Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Mannelli, Rubbettino, p. 300.
55 Ibidem., p.305. 27
metamorfosi, l'analogia, il coscienzialismo bergsoniano, il montaggio come forma linguistica
56
autonoma . Ancora una volta l'ispirazione viene dal cinema delle origini, quello dei baracconi
da fiera, che riprendeva a sua volta la struttura delle piccole forme del teatro di varietà. Questa
struttura seriale, porta Marinetti a dividere la sceneggiatura di Velocità in undici sequenze
autonome: “Passatismo e futurismo, Uno studio di giovani novatori, I ricconi dai rigattieri,
Avanti giovani!, I diritti del genio, Una città galvanizzata, Venezia futurista, Voluttà e patria,
Senilismo e gioventù futurista, La città futurista fra cento anni, L'uomo futurista fra 100 anni”
57 . Nel soggetto appaiono quattro fratelli e una cugina, l'intento è illustrativo poiché i
personaggi incarnano ciò che Marinetti intende per “futurismo”. Quindi le immagini non
hanno alcun valore narrativo, ma servano per spiegare i significati sociali, politici, etici e
artistici del futurismo inteso come rivoluzione globale. In modo allegorico, appaiono i temi
più tipici dei manifesti marinettiani: il sole e la luce come forze fecondatrice e generatrici di
futuro, i vecchi decrepiti e i mobili tarlati come simboli del passatismo, la donna castratrice
che si oppone alla virilità guerriera, la contestazione dell'antiquariato di un Italia da cartolina,
la guerra come supremo trionfo dell'istinto vitale, il rifiuto del museo inteso come simbolo
dell'odiato passatismo o come regno dei morti, infine la curiosità del movimento per le
meraviglie tecnologiche della modernità che promette il futuro. In Velocità, lo svolgersi delle
situazioni si rovescia in una sequenza. per qualche istante ritroviamo i personaggi
improvvisamente nel palco di un teatro mentre guardano sul palcoscenico “la scena
precedente” del film che appare loro “vista in lontananza e annebbiata di leggenda”, quai a
voler indicare una separazione della coscienza dal mondo. Ma è solo un attimo, la “velocità”
impone subito il ritorno al flusso inarrestabile della vita. Con questo passaggio del film,
Marinetti illustra in modo canonico la distinzione che Bergson ha formulato tra “la durata in
cui agiamo” e “la durata in cui guardiamo agire”. L'influenza bergsoniana traspare anche negli
scritti di Marinetti, ad esempio quando annota: “Il cervello concepito come organo
dell'attenzione alla vita e meccanismo inibitore delle immagini di sogno inefficaci o contrarie
alla vita quotidiana. Questa resurrezione impetuosa della totalità del passato è dovuta a un
56 A. Auteliano, op. cit., p.375.
57 Ibidem., p.310. 28 58
brusco disinteressamento per la vita, nato dalla convinzione di morire sicuramente” . Sono
parole che ribadiscono il forte interesse di Marinetti per un cinema puramente visivo e, al
tempo stesso, per l'idea bergsoniana del cinema strutturato come la coscienza umana. Il primo
a sfruttare quest'idea nel cinema, ma solo due anni dopo, è stato Abel Gance con la sequenza
della morte di Elie nel film La Roue del 1922. Infine, le sequenze finali di Velocità intendono
dare una visione avvenirista della città e dell'uomo del futuro mostrando, attraverso le
immagini sovrapposte di film documentari, le officine al lavoro, movimenti delle folle urbane,
l'attivismo frenetico di un uomo politico, gli apparecchi elettrici sperimentali come strumenti
59
del progresso umano . Concludendo, quindi, sia Vita futurista che Velocità, possono essere
definiti “film fantasma”, il primo è un film realizzato, ma sfortunatamente, andato perso e,
pertanto, divenuto un fantasma, il secondo è un film immaginario ma tuttora realizzabile.
58 M. Verdone, “Cinema e letteratura futurista”, cit., p. 70.
59 Ibidem., p. 75. 29
3. La totalità nel Dadaismo.
3.1. Serate dadaiste al Cabaret Voltaire.
Mentre in Italia si sta sviluppando il Futurismo in Svizzera a Zurigo si assiste alla nascita di
un' altro movimento d'avanguardia, si tratta del Dadaismo nato ufficialmente il 14 luglio del
1916 nella sala Zur Waag, si trattava di serate caratterizzate prevalentemente dal “nonsense”
che uniscano nel medesimo spettacolo: musica, danza, manifesti, lettura di poemi,
estemporanee di quadri e maschere secondo un rituale predisposto da Hugo Ball,
60
organizzatore del Cabaret Voltaire . Pur nascendo a Zurigo, le innovazioni dadaiste in quel
luogo si ravvisano più a livello teorico che pratico, visivamente erano di gran lunga superiori i
risultati artistici ottenuti dal trio parigino-newyorkese composta da Duchamp, Man Ray e
Picabia. Ma sicuramente nella città elvetica vi erano degli artisti importanti per il futuro
divenire del movimento Dada. Primo fra tutti Tristan Tzara, che con i suoi manifesti, appunto
opere teoriche se paragonate all'estetismo di Duchamp, descrive il progetto Dada in una
volontà dirompente di voler predicare “la morte dell'arte a favore della vita, che di certo è più
61
interessante” . Quindi parafrasando le parole dell'artista si può affermare che il Dadaismo si
distingueva sia dal Futurismo che dal Surrealismo, per la totale assenza di ideologia, il non
guardare né al passato né al futuro, Dada guardava a se stesso, irritandosi anche se veniva
bollato di modernismo, infatti i termini che più frequentemente ricorrono sono rivoluzione,
menefreghismo e nichilismo, il Dada aveva un solo programma: non avere nessun
62
programma, “I veri dada”, diceva Tzara, “sono contro Dada” . Lo stesso termine Dada non ha
nessun significato, il vocabolo nacque probabilmente imitando una di quelle parole che
richiamano al mondo dell'infanzia, un richiamo al gergo infantile che, tra l'altro, ritroviamo
anche, nei poemi di Ball. Tzara stesso, in riferimento al nome, affermerà che “Dada non
significa nulla”, affermazione senz'altro utile a delineare quale fosse il reale spirito del
60 Paolo Bertetto, Il cinema d'avanguardia, 1910-1930, Venezia, Marsilio Editori, 1983, p.43.
61 P. Bertetto, “Cinema fabbrica avanguardia”, cit., p. 74.
62 Ibidem., p. 78. 30
movimento, spirito che in più di occasione lo stesso Tzara descrive come “microbo vergine
che si insinua con l'insistenza dell'aria in tutti gli spazi che la ragione non è riuscita a colmare
63
di parole e di convenzioni” . Come abbiamo visto, le precedenti avanguardie, soprattutto il
Futurismo, vedevano nelle macchine e nelle energie in generale, delle fonti utili a costruire
un radioso avvenire. Il Dadaismo, al contrario, si nutriva di nichilismo, anche se l'interesse per
le nuove tecnologie permaneva anche in questo movimento, ma era un interesse guardato con
sospetto o con scarsa fiducia. Il Dadaismo, come farà poi in maniera diversa il Surrealismo, si
poneva più come alternativa etica alla cultura dominante, il tutto in nome di un nichilismo di
tipo assoluto e iconoclasta, l'imperativo era, dunque, un voler distruggere l'arte. Ma come
distruggere l'arte se non creando opere d'arte? L'opera d'arte dadaista era resa possibile dal
gesto, il gesto più spontaneo e provocatorio possibile. Quindi secondo i dettami del Dadaismo
l'opera d'arte era chiamata principalmente a soddisfare un' esigenza: quella di suscitare una
pubblica indignazione, in uno spietato annientamento dell'aura, ai quali coi mezzi della
produzione imponevano il marchio della riproduzione. L'opera d'arte era, così,
volontariamente mantenuta al centro di uno scandalo, e veniva scagliata contro lo spettatore
con la stessa violenza di un proiettile, assumendo una qualità tattile, favorendo così,
l'esigenza del cinema, il cui elemento diversivo è appunto di ordine tattile, si fonda cioè sui
64
mutamenti dei luoghi dell'azione e delle inquadrature, che investono lo spettatore a scatti .
Nel suo celebre saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter
Benjamin indica nei dadaisti gli anticipatori della tecnica cinematografica e individua nel
montaggio la caratteristica dell'arte d'avanguardia, che non ha più bisogno dell'unicità auratica
dell'opera d'arte, sui cambiamento del principio dell'arte e l'irrompere del dadaismo Benjamin
scrive: “La storia di ogni forma d'arte conosce periodici critici in cui questa determinata forma
mira a certi risultati, i quali potranno per forza essere ottenuti soltanto a un livello tecnico
diverso, cioè attraverso una nuova forma d'arte. Le stravaganze e le prevaricazioni che da ciò
conseguono, specie nelle cosiddette epoche di decadenza, di simili forme barbariche brulicano
ancora, recentemente, il Dadaismo. Il Dadaismo cercava di ottenere con i mezzi della pittura
63 A. Bisaccia, op. cit., p. 136.
64 R. Arnheim, op cit, p. 200. 31
(oppure della letteratura) quegli effetti che oggi il pubblico cerca nel cinema. Ogni
formulazione nuova, rivoluzionaria, è destinata a colpire al di là del suo bersaglio, il
Dadaismo lo fa nella misura in cui sacrifica i valori del mercato, essi cercavano di attingere
65
questa inutilizzabilità , mediante una radicale degradazione del loro materiale” . Come si può
notare Benjamin pone l'accento sulle diverse modalità di fruizione dell'opera d'arte
analizzando due differenti tipi d'immagini, in particolare, tra pittura e cinema, infatti, la tela su
cui si trova il dipinto pone lo spettatore nell'atto contemplativo, quest'aspetto contemplativo
non si attua di fronte l'immagine filmica che non può essere fissata, perché interrotta dal
costante mutamento. Il movimento si guardò bene dal non diventare un dogma, volontà che
non ritroviamo nel Surrealismo e in particolare in una delle figure più emblematiche del
movimento Breton, che applicò una sorta di dittatura, che costituirà forse il suo più grande
66
errore . Come si può notate non c'erano poi delle differenze così macroscopiche tra le serate
futuriste e le serate del Cabaret Voltaire, sia per la priorità della vita rispetto all'arte, sia nello
specifico per le declamazioni verbali-poetiche, ma è solo un analogia apparente. Ball, in pieno
spirito Dada, piuttosto che simulare nei suoi poemetti il dinamismo delle macchine, fa
collassare le parole, riportandole a un infanzia originaria, Dada era contro l'arte, mentre i
futuristi guardavano all'arte, sia passata che moderna.
65 W. Benjamin, op. cit., p.42.
66 Ibidem., p. 45. 32
3.2. Tutto è dada, tutto è