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Storia Moderna - l'Italia e la Sicilia spagnola Pag. 1
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L'ITALIA DOPO LA PACE DI CATEAU-CAMBRESIS

L'Italia spagnola - Governo della Sicilia

Dopo la pace di Cateau-Cambrésis del 1559 l'Italia era divisa nei seguenti stati:

  1. Italia spagnola, che comprendeva:
    • la Sicilia
    • la Sardegna
    • lo Stato dei Presidii
    • il regno di Napoli
    • il ducato di Milano, il quale si estendeva dall'Adda alla Sesia ed era formato dall'antico ducato milanese, dal principato di Pavia e dai contadi di Cremona, Alessandria, Tortona, Como, Novara, Vigevano, Lodi e Bobbio, Vercelli ed Asti
  2. Stati di Emanuele Filiberto, formati dal territorio che si stende dalla Sesia alle Alpi, oltre la Savoia
  3. Domini francesi di Torino, Chieri, Pinerolo, Chivasso e Villanova d'Asti
  4. Repubblica di Venezia che aveva tutto il territorio compreso tra l'Adda e l'Adriatico e possedeva inoltre l'Istria, la Dalmazia fino a Ragusa, Cipro e Candia
  5. Repubblica di Genova, che dominava su quasi tutta

L'odierna Liguria e sull'isola di Corsica.

VI - Il ducato di Mantova e il marchesato di Monferrato sotto il dominio della Casa dei Gonzaga.

VII. - Parma e Piacenza sotto la signoria di Ottavio Farnese.

VIII. - Il ducato di Toscana sotto la Casa de' Medici.

IX. - Il ducato di Urbino sotto la signoria di Francesco Maria II della Rovere.

X. - La repubblica di Lucca.

XI. - Lo Stato Pontificio.

Se si consideri che la Spagna, oltre che possedere direttamente due grandi isole e un territorio così vasto della penisola, teneva asservite alla propria politica Genova e la Toscana e, a volta avolta, qualche altro stato, si comprenderà facilmente come tutta l'Italia sentisse direttamente o indirettamente il peso dell'autorità spagnola e ne subisse la nefasta influenza in quasi tutte le manifestazioni della sua vita. Passiamo ora ad esaminare le condizioni di ciascuna delle regioni italiane soggetto alla Spagna.

La Sicilia, dov'era stabilita una guarnigione

spagnola di tremila e cinquecento fanti regolari, era governata da un viceré che durava in carica tre anni ed era coadiuvato e nominalmente controllato dal Parlamento. Questo si divideva in tre ordini o bracci:
  1. l'ecclesiastico, formato da arcivescovi, vescovi e abati;
  2. il baronale o militare, costituito dai baroni, dai nobili e da soggetti della milizia;
  3. il popolare o demaniale, dai rappresentanti delle terre demaniali.
Del primo era capo l'Arcivescovo di Palermo, del secondo il più antico dei nobili, del terzo il rappresentante della capitale dell'isola. Il parlamento, come si vede, costituiva la rappresentanza delle tre classi in cui era divisa la popolazione della Sicilia, città, clero e feudatari. Potentissimi erano questi ultimi, che esercitavano nei loro domini poteri quasi sovrani; giudicavano in materia civile fino ad una data somma e in materia criminale fino alla pena del bando; avevano alle loro dipendenze i magistrati dellecittà comprese nei loro feudi; e godevano il privilegio di ricoprire le cariche di Connestabile, Gran Giustiziere, Siniscalco e Protonotario. Ogni braccio era formato da quattro deputati che rimanevano in carica un triennio; l'interoparlamento si riuniva in assemblea ordinaria una sola volta durante il periodo della legislatura, quasi sempre a Palermo, qualche volta a Messina o a Catania, ma poteva riunirsi in seduta straordinaria tutte le volte che ce n'era bisogno. Il parlamento aveva il diritto di chiedere riforme per l'ordine pubblico, la giustizia, l'amministrazione, i tribunali e per i particolari bisogni delle città, ma con il tempo le sue funzioni si ridussero alla votazione dei donativi e alla visione degli ordini del re. I capitoli del parlamento non potevano avere forza di legge senza l'approvazione regia; la deputazione del Regno, che era eletta dal parlamento, ne faceva eseguire le deliberazioni, era preposta al censimento, vigilava allainviolabilità del diritto parlamentare e all'osservanza degli atti del parlamento, era insomma un magistrato importantissimo sotto la cui egida stavano i secolari privilegi dell'isola. L'autorità del parlamento sarebbe stata grandissima se, come i baroni volevano, per l'approvazione delle leggi fosse stata richiesta l'unanimità dei voti; invece bastava la maggioranza e a conseguire questa il viceré non trovava eccessiva difficoltà. Egli infatti aveva dalla sua il podestà di Palermo che influiva sulla votazione degli altri rappresentanti delle città, vendeva la giustizia a quei membri che avevano una lite al tribunale e convocava l'assemblea d'inverno perché i prelati, amanti dei comodi, non potessero partecipare vi vi inviassero invece dei delegati che non era difficile corrompere. Questi fatti ci danno l'esatta misura di quel che era la giustizia in Sicilia, la quale stava nelle mani di giudici.

venali e asserviti al viceré. Gli organi che l'amministravano erano tre: il tribunale del Patrimonio, che trattava gli affari civili, quello della Gran Corte, che discuteva le cause in appello, e il Concistoro della Sacra Coscienza del re, tribunale supremo presieduto dal viceré e da tre giudici biennali. Nonostante il governo oppressivo degli Spagnoli, i monopoli da essi esercitati, specie quello della vendita del grano, le tasse molto forti e tutti gli altri malanni causati dalla dominazione straniera, le principali città siciliane, Palermo, Messina e Catania, erano in grande floridezza ed avevano la possibilità di impiegare somme cospicue in opere di abbellimento e di utilità. Così Palermo spendeva settantamila scudi per la fontana di Piazza Pretoria, tre milioni e mezzo di scudi per il molo e somme ingenti per le magnifiche vie Toledo e Maqueda, per la strada Colonna, per Porta Felice e per la costruzione della dogana, di ospedali e caserme;

Messina impiegava più di due milioni di scudi per il suo teatro marittimo e Catania ingrandiva e abbelliva con enormi spese il palazzo municipale. Alla floridezza delle città siciliane, oltre i privilegi goduti dal tempo degli Aragonesi, contribuiva la saggia e illuminata amministrazione municipale. Valga per tutte il cenno che diamo intorno all'organizzazione dell'amministrazione di Palermo. La città era divisa in cinque quartieri ed amministrata da un Pretore, dal Consiglio civico, dal Capitano giustiziere, dalla Corte pretoriana, composta di tre giudici e presieduta dal Pretore, che giudicava le cause criminali, e da sei Giurati che formavano il Senato. Questi magistrati duravano in carica un anno; il Pretore, il Capitano e i Giudici erano eletti dal sovrano dietro proposta del viceré; i Giurati direttamente da lui; questi ultimi, insieme col Pretore sovrintendevano all'annona, all'igiene, all'edilizia, alle acque e avevano cura dei.

privilegi cittadini, ed erano coadiuvati da un Sindaco, da un maestro nazionale, da un tesoriere, da un conservatore delle armi, da un maestro marmista e da un maestro di cerimonie. Per l'ordine pubblico c'erano un Sergente maggiore, due capitani e quaranta soldati a cavallo. Inoltre varie deputazioni di cittadini aiutavano il Senato nell'amministrazione del comune. Fra queste, le più importanti erano: la Deputazione della sanità, quella del Molo, quella delle gabelle sulle uve, vini, carni e farine, quella delle strade Cassaro e Maqueda, quella per l'estinzione dei debiti della città e la Deputazione delle Parrocchie. Una delle più grandi piaghe che afflisse la Sicilia durante la dominazione di Spagna fu l'inquisizione spagnola. "Non poche - scrive il Callegari - furono le lagnanze mosse dalla Sicilia per la tirannide con la quale agiva sull'isola quel feroce tribunale; tuttavia restavano lettera morta, e"

le disposizioni emanate dal grande Inquisitore davano luogo a conflitti con le autorità civili; celebre fra questi quello col viceré nel 1590 a causa dell'arresto del conto di Mussomeli familiare del Santo Ufficio imputato di omicidio, per quel fatto gli Inquisitori comunicarono prima gli autori dell'arresto, perché contrario al privilegio del foro, e quindi lanciarono l'interdetto sulla città di Palermo. Si rese quindi necessario l'intervento dell'arcivescovo della città per fare revocare la censura ecclesiastica e comporre pacificamente la questione. Ad ovviare a tali inconvenienti i Viceré emanarono in varie epoche speciali prammatiche, dette concordie, con le quali gradatamente puntarono a diminuire l'importanza del Santo Ufficio e ad abbassarne un poco l'alterigia. Ma questo non bastava per quietare gli animi profondamente esacerbati; ed anzi non poche volte la plebe insorse contro questo Tribunale,

Perché i Siciliani non potevano tollerare che si infierisse in tal modo, e che i loro reclami presso l'Imperatore restassero inesauditi. Più arrogante si fece l'Inquisizione quando al trono di Spagna fu assunto FILIPPO II, nell'utilizzarla a scopo politico permise confische, bandi, sentenze feroci per ogni semplice sospetto. Non poche volte il S. Ufficio faceva processi di giudaismo, di eresia, rintracciava le fattucchiere e le streghe; ogni tanto tirava fuori dall'oscurità delle carceri un certo numero di prigionieri pallidi, curvi, emaciati dai tormenti e dal lungo digiuno, e in grandiosi catafalchi li poneva in rassegna nei suoi auto-da-fé, si leggevano al pubblico le loro accuse e le spietate condanne, che spesso gli accusati non erano in grado nemmeno a comprendere; poi qualche coppia di ostinati li si consacrava alla divina vendetta, e, preceduti dalla croce verde, coperti il capo del sambenito dipinto a diavoli e fiamme, si mandavano al rogo.

rumori notturni Il sospetto delle ignote denuncie e degli rumori notturni
Dettagli
Publisher
A.A. 2008-2009
4 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze Storiche Prof.