forme nella comunicazione di informazioni sull'attività
professionale, purché non si travalichi nella vera e propria pubblicità
commerciale. In ogni caso, le informazioni devono rispondere ai
classici criteri di trasparenza e veridicità e con forme e modalità
rispettose della dignità e del decoro della professione. Il codice poi, in
considerazione degli obblighi di trasparenza imposti dalla direttiva
"servizi" (c.d. Bolkestein), puntualizza il contenuto minimo della
comunicazione, con gli annessi elementi obbligatori e facoltativi.
Testo modificato con delibera del 27 Gennaio 2006
"Art. 17 - Informazioni sull'attività professionale
L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.
Il contenuto e la forma dell'informazione devono essere coerenti con la finalità della
tutela dell'affidamento della collettività.
Quanto al contenuto, l'informazione deve essere conforme a verità e correttezza e
non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale.
L'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi
vi consentano.
Quanto alla forma e alle modalità, l'informazione deve rispettare la dignità e il
decoro della professione.
In ogni caso, l'informazione non deve assumere i connotati della pubblicità
ingannevole, elogiativa, comparativa.
I. Sono consentite, a fini non lucrativi, l'organizzazione e la sponsorizzazione di
seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline
attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni
di avvocati, previa approvazione del Consiglio dell'Ordine del luogo di svolgimento
dell'evento.
II - È vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie
prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di
svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
III - È altresì vietato all'avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione
personalizzata e, cioè, rivolta a una persona per un specifico affare.
IV - È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto
parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente
previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso
unanime dei suoi eredi."
Articolo introdotto con delibera del 27 Gennaio 2006
"Art. 17 bis - Mezzi di informazione consentiti.
L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività utilizzando esclusivamente i
seguenti mezzi:
1) la carta da lettera, i biglietti da visita e le brochures informative, previa, per
queste ultime, approvazione del Consiglio dell'Ordine dove lo studio ha la sede
principale.
In essi devono essere indicati:
•) la denominazione dello studio, con la indicazione dei nominativi dei professionisti
che lo compongono qualora l'esercizio della professione sia svolto in forma
associata o societaria;
•) il Consiglio dell'Ordine presso il quale è iscritto ciascuno dei componenti lo
studio;
•) la sede principale di esercizio, le eventuali sedi secondarie ed i recapiti, con
l'indicazione di indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e del sito web, se attivato.
Possono essere indicati soltanto:
•) i titoli accademici;
•) i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari;
•) l'abilitazione a esercitare avanti alle giurisdizioni superiori;
•)il titolo professionale che consente all'avvocato straniero l'esercizio in Italia, o
che consenta all'avvocato italiano l'esercizio all'estero, della professione di
avvocato in conformità delle direttive comunitarie;
•) i settori di esercizio dell'attività professionale (civile, penale, amministrativo,
tributario) e, nell'ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente, con il
limite di non più di tre materie;
•) le lingue conosciute;
•) il logo dello studio;
•) gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale;
•) l'eventuale certificazione di qualità dello studio (l'avvocato che intenda fare
menzione di una certificazione qualità deve depositare presso il Consiglio
dell'Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l'indicazione
completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione
ufficialmente riconosciuta dallo Stato).
2) le targhe, di dimensioni ragionevoli, poste all'ingresso dell'immobile ove è
ubicato lo studio dell'avvocato e presso la porta di accesso allo studio, con la solita
indicazione della presenza dello studio legale, dei professionisti che lo compongono
e della sua collocazione all'interno dello stabile;
3) gli annuari professionali, le rubriche telefoniche, le riviste e le pubblicazioni in
materie giuridiche;
4) i siti web con domini propri e direttamente riconducibili all'avvocato, allo studio
legale associato, alla società di avvocati sui quali gli stessi operano una completa
gestione dei contenuti e previa comunicazione al Consiglio dell'Ordine di
appartenenza. Nel sito deve essere riportata l'indicazione del responsabile nonché i
dati previsti dall'art. 17 e dal punto 1) dell'art. 17 bis.
Il sito non può contenere riferimenti commerciali e pubblicitari mediante
l'indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo.
Possono essere indicati i dati consentiti per i mezzi previsti al precedente paragrafo
1)."
Come si evince, non si tratta soltanto di una semplice differenza
formale (la ripartizione in due differenti articoli), ma nell'elenco dei
mezzi di informazioni, eccezion fatta per la specificazione (dovuta,
vista la diffusione del fenomeno Internet) del sito web, non ci sono più
divieti: o meglio, è vietato tutto ciò che non è espressamente
consentito.
Con la riforma del 18 Gennaio 2007, l'art. 17 perde i canoni II e III:
ma non vengono abrogati, semplicemente trasmigrano all'(allora) art.
19 (Divieto di accaparramento di clientele) divenendo i nuovi canoni
III e IV. Ma la novità più importante, che al contempo è una
conferma, risiede nel fatto che, come introdotto dal decreto Bersani, il
rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità del messaggio
informativo devono essere verificati dal competente Consiglio
dell'Ordine.
Testo modificato con delibera del 18 Gennaio 2007
"Art. 17 - Informazioni sull'attività professionale
L’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.
Il contenuto e la forma dell’informazione devono essere coerenti con la finalità
della tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e
verificato dal competente Consiglio dell’Ordine.
veridicità, il rispetto dei quali è
Quanto al contenuto, l’informazione deve essere conforme a verità e correttezza e
non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale.
L’avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi
vi consentano.
Quanto alla forma e alle modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il
decoro della professione.
In ogni caso, l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità
ingannevole, elogiativa, comparativa.
I. Sono consentite, a fini non lucrativi, l’organizzazione e la sponsorizzazione di
seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline
attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni
di avvocati.
II. È consentita l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte
dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o
abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei
suoi eredi."
Per 7 anni, fino al 31 Gennaio 2014, il CNF non interviene più
sull'argomento della pubblicità informativa, fatta eccezione per una
revisione dell'art. 17 bis: nel 2008 vengono apportate piccole
modifiche alle modalità d'informazione e viene sottolineata la
responsabilità del professionista sui contenuti del sito Internet. Ma ciò
non significa che non ci sono stati altri atti normativi che hanno dato
disciplina al tema a noi tanto caro. Di seguito verranno elencate e
riportate le norme che ne hanno contraddistinto il processo evolutivo
negli ultimi 4 anni, partendo proprio dalla c.d. "manovra di
Ferragosto" (o "manovra bis") del 2011:
Decreto Legge 13 Agosto 2011, n. 138 - Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.
"Articolo 3 - Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle
professioni e delle attività economiche
[...] comma 5, lettera g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad
oggetto l'attività' professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti,
la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni
devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche,
ingannevoli, denigratorie.
Decreto del presidente della Repubblica 3 Agosto 2012. n. 137 - Regolamento
recante riforma degli ordinamenti professionali, a norma dell'articolo 3, comma 5,
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge
14 settembre 2011, n. 148.
"Articolo 4 - Libera concorrenza e pubblicità informativa
1. È ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività
delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla
professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le
prestazioni.
2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev'essere funzionale all'oggetto,
veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non
dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito
disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti
legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.
Gli ultimi due decreti citati danno attuazione all'art. 14 della direttiva
2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità
ingannevole.
Legge 31 Dicembre 2012, n. 247 - Nuova disciplina dell'ordinamento della
professione forense.
"Articolo 10 - Informazioni sull'esercizio della professione
1. È consentita all'avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività
professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali
specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
2. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo,
anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono
essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o
suggestive.
3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti
dell'obbligazione professionale.
4. L'inosservanza delle disposizioni del presente articolo costituisce illecito
disciplinare.
Nella pagina che segue viene riportata una tabella schematica, tratta
26
dal secondo numero del 2013 della rivista "Cultura e Diritti" , che
contiene tutti i criteri generali, elencati nelle normative appena citate,
che la pubblicità deve (e non deve) avere: questo schema ci sarà utile
per comprendere il fine ultimo del legislatore e i criteri di cui
l'informazione pubblicitaria non può fare a meno:
26 David Cerri, La riforma dell'ordinamento professionale: la pubblicità degli
avvocati, in Cultura e Diritti, n. 2, 2013, 91 ss.
Cod. Deont. D.l. n. 138/2011 D.p.r. D.d.l. AC3900
Forense e 137/2012 poi Nuova
D.l. n. disciplina
223/2006 forense
L. n. 247/2012
È ammessa
La pubblicità Le informazioni Informazioni
dovranno essere: sull'esercizio
informativa con ogni
deve rispondere mezzo la della
trasparenti,
-
a criteri di: professione
pubblicità
- veritiere, ...con
informativa
trasparenza
- - corrette avente ad qualunque
- veridicità e non dovranno oggetto mezzo
Deve rispettare: essere: l'attività delle trasparenti,
- dignità - equivoche professioni veritiere,
- decoro - ingannevoli regolamentate,
Non deve corrette
- denigratorie le specializza-
essere: e non devono
zioni, i titoli
- ingannevole essere
posseduti
- elogiativa comparative
attinenti alla
- comparativa con altri
professione, la professionisti,
struttura dello equivoche,
studio ingannevoli,
professionale e denigratorie o
i compensi suggestive.
richiesti per le
prestazioni. + riferimenti
al decoro (artt.
...deve essere 3, 29, 35)
funzionale
all'oggetto,
veritiera e
corretta, non
deve violare
l'obbligo del
segreto
professionale e
non deve
essere
equivoca,
ingannevole e
denigratoria
Sono state usate dimensioni diverse dei caratteri per segnalare la
frequenza con cui i vari profili si ripetano o meno nei vari atti
legislativi.
""Non equivocità" e "veridicità" forse sono corollari (la prima) e/o
presupposti (la seconda) della "non ingannevolezza": e, sebbene
mancasse nel d.p.r. 137/2012 un espresso richiamo alla "trasparenza"
dell'informazione pubblicitaria credo che oggi, grazie alla l. 247, non
se ne possa proprio fare a meno. Essa dovrebbe attenere innanzitutto
alla "riconoscibilità" della pubblicità come tale, e quindi non occulta
né tantomeno subliminale [...]; altri profili ne sono la verificabilità
dell'informazione, e la garanzia di indipendenza nello svolgimento
delle prestazioni [...]. Anche la veridicità attiene [...] al profilo della
verificabilità, e con la trasparenza, insomma, può esser letta nella
27
cornice della "ingannevolezza"" . E la pubblicità comparativa?
È lecita? Il pensiero dell'Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato in merito, al termine della già citata indagine cominciata nel
27 David Cerri, op. ult. cit., p. 95.
2007, è più che possibilista: infatti, a suo modo di vedere, il divieto di
espressioni comparative ha come unica conseguenza "quella di
impedire la concorrenza tra professionisti, producendo un danno
soprattutto ai nuovi entranti e, quindi, proteggendo dal gioco della
concorrenza i professionisti già affermati" anche perché non
costituirebbe un problema dal momento che "la pubblicità
comparativa è anch'essa soggetta al criterio di veridicità, completezza
e chiarezza". Al di là di ciò che sostiene l'A.G.C.M., tra una pubblicità
comparativa e una pubblicità denigratoria (chiaramente vietata)
intercorre una linea che agli occhi del "consumatore" appare più
fragile che mai. In soccorso interviene il d. lgs. 147/2005, che dà
attuazione alla direttiva 2005/29/CE (relativa alle pratiche
commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno),
provando a delineare:
Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 - Attuazione dell'articolo 14 della direttiva
2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole.
"Articolo 4 - Condizioni di liceità della pubblicità comparativa
1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa é lecita se sono
soddisfatte le seguenti condizioni:
a) non é ingannevole ai sensi del presente decreto legislativo o degli articoli 21, 22
e 23 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante "Codice del consumo";
b) confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli
stessi obiettivi;
c) confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti,
verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e
servizi;
d) non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti o tra l'operatore
pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri
segni distintivi, i beni o i servizi dell'operatore pubblicitario e quelli di un
concorrente;
e) non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri
segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione di un concorrente;
f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti
aventi la stessa denominazione;
g) non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla
denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o
alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
h) non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o
servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.
2. Il requisito della verificabilità di cui al comma 1, lettera c), si intende soddisfatto
quando i dati addotti ad illustrazione della caratteristica del bene o servizio
pubblicizzato sono suscettibili di dimostrazione.
3. Qualunque raffronto che fa riferimento a un'offerta speciale deve indicare in
modo chiaro e non equivoco il termine finale dell'offerta oppure, nel caso in cui
l'offerta speciale non sia ancora avviata, la data di inizio del periodo nel corso del
quale si applicano il prezzo speciale o altre condizioni particolari o, se del caso, che
l'offerta speciale dipende dalla disponibilità dei beni e servizi.
L'articolo in questione sembra esaustivo, ma si tratta chiaramente di
una norma pensata e creata per le pratiche pubblicitarie di natura
commerciale: la "nostra" pubblicità, invece, da sempre si professa
informativa, vale a dire una pubblicità che deve "concretizzarsi in
un’attività finalizzata a fornire ai potenziali clienti informazioni
corrette e veritiere sull’attività professionale, che siano utili
28
nell’interesse di questi ultimi" , che devono essere messi nelle
condizioni di poter compiere una libera scelta, e non deviati con
qualsivoglia mezzo a preferire questo o quel professionista; perché,
nonostante l'ennesimo giro di valzer che abbiamo compiuto, la finalità
resta sempre quella: la tutela dell'affidamento della clientela.
Resta vivo quindi un "concetto negativo del confronto tra avvocati
inteso come paragone tra prodotti, una forma di competizione
28 Giuseppe Briganti, La c.d. pubblicità informativa dell'avvocato - La proposta di
regolamento integrativo dell’art. 17 del codice deontologico forense approvata
dalla Commissione deontologia del CNF il 14 dicembre 2001, in IuSReporteR.it,
2002.
evidentemente difficile da coniugare con l'attività di difesa dei diritti
29
propria del legale" .
3.8. I nuovi mezzi: il web e le sue sfaccettature
Lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha contribuito a rendere
ancora più variegata e multiforme la disciplina in esame. Come
abbiamo già visto, il codice (prima della modifica operata il 26
Ottobre 2002) vietava qualsiasi comunicazione informativa tramite
l'utilizzo di mass media, Internet compreso. Con le modifiche
apportate nel 2002, il regime cambia e anche gli avvocati possono
"informare" attraverso un proprio sito internet; infatti, l'articolo in
questione non ammette repliche: sono consentiti i soli siti web con
domini propri e direttamente riconducibili al legale. Inoltre, il sito non
può contenere riferimenti commerciali e pubblicitari né direttamente
né tramite banner o pop-up.
Ancora, nel caso in cui l'avvocato dovesse comparire in siti gestiti da
terzi, dovrebbe ad ogni modo rispettare gli altri principi deontologici:
"viene interdetto, pertanto, l'utilizzo surrettizio di siti di natura diversa
[...] per promuovere in realtà un'attività di studio legale; la pubblicità
occulta o dissimulata è senz'altro contraria a quella lealtà e correttezza
minime richieste al professionista forense. Tale ordine di
considerazioni giustifica l'orientamento restrittivo assunto da alcuni
ordini circondariali circa la consulenza legale via web quando
realizzata attraverso siti di terzi [...], la promozione dell'attività di uno
studio legale realizzata all'interno di una rete telematica di un ente [...]
oppure lo sfruttamento della qualità di webmaster o di curatore di un
30
sito di attualità giuridica a scopi pubblicitari" .
29 Guido Alpa e Giuseppe Colavitti, La pubblicità dell'avvocato, in La Previdenza
Forense, n. 3, 2010, p. 202.
30 Consiglio Nazionale Forense, La pubblicità dell'avvocato, Roma, 2013
La comunicazione online risulta assai funzionale (soprattutto ai
giovani professionisti) perché necessita di un piccolo investimento
monetario e, data l'enorme quantità di utenti che il web ha, perché
(potenzialmente) può arrivare a chiunque.
"Tuttavia, è bene evitare il "sito vetrina", estremamente
autoreferenziale. Per ottenere buona visibilità in internet è necessario
trasmettere un plus aggiunto, offrire informazioni che siano realmente
di aiuto per chi si trova ad avere a che fare con questioni legali. Come
ad esempio la possibilità per l'utente di trovare, su supporto
multimediale, una sintesi che spieghi esattamente i diritti, i doveri e
gli obblighi imposti dalla normativa, o di consentirgli, attraverso la
compilazione di form per la registrazione, l'accesso a servizi di
newsletter" (ossia notiziari scritti o per immagine diffusi
periodicamente per posta elettronica) "e ad informazioni più
31
approfondite sugli argomenti di interesse" . Resta il fatto che i
contenuti del sito internet sono appannaggio del legale, che in ogni
momento deve verificare il rispetto dei principi deontologici e la
presenza di tutte le informazioni previste dal (vecchio) 1 co. dell'art.
17 bis. Anche la cd. consulenza on line è da ritenersi lecita se intesa
come disponibilità dichiarata dal legale ad essere contattato da nuovi
potenziali clienti: chiaramente deve essere corretta e rispettosa del
decoro, senza cadere nel limbo dell'accaparramento della clientela.
Può anche darsi che l'intera relazione professionale avvenga per via
telematica, ma anche in questo caso l'avvocato deve accertarsi
dell'identità del cliente e rendere nota a quest'ultimo la natura del
servizio legale offertogli. In conseguenza di quanto detto finora,
sembra corretta la decisione del Consiglio dell'Ordine di Firenze di
censurare uno studio di infortunistica di Pistoia che, tramite il noto
sito internet Groupon, proponeva l'acquisto di un voucher che dava
diritto ad «una trattazione di un procedimento stragiudiziale senza
31 Giovanni Vaglio e Giulia Rizza, Professioni legali e innovazione. Il legal marketing,
in Diritto e Formazione, n. 6, 2009, p. 952.
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