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La moralità richiede la coincidenza tra la coscienza e la propria situazione: se
questa viene a meno cade pure la coscienza. Per Sartre non vi è possibilità
ontologica di una coscienza senza oggetto, e perciò nemmeno di una morale
astratta. Ogni situazione costruisce una coscienza e, nello stesso tempo, dà luogo a
10 Chairs., p.419
Pierre Verstreten, Sartre et Hegel, in les Temps Modernes, n° 531, giugno 1991, p.131 76
una morale. La proposta morale dovrà nascere dalla prassi sociale d’una coscienza
individuale. In questo senso, dirà Sartre, la realtà è composta da tanti discorsi
morali quanti sono i soggetti che ne fanno parte.
Per evitare una concezione di tipo individualistico dell’uomo, a favore
invece d’una proposta centrata sulla dimensione storico-sociale "aperta"
dell’uomo stesso, Sartre già nelle prime pagine dei Quaderni identifica la moralità
con la conversione, scrivendo: “la moralità: conversione permanente. Nel senso di
11
Trockij: rivoluzione permanente”. Ma questo movimento non deve essere inteso
soltanto in modo individuale: non ci sarà conversione se non vi è, insieme, una
conversione storica, in quanto il superamento delle condizioni date implica non
solo un cambiamento di sé ma anche un cambiamento del mondo. “In mancanza
di questo cambiamento non c’è conversione morale assoluta. Così come il rifiuto
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della guerra non sopprime comunque la guerra”. La conversione personale
acquista così il proprio senso solo nella dialettica della storia. L’essere umano,
come agente storico, si trova sempre nell’incrocio della Storia e nel paradosso del
Senso. Gli uomini hanno ragione di ricercare un senso della Storia, ma dovranno
pur sempre ricordare che sono loro a farla. La conversione, in quanto “possibile”
che porta in sé ogni prassi alienata, dovrà fare i conti con la sua epoca. Se l’uomo
è libero, la scelta di sé come scelta dell’autenticità acquisterà senso soltanto nella
dialettica storica di cui è parte e dalla quale riceve il senso finale. Se il rifiuto della
guerra non sopprime comunque la guerra, questa scelta sarà certamente esemplare
ma non sufficientemente efficace. Restando all’interno di una conversione
personale, otterremo soltanto una trasformazione superficiale connessa a una
11 Ibid., p.9
12 Ibid., p.13 77
rassegnazione di fondo: non certo il mutamento concreto del reale. L’unica forma
autentica d’essere contro la guerra è di agire contro di essa. L’autenticità scopre
che “il solo progetto valevole è quello di fare (e non di essere) e che il progetto di
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fare non può essere universale senza cadere nell’astratto”. L’autenticità risiede
proprio nel rifiuto dell’astratto per lasciar posto al concreto, alle circostanze
particolari di ogni momento storico. La conversione comporta invece la rinuncia
al tentativo di appropriazione dell’in-sé da parte del per-sé. In questo modo il
progetto non viene più messo in relazione con qualcosa di diverso dal suo scopo.
Se la conversione è conversione-nel-mondo, i valori si situeranno in una posizione
di esteriorità e lì aspetteranno di essere posseduti, di essere interiorizzati e assunti
come propri da parte del soggetto. Anche la scelta di sé non potrà realizzarsi che
tramite una determinata relazione col mondo come alterità. La conversione
autentica è ripresa di sé tramite il mondo, tramite la scelta dei valori che ci
riguardano, al momento, invischiati invece nella storia e alienati nello “spirito di
serietà”.
I Cahiers presentano un discorso non sempre ordinato. La morale di Sartre
è organica, ma insieme (e anche più) frammentaria, così come lo è lo scorrere del
pensiero. La lettura di questi testi permette sia di sondare il processo attraverso il
quale vengono costruiti i concetti, sia di scoprire una serie di nodi irrisolti, sia di
cogliere proposte assai spesso solo accennate. Ci troviamo, insomma, dinanzi a
un’opera non conclusa, anzi per più versi “aperta”, Ma forse proprio questa era
almeno in una certa misura, l’intenzione profonda di Sartre: gettare i fondamenti
di una morale “da costruire”, delineare un uomo “da fare”.
13 Ibid., p.460 78
Nei primi anni ’60, abbandonato il progetto di stesura del secondo volume
della Critique, Sartre riprenderà in mano i Quaderni, ci lavorerà sopra e scriverà
nel ‘64-65 una serie di note di lavoro e piani di sviluppo di una morale dialettica.
Il suo intento sembra quello di comprendere il senso di ogni morale partendo dai
rapporti tra la prassi e la materialità e nelle diverse prassi interagenti tra loro.
Un altro lavoro di Sartre che viene annoverato tra gli studi per una morale
è Vérité et existence. Scritto nel 1948, subito dopo i Cahiers, il saggio ha la
propria unità tematica nel progetto di elaborare una "teoria ontologica della
verità". Si pensa sia stato scritto come risposta alla conferenza di Martin
Heidegger Dell’essenza della verità, che era stata da poco pubblicata in Francia.
Sartre misura qui il suo pensiero con quello del filosofo tedesco, trovando che essi
differiscono perché, mentre Heidegger pensa solo alla verità dell’Essere, egli
valuta il ruolo dell’idea di verità nei rapporti intersoggettivi. Per Sartre la verità e
la conoscenza non sono altro che la presenza consapevole dell'esistente in
rapporto al suo mondo. Sotto questo profilo la conoscenza si configura come atto
di trascendenza, o, secondo quanto era già stato scritto in L’Essere e il Nulla,
come un tipo di relazione tra l’in-sé e il per-sé. Proprio tale posizione viene
approfondita in Vérité et existence, dove il filosofo sottolinea che “la verità non è
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vera se non è vissuta e fatta”. Per Sartre la verità crea il suo tempo creandosi, e
può esistere solo in divenire, “en situation”.
14 J.P.Sartre, Verité et existence, a cura di Arlette Elkaim-Sartre, Gallimard, Paris 1989; tr. It. di
Sircana, Il Saggiatore, Milano 1991, p.52 79
Capitolo: IV. Scritti postumi: Quaderni per una morale, Verità e
esistenza
Prima parte
1. Alienazione e oppressione storica
Il problema posto in l’Essere e il Nulla, e cioè quello della struttura
conflittuale delle relazioni interpersonali, si trasforma a poco a poco nel problema
più generale della alienazione e dell’oppressione e poi in quello della possibilità di
una interpretazione globale della storia e del suo senso, alla luce della violenza e
della alienazione che vi regnano. La violenza nasce dal tentativo di trattare l’altro
come cosa considerandolo al tempo stesso libertà. Questo tentativo, in sé
contraddittorio e quindi destinato alla scacco ma reale nei suoi effetti,
accompagna tutte le relazioni umane perché esse si costituiscono attraverso un
movimento di reciproca negazione con il quale ognuno trasforma l’altro da
soggetto a oggetto subendo poi la stessa sorte. Questa componente che si può dire
“ontologica” della violenza, poiché sorge nel rapporto originario tra le coscienze,
è sempre implicita nei fattori sociali, storici o antropologici che costituiscono i
diversi “fenomeni di violenza”, e l’atto di violenza, pur avendo luogo all’interno
di una situazione sociale ben determinata, risulta sempre accompagnato da un
certo modo di concepire i rapporti tra gli uomini e il mondo.
In questo scritto Sartre interpreta l’alienazione come alterità che proviene
dalla storia, in tal caso l’uomo intrattiene con se stesso, con l’altro e con il mondo,
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dei rapporti nel quale pone la priorità ontologica dell’altro. L’altro non è una
persona determinata, ma una categoria o, se si vuole, una dimensione, un
1
elemento. Tutta la storia deve essere compresa in funzione di questa alienazione
primitiva dalla quale l’uomo non può uscire.
Come è apparso evidente dall’analisi ontologica l’uomo come individuo
non può conoscere tutto di se, e l’altro è alienante, perché coglie qualcosa che noi
non coglieremmo individualmente. Nei Quaderni Sartre accentua come l’uomo, si
renda conto che non può essere niente, se gli altri non lo riconoscono come tale,
sicché per ottenere una verità qualunque su noi è necessario ricavarla tramite
l’altro. L’uomo autentico per Sartre, è colui che accetta che l’atto divenga altro
rispetto al suo concepimento. “Accettare che l’idea divenga altro: la virtù
2
dell’agente storico è la generosità”. Ma rispetto alla libertà, la storia è
esattamente l’altro. Il fattore essenziale di essa è la libertà come motore primo e
come scopo. Accade che può essere trasformata in destino dall’altro ed è essa
stessa che, come libertà alienata, opprime una libertà. L’altro non è più solo colui
che è esterno a me e mi guarda, ma esiste in me stesso originariamente sotto
forma di “in sé-per-sé”; esso può presentarsi come capo-clan, sovrano, capo
famiglia o semplicemente uomo, ogni forma nella quale appaiono agli occhi degli
altri. La dimensione dell’alienazione dunque qui muta: essa si dà quando l’uomo
pone la priorità ontologica dell’altro, pensa a se stesso a partire dall’altro.
“Qualsiasi cosa se ne faccia, qualsiasi cosa vi si faccia, l’impresa diviene altro,
agisce attraverso la sua alterità ed i suoi risultati divengono altro da quello che si
1 J.P. Sartre,Cahiers pour une morale, p. 369
2 Ibid., p.50 81
3
era sperato”. I numerosi aggregati di alienazione vengono perciò presentati come
un prodotto della libertà stessa, che ad essa però finiscono per contrapporsi,
divenendo “volontà rovesciata”, controfigure della libertà. Sono tali l’oppressione
4
e la rassegnazione, ma “l’alienazione precede l’oppressione” e la giustifica.
Quando compare come istituzione, ha già un lungo passato diffuso. C’è
oppressione quando una classe o un gruppo sociale si trova in una situazione
materiale difficilmente sopportabile e non possono cambiarla a causa della libera
volontà di altri. L’oppressione è soggettivamente