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La cessione in enfiteusi era utilizzata soprattutto per bonificare o migliorare i terreni meno

generosi, le sodaglie da dissodare. La concessione enfiteutica con la possibilità di vendere il

terreno o la casa a un nuovo enfiteuta, la concessione di terreni da bonificare o valorizzare e

poi da spartire fra antico proprietario e conduttore, erano i nuovi canali di avanzata della

minore libera proprietà, dei beni cosiddetti burgensatici, e dell’avanzata della borghesia. Si

diffuse il sistema delle concessioni a censo e si diffusero anche le concessioni in gabella di

terra, dapprima di appezzamenti ma poi anche di parti di feudi o ci feudi interi o di casali di

signori sia ecclesiastici che laici. In città come Messina, Palermo, Agrigento, titolari di queste

maggiori gabelle erano i milites titolari di minori feudi, abbienti professionisti, ufficiali

cittadini, i quali investivano capitali e ingaggiavano dei coloni per il lavoro agrario . Dagli

60

anni quaranta del Duecento si diffuse il negozio di gabella, prescelto dai proprietari di fondi

rurali nel territorio urbano da migliorare per breve tempo e con corrispettivo, che i gabelloti

dovevano corrispondere ai proprietari. Quei gabelloti erano per molta parte proprietari e

conduttori diretti di vigneti e arboreti nel territorio urbano e pure braccianti che si ponevano al

servizio salariato di terzi.

Dagli anni trenta del Duecento aumentò il ceto dei burgenses, dei borghesi proprietari

di beni allodiali, privati; erano anche prestatori d’opera, artigiani, piccoli commercianti. E

59 Cfr P. TOUBERT – A. PARAVICINI BAGLIANI, Federico II e la Sicilia, Palermo 1998, p. 140.

60 Per un’analisi complessiva cfr A. DEL VECCHIO, La legislazione di Federico II imperatore, Torino

1874.

cresceva con il lavoro e con il mercato dei prodotti agrari la domanda commerciale di prodotti

e di manufatti . La volontà di Federico II di sostenere la funzionalità del mercato, oltre a

61

quella dell’organizzazione del lavoro e della produzione, si rileva dagli interventi nei settori

più diversi, apparentemente distanti, mirati a razionalizzare, anche a semplificare, il

commercio e gli scambi di prodotti e manufatti, garantendo i traffici anche attraverso

l’adozione di pesi e di misure che progettava di unificare, regolamentando il sistema

impositivo diretto e indiretto, agevolando i commerci che controllava istituendo i fondaci,

dove fosse obbligatorio depositare le merci di transito, sostenendo l’attività dei mercanti

peninsulari, anche nei momenti di conflitto con Venezia e Genova, a condizione che essi non

interferissero nei fatti della politica, confermando le franchigie concesse da Enrico VI a

Messina nel 1197 e concedendo ai palermitani alcune esenzioni commerciali e libertà a

Palermo stessa .

62

61 Vincenzo D’Alessandro, Terra, nobili e borghesi nella Sicilia medievale, Torino, 1994.

62 Cfr. G. DE VERGOTTINI, Studi sulla legislazione imperiale di Federico II in Italia: le leggi del 1220,

Milano 1952. IV capitolo

La Sicilia dagli Angioini agli Aragonesi.

Carlo D’Angiò: lo statutum castrorum.

1. La grande attenzione verso i castelli demaniali è uno degli aspetti principali della

politica di rafforzamento del regnum meridionale e del potere imperiale di Federico II, come

già è stato detto nel capitolo precedente . Ed è un’attenzione che si articola in quattro

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momenti distinti ma ovviamente complementari: riduzione e strettissimo controllo delle

iniziative non statali di costruzione di castelli; recupero o acquisizione al demanio regio di

castra già feudali o vescovili; costruzione ex novo o restauro ed adeguamento di castelli

preesistenti; creazione, pur sulla base delle preesistenti normanne, di un efficiente sistema

gestionale e amministrativo per i castelli demaniali. La rete dei castelli demaniali, come già in

età normanna, in primo luogo sorveglia e tiene in rispetto le città, ancora prima che

difenderle, agendo da forte deterrente contro i venti di rivolta e rappresentando lo strumento e

il segno, assai forte, del potere dell’imperatore. Ai castelli veri e propri, occorre aggiungere le

domus, i palazzi, i loca sollatiorum, edifici quasi sempre fortificati anche se finalizzati

soprattutto a supportare logisticamente le attività di caccia .

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Il regno di Carlo D’Angiò, con la maggior disponibilità di fonti, permette in primo

luogo di ricostruire con più esattezza la rete dei castelli demaniali anche in Sicilia, oltre che

per la parte continentale del regnum . Le novità rispetto all’età sveva ci sono, ma non è facile

65

63 F. MAURICI, Federico II, in Grandi Siciliani, Catania 1992.

64 F. MAURICI, Casali, castelli e città in Sicilia, in Nuove Effemeridi, Palermo 1994.

65 G. DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò dal 1265 a 1309, Napoli

1863, p. 75.

stabilire se siano reali o dovute solo all’allargamento dei dati disponibili . Nel 1274 i castelli

66

demaniali della Sicilia citra Salsum(la metà orientale dell’isola)n erano 21: Messina, Scaletta,

Rometta, Monforte, Milazzo, San Marco, San Filadelfo (oggi San Fratello), Nicosia,

Castrogiovanni (Enna), Sicacusa, Taormina, Lentini, Mineo, Licodia, Augusta, Avola, Mohac

(Modica), Garsiliato, Calatabiano, San Filippo (Agira). Rispetto all’età sveva compaiono vari

nomi in più mentre sembrano mancare dal novero dei castelli demaniali Santa Anastasia,

Noto, Sperlinga, Caltagirone, Aci. Nella Sicilia ultra i castelli reali elencati nello statuto del

1274 erano ben 18: Cefalù, Palermo, Corleone, Sciacca, Caltanissetta, Agrigento, Carini,

Termini, Vicari, Favigniana, Licata, San Mauro, Geraci, Caronia, Caltabellotta, Cammarata,

Mazara. Rispetto all’età sveva, a fronte di diverse novità, non sembrano fare più parte del

demanio Calatamauro, Calatafimi e i due vecchi castra exempta di Bellum videre e Bellum

Reparum. Il demanio rinuncerà più tardi a parecchi dei castelli di questa lista, anche se non si

tratta dei principali, ed alle terre corrispondenti. Ne acquisterà però altri, ed è inoltre

probabile che queste liste d’età angioina presentino qualche omissione come Trapani, Marsala

e Monte San Giuliano .

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Lo Statutum Castrorum del 1281 rispetto al 1274 presenta solo un paio di novità,

destinate anch’esse a uscire successivamente dal demanio: il castello di Castiglione e quello di

Favara. Oltre e più ancora che nel novero dei castelli che la continuità con l’epoca sveva è

evidentissima nell’organizzazione amministrativa. Castellani e serventi mantengono quasi

identici attributi, funzioni e trattamento. La figura del Provisor Castrorum, dopo forse un

breve periodo di parziale eclissi, è ben attestata in Sicilia come nelle

altre parti del regnum .

68

66 G. DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo d’Angiò, Napoli 1863.

67 E. STHAMER, L’amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò,

1990.

68 Cfr. R LICINIO, Castelli medievali, Torino 1988, p. 228.

Al provisor castro rum era affidata una intensa attività ispettiva: egli doveva visitare

periodicamente i castelli, controllare, vigilare e redigere inventari di armi, animali, vettovaglie

. È evidente che la creazione dell’ufficio di provisor castro rum, con competenze così ampie

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e giurisdizione territoriale assai estesa, abbia notevolmente ridotto l’importanza dei castellani

e l’ambito delle loro competenze. Più o meno contemporaneamente alla sua creazione dovette

anche essere codificato, accorpando consuetudini risalenti ad età normanna, lo statuto per la

ripartizione dei castelli demaniali.

Particolare attenzione era rivolta dal Liber Augustalis anche ai detenuti all’interno dei

castelli. I castra regii demanii infatti, come già in età normanna, continuavano e

continueranno a servire da prigione, l’imperatore intendeva reprimere le estorsioni di denaro

ai danni degli incarcerati e prevenire le evasioni con la minaccia di gravi pene detentive e

pecuniarie a danno dei custodi negligenti .

70

69 E. STHAMER, L’amministrazione dei castelli in Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò, Bari 1990.

70 Sull’argomento cfr L. CATALIOTO, Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina

1995, p. 53.

Il Vespro e Federico III d’Aragona.

2. I caratteri della Sicilia che noi tutti oggi conosciamo non derivano dal primo “grande”

regno di Sicilia, quello fondato nel 1130 da Ruggero II ed estintosi nel 1282 con la

rivoluzione del Vespro ma sono, in gran parte, derivati dal secondo “piccolo” regno di

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Sicilia, fondato nel 1296 ad opera di Federico III d’Aragona e soppresso nel 1816 da

Ferdinando I di Borbone. Per capire come avvenne questo passaggio dobbiamo partire dalla

rivoluzione del Vespro. Il Vespro non portò a risultati politici concreti ma tuttavia portò a

conseguenze di notevole valore storico per l’intera Europa .

72

In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente critica per una generalizzata

riduzione delle libertà baronali e, soprattutto, per una opprimente politica fiscale. L’isola, da

sempre fedelissima roccaforte sveva, era ora il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli

Angiò si mostrarono insensibili a qualunque richiesta, di ammorbidimento ed applicarono un

esoso fiscalismo, praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Alla fine del 1280, in

concomitanza con la morte di papa Niccolò III, i baroni siciliani ruppero gli indugi

organizzando una sollevazione che desse un segno tangibile della loro determinazione . In

73

quel mentre avveniva l’elezione del papa di origini francesi Marino IV che, eletto proprio

grazie al determinante sostegno degli Angiò, si mostrò fin dall’inizio insensibile alla causa dei

Siciliani. Nell’instabile panorama politico della fine del XIII secolo, la rivolta siciliana,

intrecciando l’opposizione al potere temporale dei papi al contenimento dell’inarrestabile

ascesa dei loro vassalli angioini, innescherà nel Mediterraneo un vero e proprio conflitto

internazionale: da una parte Carlo I d’Angiò, sostenuto da Filippo III di Francia e dai guelfi

fiorentini, oltreché dal papato; dall’altra Pietro III d’Aragona, appoggiato da Rodolfo

d’Asburgo, da Edoardo I d’Inghilterra, dalla fazione ghibellina genovese, dal Conte Guido da

71 Si noti che molti studiosi siciliani, fra cui Michele Amari, preferiscono la denominazione di “guerra

del Vespro” o “Vespro Siciliano” rispetto ai Vespri che considerano una francesizzazione.

72 Sull&r

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Publisher
A.A. 2014-2015
64 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AntoSilv90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Tocco Francesco Paolo.