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I neonati pretermine incorrono il rischio di sviluppare delle patologie gravi dovute
al non completo sviluppo del sistema nervoso nell’ambiente ottimale, ovvero in utero, ma
completato prevalentemente in un ambiente ostile come la terapia intensiva.
Le patologie che riguardano il sistema nervoso si distinguono in “disabilità di grado
maggiore” se gravi, oppure “disabilità di grado minore” se giudicate non gravi; si stima
infatti che circa il 10 % della popolazione dei nati pretermine, con picchi del 20% nei
bambini nati estremamente pretermine, possono riscontrare delle disabilità di grado
maggiore. Tra le disabilità di grado maggiore si trovano la paralisi celebrale (PCI), severe
disabilità neurosensoriali e il ritardo mentale. Si reputa invece che il 25%-50% dei neonati
pretermine riscontrano delle disabilità di grado minore ovvero ritardi comunicativo-
linguistici, comportamentali e leggeri ritardi cognitivi.
Le “disabilità di grado maggiore” possono essere legate a complicazioni negative durante
il decorso ospedaliero, quali l’emorragia della matrice germinativa ed intraventricolare
(GMH-IVH). Essa può rappresentare un fattore di rischio molto grave, soprattutto nel
nato pretermine e con un peso neonatale inferiore ai 1500 grammi. Si verifica solitamente
nei primissimi giorni di vita e può portare ad un sanguinamento intraventricolare. Le
lesioni cerebellari dovute a tali emorragie sono difficilmente diagnosticabili in quanto è
difficile e complicato poter andare ad analizzare la fossa endocranica con l’utilizzo di
ecografia. Solo attraverso la risonanza magnetica si ottiene una immagine approfondita e
dettagliata.
La PCI rappresenta per il bambino la problematica più grave in quanto può dare luce a
numerosi deficit sensoriali visivi, uditivi, un severo ritardo mentale con un quoziente
intellettivo inferiore a 70. “La PCI è definita come un gruppo di disordini permanenti
dello sviluppo del movimento e della postura con conseguente limitazione nelle attività,
causati da danni non progressivi nel cervello in via di sviluppo del feto” (Ferrari, et al.,
2013).
Nonostante per poter diagnosticare correttamente una PCI sia necessario aspettare i primi
2 anni di vita del bambino, è possibile riscontrare alcuni segnali d’allarme sin dai primi
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mesi di vita del bambino, quali la debolezza negli arti e forte ritardo nel raggiungere tappe
importanti evolutive come lo sguardo non sostenuto e/o evitante. Purtroppo però tali
sintomi non possono corrispondere ad una diagnosi di PCI ed occorre pertanto eseguire
degli esami obiettivi nei primi anni di vita.
1.3.2 Lo sviluppo linguistico e rischi associati alla nascita prematura.
“Il cervello deve essere maturo, pronto a ricevere gli stimoli per elaborarli. Per questo
non bisogna disperare se nei primi mesi di vita lo sviluppo cognitivo del bambino nato
pretermine risulta più lento. Diamo tempo al suo cervello di maturare” (Mehler, 2010).
Un’altra area che può essere fortemente compromessa dalla nascita pretermine è
quella legata allo sviluppo del linguaggio.
Sia fattori ambientali che soprattutto lo sviluppo neurologico del cervello influenzano
l’apprendimento del linguaggio nei bambini.
Una ricerca condotta in Cile, presso l’ospedale Sotero del Rio di Santiago, Pediatria, ha
evidenziato come un bambino riesca già da molto piccolo a distinguere ritmicamente la
propria lingua madre da un’altra ritmicamente molto distante, mentre l’abilità di saper
discriminare la propria lingua madre da un’altra lingua simile, come ad esempio l’italiano
e lo spagnolo, si acquisisce verso i 5 mesi di età (Pena, Pittaluga, Mehler, 2010)
Per quanto riguarda lo sviluppo del linguaggio del nato prematuro, è stato confrontata
l’abilità di discriminare la lingua madre in bambini nati a termine e bambini sani nati
Extremely Preterm (prima delle 28 settimane di EG); è stato riscontrato che a 6 mesi di
vita il cervello di un bambino nato a termine è più maturo rispetto ad un prematuro che
ancora non riesce a distinguere l’italiano dallo spagnolo. E’ dunque necessario affermare
che un bambino nato Extremely Preterm di 9 mesi è comparabile ad un bambino nato a
termine di 6 mesi di età effettiva. È stato inoltre evidenziato che un bambino nato con un’
età’ gestazionale inferiore alle 36 settimane può riportare dei ritardi nell’acquisizione del
linguaggio tra cui una minore complessità delle prime produzione vocali, un minor
vocabolario prodotto tra i 18 e i 24 mesi ed un ritardo nel lessico a 30 mesi specialmente
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nei bambini nati estremamente pretermine (De Rosa, 2015).
In età prescolare è stata osservata un’ampia variabilità delle competenze linguistiche
infantili; possono verificarsi situazioni di ritardi generalizzati, ritardi in alcune
competenze specifiche oppure uno sviluppo simile all’andamento del nato a termine
(Sansavini, 2016).
A 6 anni, inoltre, possono essere presenti delle difficoltà fonologiche sillabiche, mentre a
8 anni soprattutto in quelle fonemiche. Le difficoltà scolastiche possono diventare
numerose ed importanti specialmente nei bambini con una elevata immaturità neonatale
perché tali bambini, oltre alle difficoltà descritte, si ritrovano a dover iniziare la scuola
primaria un anno prima non essendo in linea con la loro età corretta ma in accordo con
l’età cronologica.
La letteratura ha evidenziato come circa il 39% dei soggetti nati con un peso neonatale
inferiore ai 1000 gr. e prima delle 28 settimane di età gestazionale a 8 anni abbia bisogno
di un supporto educativo poiché mostra minori competenze di automatizzazione nel
processo di lettura, una minore velocità nella lettura, e grosse difficoltà nel dettato
(Sansavini, 2013).
Il ritardo nell’abilità di lettura può aggravarsi se alla nascita sono associate complicazioni
come la displasia broncopolmonare.
1.3.3 Difficoltà nella qualità dell’interazione genitore-bambino
L’immaturità del bambino pretermine lo espone a notevoli difficoltà nel percorso
adattivo creando anche problematiche nell’interazione con il proprio genitore (Costabile,
Tenuta, 2013). La nascita prematura, inoltre, rappresentando nella maggior parti dei casi
uno shock e una fonte di stress e ansie per il genitore, rendendo anche per quest’ultimo
difficile instaurare un legame con il bambino. Le possibili problematiche di tipo
relazionali, cognitive e di linguaggio sono inoltre alimentate dalla separazione precoce
tra madre e bambino, dovuta al dover rimanere nell’incubatrice e l’essere collegato a
macchine, i quali monitorano i parametri cardiaci e respiratori, che non permettono al
bambino di iniziare una interazione con il genitore. Le madri tendono inoltre ad incolpare
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se stesse per non essere riuscite a portare a termine la gravidanza e provano sensi di colpa
e di angoscia che rendono ancora più difficile e complicato l’instaurarsi di una relazione
(Sansavini, Guarini, 2013).
1.3.4 I disturbi dell’alimentazione
“La classificazione diagnostica 0-3 definisce il disturbo dell’alimentazione come
difficoltà del bambino a stabilire pattern regolari di alimentazione con un’adeguata
immissione di cibo e a regolare la propria alimentazione con gli stati fisiologici di fame
e di sazietà” (Negri, 2012).
Un’ altra possibile area di rischio che potrebbe manifestarsi nel prematuro riguarda
il disturbo dell’alimentazione. L’alimentazione rappresenta per il bambino, soprattutto
nei primi mesi di vita non soltanto un qualcosa che gli permette di vivere, ma il primo
legame che instaura con la mamma. Il bambino attraverso l’attaccamento al seno, ove è
possibile, instaura i primi legami con il proprio genitore sentendosi al sicuro provando
una sensazione di piacere e una complessa serie di esperienze sensoriali combinando un
benessere fisico con quello psichico. Il nato prematuro invece non può provare questa
precoce piacevolezza a causa della sua immaturità. La nutrizione avviene inizialmente
attraverso oggetti rigidi, come il sondino naso gastrico, i quali non possono seguire i ritmi
del bambino e non si modificano in relazione del suo comportamento. Il bambino nato
prematuro, inoltre, non sperimenta inizialmente la sensazione di fame e sazietà in quanto
l’alimentazione viene scandita in ruotine mediche in orari ben stabiliti. Solo una volta
superata la fase più critica i bambini possono essere allattati al seno o tramite biberon in
terapia intensiva. Queste difficoltà possono costituire la base per il successivo esordio di
disturbi. Si stima che circa il 25% dei bambini nati prematuri può sviluppare un disturbo
alimentare, la percentuale sale fino al 35% se il bambino presenta altre problematiche
(soprattutto in caso di peso estremamente basso alla nascita). Tra i principali segnali si
osservano vomito, forte rifiuto del cibo e/o di certi cibi e la mancanza di appetito.
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1.4 Il follow up
“Il neonato prematuro ha diritto alla continuità delle cure post-ricovero, perseguita
attraverso un piano di assistenza personale esplicitato e condiviso con i genitori, che
coinvolga le competenze sul territorio e che, in particolare, preveda, dopo la dimissione,
l’attuazione nel tempo di un appropriato follow-up multidisciplinare, coordinato dall’
équipe che lo ha accolto e curato alla nascita e/o che lo sta seguendo” (Art.8. Carta dei
diritti del bambino nato prematuro, 2010)
I follow up sono sostanzialmente delle visite specialistiche inserite in un
programma rivolto alle famiglie di bambini prematuri, ripetute e scandite nel tempo utili
a valutare il piccolo, monitorandone la crescita e lo sviluppo. Queste visite sono effettuate
da specialisti quali pediatri, neonatologi, psicologi, fisiatri e neuropsichiatri infantili, al
fine di monitorare lo sviluppo dal punto di vista fisico, psicologico e neurologico su
bambini nati pretermine. Solitamente sono focalizzati verso i soggetti con maggiore
rischio, ovvero con un’età gestazionale inferiore alle 31 settimane e/o un peso neonatale
inferiore ai 1500 grammi. I follow up risultano essere una parte essenziale ed
importantissima per i primi anni di vita del pretermine e fungono anche da sostegno e da
aiuto nei confronti dei genitori.
Per quanto riguarda il territorio di Bologna, i primi programmi di follow up sono stati
creati negli anni 80, in collaborazione tra l’unità di Neonatologia e il gruppo di ricerca di
psicologia dello sviluppo del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna,
coinvolgendo le famigli