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LONDI LAVII ORLIVIENSIS
sint, Leonarde clarissime, tuum nomen celebrantia, tum maxime illud illustrat
[…].
Latini sermonis exquisita proprietas..
159 Cfr. A. M , Introduction, cit., p. 16.
AZZOCCO
160 Per questo aspetto si veda F. D D , Latinità e barbarie nel De Verbis
ELLE ONNE
di Biondo: alle origini del sogno di una nuova Roma, in Contributi. IV Settimana
di studi medievali (Roma, 28-30 maggio 2009), a cura di V. De Fraja - S. Sansone,
Roma (Istituto storico italiano per il medioevo) 2012, pp. 59-76, spec. p. 59.
7: […]
161 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutiones, Si
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
vero aridum, ut est, ieiunumque tibi videbitur huiuscemodi orationis meae genus,
45
posizioni assunte da Biondo nel dibattito avvenuto presso gli umanisti di
stanza alla curia romana a proposito del linguaggio utilizzato dagli antichi
162
romani . In particolare si può rilevare come egli si soffermasse
innanzitutto sulle tesi sostenute dalla fazione avversa, che riteneva vi fosse
una netta dicotomia tra la lingua letteraria degli eruditi e la vulgata dei
popolani, cosicché i primi avrebbero persino avuto la necessità di tradurre
163
le proprie orazioni dopo averle esposte al popolo . Argomentazioni a
supporto di questa tesi furono esposte anche da Rustici e Loschi, secondo i
quali i politici e i retori nell'antica Roma avrebbero avuto necessità di
utilizzare proprio un linguaggio volgare, in prima battuta per rendere
164
partecipe la plebe che, altrimenti, non avrebbe inteso alcunché . Secondo
la narrazione di Biondo, Rustici aveva addotto come elemento probante
della sua tesi un passo di Livio che, nella sua storia di Roma, narrava di un
discorso tenuto appositamente in latino volgare dal re Tullo Ostilio, durante
la guerra contro Fidene, in modo che anche i soldati nemici lo capissero e si
165
spaventassero . Secondo l'umanista toscano ciò provava che Romani e
indictis Christiana religione ieiuniis et perflantibus Martio mense ventis, quo in
tempore ista scripsi, attribues.
162 Cfr. A. M , Introduction, cit., p. 16.
AZZOCCO 13: […]
163 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis,
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
Tecum enim, si recte memini, Luscus et Cintius sentire videbantur, vulgare
quoddam et plebeium ut posteriora habuerunt saecula, Romanis fuisse loquendi
genus a litteris remotum, quo doctissimi etiam oratores apud populum illas
dicerent orationes quas postmodum multa lucubratione in grammaticam
latinitatemredactas posteris reliquerunt.
164 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 14-15.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
165 Si veda Liv., I, 27. 46
Fidenati avessero la stessa lingua volgare e che la parlata del re fosse
l’unico modo per farsi capire da entrambi gli schieramenti 166 .
La tesi abbracciata da Biondo con tanta certezza da ritenere che se
Leonardo Bruni non se ne fosse andato nel mezzo della discussione sarebbe
167
stato persuaso dalle sue argomentazioni , indica come egli affrontasse la
D’altra parte,
questione senza ridurla al mero piano linguistico ed erudito.
analizzando il testo, si può notare come, nel seguito della discussione, lo
scontro tra le due posizioni si sposta anche sul versante inerente alla
168
concezione culturale della lingua latina , cosicché se il Bruni indicava nel
bilinguismo volgare-latino dei Romani il progenitore di quello della società
medievale, Biondo sosteneva invece che a Roma la lingua latina avesse un
carattere unitario ma che occorresse tuttavia differenziare al riguardo tra lo
169
stile dei dotti e quello della plebe .
In generale, dalla linea seguita nel discorso dal Forlivese, si può ricavare
con l’apporto delle fonti antiche,
che egli puntasse a dimostrare, come nel
mondo romano non vi fosse alcuna divisione netta, tantomeno di carattere
linguistico. Rispondendo al Bruni, l'umanista ricordava il caso di Curione,
citato da Cicerone nel Brutus, che sebbene litterarum admodum nihil
166 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis 16: Hincque
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
elicere visus est velle Cintius Romanis Fidenatibusque unam eandemque linguam
vulgarem tunc fuisse, nullamque aliam locutionis ab rege per id tempus quam
litterati sermonis differentiam adduci potuisse.
167 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 17.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
Latinità e barbarie…,
168 Si veda F. D D , cit., p. 63.
ELLE ONNE
169 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 37: Velim
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
tamen cum certaturis mecum omnibus illud fore imprimis mihi commune, ut
litterata orationis Latinitate, quam Romanis omnibus femellis pariter cum viris
unicam fuisse constanter assevero, doctos longe multum indoctam multitudinem
praestitisse concedam. 47
secondo il giudizio dell’Arpinate 170
sciebat, Latine non pessime loquebatur
171
e purtuttavia era considerato il terzo oratore della città .
Malgrado l'attacco frontale rivolto a Bruni, secondo il racconto contenuto
nell'operetta, Biondo non avrebbe comunque rinunciato ad ipotizzare che vi
fosse una generica identità linguistica tra plebe ed eruditi, cosicché
trait d’union
tracciava un tra il mondo antico e quello medievale,
sostenendo che come vi era differenza tra la ignavae aut rusticanae
multitudinis turba di campagnoli e i Fiorentini educati parentibus et
nell’uso del volgare, così presso i Romani
172
civilibus (etsi Latini omnes
173
verbis) esisteva una massa plebea che pur parlando correttamente, non
frutto di un’educazione elitaria
usava la nobile Latinitas ed accessibile
dunque solo a quanti potevano permettersi alcune condizioni per lo studio e
174
l'erudizione . l’autore
Scorrendo il seguito della narrazione, si nota ancora come
da “un’indagine di interesse erudito ad un piano retorico e infine
passasse
– 175
etico politico” , sino ad approfondire aspetti legati alla geografia umana.
Per dimostrare l’importanza che Roma ebbe nell’irradiazione del latino
anche nel volgo, Biondo si soffermava anche sul linguaggio in uso nei
170 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 52.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS 53: […]
171 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, Sine
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
doctrina, sine litteris non pessime Latine loquentem splendidioribus uti verbis et
tertium urbis oratorem faceret Curionem, non Latinus esse non potuit sermo ille
domesticus.
172 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 58.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
173 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 59.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
174 Si veda F. D D , Latinità e barbarie…, cit., p. 65. Si noti che in
ELLE ONNE 63 l’esempio di tale
Blondi Flavii Forliviensis, De verbis Romanae locutionis,
superiorità è rappresentato dalla figura di Cesare che tramite lo studio e
l’educazione ricevuta era divenuto un esempio di eloquenza ed arte oratoria.
175 Cfr. F. D D , Latinità e barbarie…, cit., p. 66.
ELLE ONNE 48
dintorni dell’Urbe che, ancora nel Medioevo, mostrava evidenti segni di
176
influenza latina specialmente per i termini legati al lavoro agricolo .
per l’umanista
Dunque, il tema della lingua diventava il pretesto per
insistere sulla centralità della virtus romana e della grandezza dei tempi
antichi, (quamquam urbs Roma, quae pristino virtutis splendore exhausta
paucas reliquis in rebus sui ipsius reliquia habet integras, non minimum
177
huiusce rei hucusque servat indicium) . Si tratta di un appello
capire la genesi del pensiero storiografico dell’umanista
significativo per
forlivese e la sua posizione anche sul senso che, non solo la lingua ma, più
in generale la civiltà romana, aveva avuto nell’evoluzione della realtà
politico-culturale della penisola italiana.
In conclusione, pur nascendo come opera di carattere erudito e come
l’occasione
dissertazione di taglio linguistico, il De verbis dava all'autore di
dell’uomo. A conferma
porre in relazione la storia della lingua con la storia
di questa considerazione, è interessante un passo in cui lo stesso Biondo
una lettura storica dell’evoluzione linguistica medievale:
proponeva
Postea vero quam Urbs a Gothis et Vandalis capta inhabitarique coepta est, non
unus iam duo infuscati, sed omnes sermone barbaro inquinati ac penitus sorditati
fuerunt; sensimque factum est ut pro Romana Latinitate adulterinam hanca
178
barbarica mixtam loquelam habeamus vulgarem
l’autore,
Come emerge da tale contesto, secondo la nascita del volgare
sarebbe scaturita dalla caduta di Roma, avvenuta per mano dei barbari, che
avrebbe adulterato il puro idioma latino e dato origine alle varie lingue
romanze parlate in Europa nel Medioevo. Nell’articolazione scelta dal
176 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 95.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
177 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 96.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS
178 Cfr. B F F , De verbis Romanae locutionis, 111.
LONDI LAVII ORLIVIENSIS 49
Forlivese per il tema, la questione linguistica si univa dunque a quella
storica, contrapponendo la grandezza dei Romani e la purezza della loro
frutto dell’avvento dei
lingua alla rozzezza del volgare che, in quanto
barbari, aveva non solo impoverito il linguaggio ma anche la potenza della
dei secoli vicini all’umanista. definitiva, nell’ottica di Biondo
Roma In
“la distruzione dei costumi e della civiltà latina” si era realizzata
Flavio, 179
parallelamente con quella della lingua latina .
Nel complesso occorre ribadire che, il De verbis costituisce un tassello
specifica dell’umanista,
importante per comprendere la posizione oltre che
Se da un lato infatti l’erudito aretino
la sua contrapposizione col Bruni.
aveva inteso con le sue opere tracciare un punto di contatto tra la Roma
repubblicana e la Firenze del Quattrocento, dall'altro il segretario del papa
puntava piuttosto a un approccio rigorosamente scientifico, alimentato
dall'interesse e dalla tendenza ad unire idealmente i fasti del passato di
Roma antica con quelli della curia che, nella concezione dell'umanista
avrebbe dovuto fungere da guida al rinnovamento dell’Italia
forlivese,
180
intera .
179 Si veda F. D D , Latinità e barbarie…, cit., p. 70.
ELLE ONNE
180 Si veda F. D D , Latinità e barbarie…, cit., p. 72.
ELLE ONNE 50
3. La produzione antiquaria: La Roma Instaurata e la Roma
Triumphans
Il genere antiquario ha rappresentato, nell’Umanesimo prima e nel
poi, com’è noto, uno dei filoni letterari più prolifici,