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Sorbona fu estremamente rivoluzionario per l’attenzione alla dimensione tecnicistica e
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la ripresa di riflessioni che in Germania sono espresse da Gottfried Semper . Rispetto
all’approccio puramente iconografico, egli ribadisce la rilevanza della tecnica, dello
stile e dei diversi contesti storici. In seguito -appropriandosi della riflessione filosofica
di Etienne Gilson-prosegue i suoi studi sulla forma attraverso una critica decisa alle
posizioni teoriche di M le. Il valore della tecnica è al centro della speculazione dello
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studioso. Essa viene definita agglomerato di materia e spirito, inteso come riflessione
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sullo spazio .
14 Thomas Ashby, Monsieur Henri Focillon’s Works on Piranesi, The Burlington Magazine for
Connoisseurs, vol. 33, n° 188, 1918, pp. 186–190.
15 Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien , suivi de Carnets de notes de Mémoires d’Hadrien, Paris,
Gallimard, 1989
16 Emile Mâle, L’art religieux du XIIIe siècle en France. Etude sur l’iconographie du Moyen Age et sur
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ses sources d’ispiration, Parigi, 1898 ;Emile Mâle, L’art religieux de la fin du moyen ge en France,
Parigi,1908 ;
Emile Mâle, Répertoire d’art et d’archéologie, Parigi, 1910 ss. ;
Emile Mâle, L’art religieux du XIIe siècle, Armand Colin, Parigi, 1922.
Inoltre, per una distinzione tra Iconografia e Iconologia si veda:
Chiara Frugoni, Enciclopedia dell’Arte medievale, vol. VIII, Treccani, Roma, 1996, pp.282-6
17 Gottfried Semper, Der Stil in den technishen und tektonishen Künsten, oder Praktische Aesthetik: ein
Handbuch fur Techniker, Künstler und Kunstfreunde, Monaco, F. Bruckmann, 1860Da sempre considerata
il capolavoro dell’architetto tedesco, riprende la concezione –partendo da elementi scientifici- per cui
l’opera architettonica sarebbe il risultato dell’azione congiunta di mezzi fisici e spirituali.
18 Henri Focillon, L’art des sculpteurs romans, Paris, E. Leroux, 1931, pp.21-22
Già da questo momento, la definizione di “stile” di Focillon appare ben distinta dalla
“stilistica”. Quest’ultima ci riporta alla genesi dell’opera, permettendone una
riconduzione alla logica di base. Essa costituisce anche un’ intersezione di plurimi stili,
o epoche. Lo studioso definisce lo style « en somme un principe objectif, interne à la
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logique des formes » . Nella Vie des formes preciserà: « La parola stile preceduta
dall’articolo definito indica una qualità superiore dell’opera d’arte (…), una specie di
valore eterno (…). Uno stile, invece, è uno sviluppo, un insieme coerente di forme unite
da reciproca convenienza (…). ». Esso, inoltre, si affermerebbe attraverso “misure”, di
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cui fanno parte gli elementi formali e la relativa sintassi. 21
Si può desumere come, a partire dal saggio del 1929 , sia centrale la precedente
riflessione sul metodo, così da contraddistinguere l’intera produzione degli anni Trenta.
Nel precedente componimento, noto anche come “saggio rivoluzionario”, la scultura
romanica -oggetto dello studio- non rappresenta più un prodromo abbozzo dell’arte
gotica, ma è regolata da un proprio sistema di leggi. Inoltre, l’interazione tra la scultura
e il supporto viene considerata proficua per la determinazione del significato. Ciò non è
stato sempre possibile prima di questi cambi di paradigma.
Sempre legata al contesto parigino è la diffusione di concezioni divergenti sul rapporto
decorazioni plastiche-architettura. Mâle critica il maggiore interesse degli studiosi verso
gli elementi architettonici dell’edificio, a scapito della scultura. Una linea più
tradizionale di studiosi, nella quale si inserisce Robert de Laysterie, ha per molto
sostenuto il contrario. La posizione di Focillon risulta conciliare la dicotomia che
contraddistingue il mondo accademico. Egli teorizza una continuità tra la struttura
dell’edificio e la scultura, legate da un vincolo mimetico e da un rapporto di
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funzionalismo strutturale . La scultura ha la capacità di esaltare le caratteristiche
dell’edificio, assumendo ora un ruolo che non si ferma all’ epitelio dello stesso -con
l’esclusiva funzione di abbellimento che a lungo le è stata attribuita- ma che assume una
propria legittimità esistenziale.
19 Henri Focillon, L’art des sculpteurs romans, , Paris, E. Leroux, 1931, pp.21
20 Henri Focillon, La vie des formes, (Vita delle forme seguito da Elogio della mano, prefazione di E.
Castelnuovo, Torino, Einaudi, 1990- 2002 p.13)
21 Henri Focillon, <<Apôtres et jongleurs romans. Etudes de mouvement>>, Revue de l’art ancien et
moderne, n°55, 1929, pp. 13-28
22 Henri Focillon, La vie des formes, (Vita delle forme seguito da Elogio della mano, prefazione di E.
Castelnuovo, Torino, Einaudi, 1990- 2002 pp. 32-34)
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Un insieme di “convergenze e divergenze” : con quest’immagine vengono evocate le
contaminazioni culturali che contraddistinguono il periodo francese in cui Henri
Focillon si dedica agli studi sull’arte medioevale. Oltre all’impegno per una
istituzionalizzazione degli studi artistici e archeologici -che vede una concreta
realizzazione nel 1925-, egli si confronta con numerosi altri studiosi. Ciò che
contraddistingue il dibattito è una fittissima rete di rapporti. A partire dalle reazioni alla
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pubblicazione del 1931 , la ricercatrice mette in luce gli interventi di Louis Brehier,
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Jean Vallery Radot ma anche Panfosky, Berenson e Lionello Venturi .
In ambito internazionale– basti far riferimento a Kingsley Porter, Karl Shnaase,
François Deshoulières e Josep Puig i Cadafalch - le certezze positiviste mostrano i primi
segni di decaenza. Si esprimono critiche verso il concetto di “scuola regionale” e di
“evoluzione tradizionale”, delineando talvolta una crisi della minuziosa ripartizione
degli stili in corrispondenza delle frontiere geografiche. Lo studioso di Digione appare
pienamente affine a questo contesto, e ne risulta parte, talvolta espressamente citato,
talvolta silenziosamente sussunto. Molto spesso obliate quando si parla degli studi
medioevali, le quaestio -centrali nel capitolo sulla periodizzazione- hanno la capacità di
travalicare l’ambito artistico di competenza e di affermarsi quali veri e propri problemi
di metodo.
Alla fine degli anni Venti, gli studi sull’arte medioevale e le pubblicazioni permettono di
riscontrare un sistema di analogie tra Paul Deshamps, François Deshoulières, Louis
Bréhier e Henri Focillon. Quest ultimo assiste alle riflessioni dei precedenti, quali ad
esempio la periodizzazione, la relazione tra le diverse tecniche artistiche, l’attenzione
alla lettura delle forme contraddistinte da una connotazione costruttiva. Egli non è
spettatore passivo delle stesse, piuttosto le elabora -prendendone le distanze, quando
necessario- ed esse entrano a far parte di un patrimonio intellettuale culminante nel
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capolavoro del 1934 . La pluralità dei rapporti designati evidenzia un sistema di
23 Annamaria Ducci , Henri Focillon en son temps. La liberté des formes, Strasburgo, PUS, 2021, p.151
24 Henri Focillon, L’art des sculpteurs romans, Paris, E. Leroux, 1931,
25 Annamaria Ducci, Henri Focillon en son temps. La liberté des formes, Strasburgo, PUS, 2021,
pp.154-5
26 Henri Focillon, La vie des formes, Paris, C. Leroux, 1934
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sopravvivenze , che permette di ritrovare “ciò che non è completamente scomparso, e
soprattutto ciò che appare malgrado tutto (…) come <<verità innocente>> ”.
1.1 Sulla Vie des formes, fotografia di un’epoca
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Quando si parla della Vie des formes -considerata capolavoro indiscusso dello
studioso- si fa riferimento non solo a un’opera che segna in maniera significativa la
carriera di Focillon ma a un vero e proprio cardine per la riflessione metodologica del
XX° secolo. Sia nel periodo immediatamente successivo al 1934 -anno di
pubblicazione-, sia nella riflessione accademica attuale, l’opera ha da sempre
rappresentato un interessante crocevia di impulsi e riflessioni culturali. Ancora oggi
evoca un pensiero ben distante dall’esaurirsi della sua capacità espressiva.
Diversi sono i tentativi di riuscire a districare le fitte reti di rapporti che avrebbero
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contribuito alla stesura del componimento. Uno dei più recenti ricostruisce il clima
culturale degli anni Trenta parigini, segnati, nella vita dello studioso, dalla nomina alla
cattedra di Estetica alla Sorbona (1933) e successivamente presso il Collège de
France(1936) . Si prendono in considerazione sia elementi legati alle vicende personali
che aspetti caratteristici del panorama intellettuale di quel periodo. Tra i primi la
studiosa fa riferimento a un’ipotetica volontà di legittimare l’incarico affidatogli, o
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ancora a studi precedenti testimoniati dall’omonima conferenza del 1933 . Sfogliando
le pagine dell’opera non mancano, però, anche i riferimenti a studiosi a lui coevi. Di
conseguenza si individuerebbe un’atmosfera culturale animata non solo da pensatori e
storici dell’arte, ma anche da studiosi di estetica e letterati.
Focillon sembra essere consapevole del concetto di “forma significativa” -ossia dotata
di caratteristiche omologhe rispetto alle altre espressioni artistiche visuali- di Clive Bell,
teorico dell’autonomia del linguaggio visuale. Nel macrocontesto romantico, inoltre,
risulta assai frequente il parallelismo tra le arti e linguaggio. Un’opera che presenta
questo rapporto è senza dubbio La vie des mots étudée dans leur significations(1887) di
27 George Didi-Huberman, Come le lucciole, una politica delle sopravvivenze, Torino, Bollati
Boringhieri, 2006, pag. 41
28 Henri Focillon, La vie des formes, Paris, C. Leroux, 1934
29 Annamaria Ducci, Henri Focillon en son temps. La liberté des formes, Strasburgo, PUS, 2021,
pp.154-5
30 La conferenza fu pubblicata negli anni successivi su Les nouvelles littéraires (1934) e la Revue d’art
ete esthétique (1935)
Arsène Darmester. Essa sostiene l’autonomia delle forme ed è criticata da Michel Bréal,
il quale le considera segni che -divenuti forme- aspirano a significarsi e sono in grado di
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esprimere contenuti mediante disgregazioni e aggregazioni verbali . Gli incontri tra
Panofsky e lo studioso permetterebbero di supporre, inoltre, una diffusione del
“principio di disgiunzione”, riflessione iconografica che sostiene una scissione tra la
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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