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CAPITOLO TERZO: CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE DAL PUNTO DI VISTA SOCIOLOGICO E GIURIDICO
In capacità di intendere è l'attitudine dell'individuo a comprendere il significato delle proprie azioni nel contesto in cui agisce; i periti e gli psichiatri forensi tendono quasi sempre a riconoscere questa idoneità tranne che nei casi di delirio, allucinazioni e, in genere, fenomeni di assoluto scompenso rispetto alla realtà.
La capacità di volere, invece, consiste nel riuscire a controllare i propri stimoli e impulsi prima e durante un'azione. Dal punto di vista della prova dell'imputabilità è un fattore molto difficile da dimostrare nel processo, motivo per il quale è spesso richiesta una perizia sullo stato mentale del soggetto.
La persona incapace di intendere e di volere non è imputabile, ossia non risponde delle conseguenze di fatti dannosi da lui commessi a meno che lo stato della sua
incapacità derivi da una sua colpa. L'art. 85 del c.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.
La minore età è considerata come causa che esclude o diminuisce l'imputabilità, in quanto è normativamente previsto che per il minore fino a 14 anni vige la presunzione assoluta di assenza di capacità d'intendere e di volere (art. 97 c.p.). Diversamente, quando il giudice si trova a valutare un minore che presenta un'età compresa tra i 14 e i 18 anni deve accertare caso per caso l'imputabilità del soggetto (art. 98 c.p.) e, per farlo, può avvalersi di professionisti interni ai servizi minorili ed esperti esterni al sistema della giustizia; è prevista però la diminuente della minore età (artt. 169, 223-227 c.p.).
Il minore non imputabile viene prosciolto, cioè non
è assoggettato a pena, ma può risultare socialmente pericoloso. In questo caso il giudice, tenendo conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il reo è vissuto, gli applica la misura di sicurezza del ricovero in riformatorio giudiziario o quella della libertà vigilata (art. 224 c.p.).
Il minore dei 18 anni, ma maggiore dei 14, che sia, invece, riconosciuto imputabile è sottoposto a processo penale per il fatto commesso.
Per questa peculiare fascia di età la capacità di intendere e volere implica, ai sensi dell'art. 98, co.1, c.p. la verifica della raggiunta maturità, ossia dell'avvenuta evoluzione intellettiva, psicologica e fisica, della capacità di comprendere certi valori etici, di distinguere il bene dal male e il lecito dall'illecito, nonché di determinarsi nella scelta dell'uno o dell'altro comportamento.
La maturità trova una sua definizione
Operativa nel modello dell'intelligenza sociale (Gulotta, Boi, 1994): sarà incapace, nel senso di immaturo, quel giovane che non abbia acquisito abilità nell'area cognitiva, emozionale, comportamentale con particolare riferimento alle sub-competenze dell'intendere e del volere.
Tale studio mostra la propria importanza soprattutto se visto alla luce del nuovo processo penale minorile, delle sue esigenze e delle sue richieste in relazione agli accertamenti della personalità del minore autore di reato.
Articolo 2046 c.c (R.D. 16 marzo 1942, n. 262).
Risulta fondamentale valutare la capacità di ragionamento ipotetico-deduttivo e l'attitudine di percepire ed interpretare correttamente la situazione e se stessi all'interno di essa.
A questo scopo è essenziale valutare diverse abilità, manifeste o latenti, del minorenne:
- Conoscenze sociali: ad esempio le regole vigenti in una data società;
- Consapevolezza su se stessi:
- Capacità di valutare correttamente le proprie risorse, avere una sufficiente stima di sé, un corretto giudizio di autoefficacia e non percepirsi invulnerabili davanti ai rischi;
- Conoscenze procedurali: ci si riferisce alle regole per la codificazione, la manipolazione, il recupero, l'alterazione e la trasformazione delle informazioni a disposizione, che ci consentono di attribuire significati e giudizi alle esperienze, di formarci impressioni e di effettuare attribuzioni causali;
- Capacità di prospettiva temporale: la persona deve tenere conto della situazione attuale in funzione dell'esperienza passata e dei possibili sviluppi futuri a breve e a lungo termine;
- Capacità di prospettiva sociale: saper valutare una situazione da diversi punti di vista, anche emozionali, non solo in modo egocentrico;
- Capacità di generare soluzioni alternative ad un dato problema;
- Capacità di prevedere e valutare correttamente le conseguenze, anche morali;
Capacità di esercitare in modo autonomo la propria scelta (di agire o di non-agire);
Capacità di pianificazione delle proprie azioni in vista di obiettivi socialmente accettabili;
Capacità di incanalare l'affettività in vista di uno scopo, contenendo gli impulsi;
Capacità di agire in modo coerente alle intenzioni iniziali ed ai piani formulati, eventualmente accorgendosi degli errori (rispetto a standard interni), autoregolando il proprio comportamento ed auto-rinforzandosi.
Sulla base del modello teorico dell'intelligenza sociale è stato dunque possibile costruire una griglia, con l'intento di fornire a giudici, avvocati ed agli operatori dell'ambito sociale uno strumento utile a selezionare all'interno delle relazioni psico-sociali (che costituiscono un testo complesso, denso di dati) le informazioni più rilevanti per l'valutazione delle risorse del minore, non solo al fine di accertarne l'imputabilità,
maanche per predisporre le più adeguate misure penali e civili, qualora si ritengano necessarie. Dalla letteratura giuridica, medico-legale e psicopedagogica si evidenzia invece che il concetto di immaturità è diverso dal vizio di mente: il minore può essere immaturo ma perfettamente sano di mente. L’imputabilità del minore, quindi, è legata al concetto di maturità evolutiva raggiunta dal soggetto, ovvero il livello di maturazione individuale sotto il profilo fisiologico, psicologico e sociale che presuppone la consapevolezza dell’antigiuridicità e del disvalore sociale dell’atto deviante e, di conseguenza, la capacità di determinare il proprio comportamento (Palomba, 2002). L’immaturità può essere intellettiva e/o affettiva. Nel primo caso si ha scarso potere di ragionamento ipotetico-deduttivo, difetto di critica e di potere di sintesi che portano a non captare in forma critica la situazione.realtà esterna e a non sapersi adattare ad essa. Vi è anche una incapacità di prevedere le conseguenze di un atto, di un sentimento, di concepire un’azione programmata a medio e lungo termine. La persona non presenta una visione prospettica che tenga conto delle situazioni attuali viste in funzione delle esperienze passate e di quelle future. Tale immaturità intellettiva può essere determinata da:- fattori biologici: quando vi sono situazioni di ritardo di maturazione neuronale o di natura metabolica;
- fattori socio-ambientali: la persona non riceve adeguate sollecitazioni ambientali e subisce carenze affettive dal punto di vista qualitativo e quantitativo;
- fattori psichici: questi sono essenzialmente conflittuali e portano ad inibizioni intellettive che bloccano il passaggio dal pensiero induttivo al pensiero logico formale dell’adulto.
occorre che lo stato di infermità sia duraturo, basta solo che esso sussista al momento della commissione del fatto. Nel caso in cui l'infermità psichica, lieve o grave, sia presente nel minore di quattordici anni, si ritiene che il requisito dell'età, a cui il legislatore collega sempre l'immaturità, abbia carattere prevalente su ogni altro dato. Più complesso appare il discorso per quanto riguarda il minore ultraquattordicenne che presenta un vizio di mente, parziale o totale. Nell'ipotesi in cui il minore sia totalmente infermo di mente, il minorenne affetto da vizio totale di mente dovrà essere assolto secondo l'ex art. 88 c.p. Il punto più controverso riguarda la concomitanza tra il vizio parziale di mente e l'età compresa fra i quattordici e i diciotto anni: secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, l'immaturità e l'infermità mentale, essendo due.
concettiontologicamente distinti, possono coesistere in un minore. Ne consegue che la ritenuta esclusione di una infermità, che possa incidere sullacapacità di intendere e di volere, non esime il giudice dall'obbligo di accertare, conqualsiasi mezzo a sua disposizione-così come prescritto dall'art. 98 c.p.- se l'imputatominore degli anni diciotto, ma maggiore degli anni quattordici, abbia tale capacità almomento del commesso reato.
Quindi, l'infermità mentale non necessariamente si riflette sulla maturità del minore ai fini del giudizio sull'imputabilità, per cui il vizio parziale di mente non esclude la responsabilità del minore.
Occorrerà, però, verificare se l'infermità mentale abbia ritardato il normale sviluppopsico-fisico del minore, impedendogli l'acquisizione di una maturità sufficiente per la capacità di intendere e di volere, oppure sia intervenuta
in una condizione di normale evoluzione psichica. Nel primo caso, il soggetto dovrà essere