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Il Fringuello, l’Aquila e la Gallina 17
Il Fringuello, un piccolo uccellino, una volta prese in prestito dei soldi dal padre
dell’Aquila. Prese in prestito quel denaro. Ora l’Aquila morì lasciando suo figlio da
solo. Ma lasciò un messaggio: “Tuo nonno prestò del denaro al padre del
Fringuello”. Dato che la sua famiglia aveva prestato del denaro, la giovane Aquila
passò molto tempo a cercare il Fringuello. Cercava e cercava; ma non lo trovava. Un
giorno andò e si sedette dove si pesa il riso. Stava seduto lì. Quando vide la Gallina
che stava lì vicino, becchettando il riso, le chiese: “Oh, Gallina.” “Sì?” “Cosa fai qui?”
“Sto mangiando”. “Sai qualcosa su dove si trovi il Fringuello? Lo sto cercando. Ha
qualcosa che era di proprietà di mio padre. Voglio che me lo restituisca... Pensi che
riuscirò a trovare il Fringuello? “Sì, puoi trovarlo.” “Bene, e in che modo?” “Quando
le persone si svegliano per andare a pesare il riso, se vai e ti nascondi, troverai il
Fringuello lì.” L’Aquila si recò là. Andò e si nascose. Il Fringuello si posò e iniziò a
controllare il terreno, cercando del cibo. L’Aquila gli piombò addosso. “Ah! Tu! Per
quanto tempo ti ho cercato. Ora siamo qui oggi. Oggi mi restituirai la proprietà che
la tua famiglia prese.” “Che cosa?” chiese il Fringuello. “Aquila?” “Sì?” “Chi ti ha
detto dove trovarmi?” “La Gallina” “La Gallina te l’ha detto?” “Sì.” “Oh! Cara! Siamo
tutti e due nei guai allora. Stavo cercando la Gallina ma non sono riuscito a
trovarla. E per tutto questo tempo in cui tu mi stavi cercando non riuscivi a
trovarmi! Perciò la Gallina è la ragione per cui mi hai trovato, per questo motivo ti
darò lei ora.” Il Fringuello, come la Gallina precedentemente, andò a raccogliere i
chicchi. L’Aquila non credeva al Fringuello. “Non hai mai visto la mia casa?” Ancora
non gli credeva. “Aquila” disse il Fringuello. “Sì?” “Vieni”. Si recarono vicino al muro
dove viveva il Fringuello. “Qui è dove si dice i miei genitori abbiano preso la gallina
come schiava. Guarda solamente dove dormono i miei pulcini. Non troverai alcuna
foglia lì, solo piume. Quando arrivarono l’Aquila andò a controllare. Vide le piume
della Gallina. Le girò e rigirò e rigirò e rigirò. Riusciva a vedere solo piume.
“D’accordo, Fringuello. Allora facciamo in modo che non ci siano divergenze tra di
noi.” “Ti darò la Gallina come schiava”. Ecco perché le galline sono prese dalle
aquile. Questa è la storia. E’ finita.
E’ evidente che le due storie abbiano il tema centrale in comune: entrambe, infatti,
danno una spiegazione eziologica del motivo per cui avvoltoi ed aquile predano le galline;
quest’ultime devono ripagare un debito passato.
Si può ipotizzare che le due favole siano differenti versioni di un archetipo unico. Il
narratore ha fatto suo il tema, declinandolo a suo modo e proponendone una “copia”
adatta al proprio pubblico. Spesso accade nelle culture orali che una trama si modifichi
in base all’area geografica in cui la si trova oppure sia differente nella stessa società ma
in momenti storici diversi. I racconti suppliscono all’esigenza della comunità di ottenere
risposte a domande ancestrali o di avere determinate regole e canoni di comportamento
da seguire. Il ruolo sociale di una tradizione è il suo significato all’interno della
comunità. Così è quasi il pubblico che si fa autore del racconto:
17 R. Finnegan, The Limba of Sierra Leone, D.Phil. thesis, University of Oxford, 1963; trad mia.
9
Un altro fattore essenziale è il pubblico, che (...) è spesso direttamente coinvolto in
nella creazione e nella messa in atto di un brano di letteratura orale.
18
Le parole costituiscono la realtà, abbiamo detto, e ciascuna popolazione ha un interesse
particolare che vuole estrapolare da essa, perciò ogni testimonianza o racconto ha un
fine e svolge una funzione .
19
Gli obbiettivi particolari di ogni racconto, testimonianza o pensiero condiviso che sia,
sono difficili da elencare: attraverso una narrazione si possono perseguire fini didattici (si
pensi alle nostre favole per bambini), religiosi (le parabole della Bibbia), politici (le
complicate trame dell’Iliade) e via scorrendo. E’ la funzione, in realtà, l’elemento chiave
delle tradizioni orali, poiché essa è costruita in seguito ad una richiesta fondamentale
che si presenta all’interno della comunità, ossia la necessità di tramandarne i valori
culturali. Ogni gruppo, infatti, si identifica attraverso alcuni elementi caratterizzanti,
che scaturiscono una differenza tra “noi” e “loro”: l’identità si crea dalla contrapposizione
di culture, perciò esse vanno preservate e tramandate ai più giovani, affinché non
scordino la loro vera provenienza. Questi valori possono anche cambiare nel tempo,
magari in seguito a qualche evento particolarmente significativo accaduto all’interno
della comunità: l’importante è che siano accettati e fatti propri dalla maggioranza dei
membri, affinché si crei una tradizione univoca e allo stesso tempo universale.
1.2. La comunità La lingua è una grande forza socializzatrice,
probabilmente la più grande che esista.
(Ruth Finnegan)
Quindi un legame forte tra individui ottenuto tramite la condivisione di storie, ideali ed
usanze è ciò che crea una comunità, e viceversa. E’ impossibile ed inutile decidere se sia
nata prima la comunità o la socializzazione: i due elementi sono inscindibili. Si può
invece discutere delle dinamiche di relazione all’interno di una comunità a tradizione
orale. I membri di tale gruppo, in genere non particolarmente numeroso, comunicano tra
di loro sempre di persona: non vi è alcuna forza mediatrice. L’interazione è diretta, faccia
a faccia. L’importanza della fisicità in un rapporto basato sulle parole, elementi
evanescenti ed inafferrabili, l’abbiamo già accennata in precedenza. Si tratta di avere un
riscontro tangibile, visibile agli occhi, di qualcosa che non lo è per natura intrinseca.
La presenza fisica consente la percezione diretta dell’altro, permettendo di alternare
parole, gesti, mimica del viso, accentuazioni della voce, vale a dire un insieme ricco
ed elastico di strumenti; le informazioni sono scambiate a grande velocità e il
discorso può essere subito adattato a seconda delle reazioni dell’interlocutore,
cercando, per esempio, con grande duttilità, possibili vie d’accordo. 20
18 R. Finnegan, Oral Literature in Africa, Open Book Publishers CIC Ltd., Cambridge 2012; trad. mia.
19 J. Vansina, op. cit.
20 A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Corso di sociologia, Il Mulino, Bologna, 1997
10
Ci soffermiamo spesso su quanto sia più fruibile, all’interno di una società, la parola
scritta rispetto a quella parlata, dal sempre citato verba volant scripta manent alle
migliaia di messaggi e simboli scritti che chiunque di noi affronta e comprende all’interno
di una giornata qualunque. Indubbiamente le vantaggiose caratteristiche della scrittura
hanno semplificato la vita di tutti, ma esse non devono in alcun modo mettere in ombra
le peculiarità della comunicazione orale. Dalle molteplici implicature che si possono
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inserire all’interno di una conversazione, grazie al tono della voce, all’utilizzo di gesti,
contorno inevitabile di un discorso in alcune culture, così la comunicazione orale
esprime tutte le proprie sfumature.
Il cantastorie usufruisce di tutte queste potenzialità e tira i fili delle narrazioni di fronte
al proprio pubblico, ossia l’intera comunità riunita. Il ruolo del gruppo di persone intente
ad ascoltare è importante ed assai complesso: infatti loro sono in prima battuta artefici
di quel background culturale entro cui il narratore e si muove e da cui attinge i propri
temi; prendiamo ad esempio due brevi storie di masche .
22
<< Raccontavano anche quella di due fratelli che erano andati a fare il carbone
lassù e c’era la carbunera di uno dei due che prendeva sempre fuoco, non riusciva a
spegnerla. Non c’è stato niente da fare. Quello lì, dicevano, andava a coricarsi sotto
il portico con una di Istiria, ma lui era sposato. Sono robe... >> 23
<< Un’altra è quella di un tipo, un ragazzo che andava a vegliare a Cauri. Sai, una
volta qualcuno andava anche nelle frazioni se c’era una ragazza che gli piaceva, ma
erano pochi, la maggior parte prendeva una di qui. Be’, questo ragazzo per un po’
ha parlato a una ragazza, poi ha cambiato idea e di è messo dietro a un’altra. Una
sera esce dalla stalla e incontra la madre della prima ragazza e gli fa: “Dove andate
a quest’ora di notte?”
“Torno a casa”.
“E non avete paura da solo?”
“Figuriamoci se ho paura”.
Appena è arrivato nel vallone si è alzata un’aria che lui non aveva mai visto,
volavano persino le pietre e fino a che non è entrato in casa il vento non ha mai
smesso di soffiare. Quella donna era una masca, solo loro fanno di quelle cose lì
>>.
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Una storia di tradimento ed una di un comportamento ambiguo, poco corretto. E’
evidente che i due protagonisti, colpiti dall’ira delle masche, portano lo stigma di una
colpa, riconosciuta come tale dalla comunità. E’ essa infatti che indica come negativi
determinati atteggiamenti, dopodiché, per fare in modo che i giovani non intraprendano
la cattiva strada come nel caso dei protagonisti, utilizzano la narrazione e la figura della
masca come deterrente.
In seconda battuta, il pubblico è fruitore passivo della narrazione: il messaggio
incastonato all’interno della storia deve essere recepito ed interiorizzato. Come in una
21 H. P. Grice, Logica e conversazione, a cura di Giorgio Moro, Il Mulino, Bologna, 1993
22 Il termine “masca” indica una donna dedita alla stregoneria nel folclore piemontese.
23 M. Aime, Il lato selvatico del tempo, Ponte alle Grazie, Milano, 2008
24 Aime, op. cit. 11
sorta di “scuola di civiltà”, i giovani, ma in generale l’intera comunità, sono i destinatari
di quel fine didattico che fa da scheletro ai racconti.
Infine, l