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Roma, Armando Editore, 2005, p. 87.
44 Malerba M., Occlusione integrata, Tricase (LE), Youcanprint Selfpublishing, 2017, p. 459. 65
La prima era l’intelligenza linguistico-verbale che connotava soggetti particolarmente
predisposti ai significati, alle inflessioni, alle funzioni e ai suoni del linguaggio. La
seconda era l’intelligenza logico-matematica tipica degli individui capaci di intuire
azioni e relazioni fra gli oggetti. La terza era l’intelligenza musicale caratteristica di
quelle persone in grado di riconoscere i modelli tonali della musica e sensibili ai suoni,
al ritmo ma soprattutto capaci di dare forma a uno schema musicale. La quarta era
l’intelligenza visivo-spaziale tipica dei soggetti abili nel comprendere, percepire e
trasformare lo spazio. La quinta era l’intelligenza corporeo-cinestesica che connotava
gli individui capaci di padroneggiare il proprio corpo e di capire come esso operi per
esprimere e comunicare sentimenti e idee. La sesta era l’intelligenza interpersonale
tipica degli individui in grado di osservare gli stati d’animo e le motivazioni dei suoi
simili, percependone la personalità e quindi, di conseguenza, anche i comportamenti. La
settima era l’intelligenza intrapersonale propria degli individui abili a comprendere il
proprio mondo interiore e quindi una più profonda conoscenza del sé e in grado anche
di autocontrollarsi nel campo dei sentimenti e delle emozioni. L’ottava intelligenza era
quella naturalistica che connota gli individui in grado di riconoscere e incasellare in
categorie specifiche i fenomeni e gli oggetti della natura, come pietre, piante, esseri
viventi, condizioni del tempo e così via. In parole povere naturalisti e biologi. La nona e
ultima intelligenza era quella esistenziale in grado di garantire, a chi la possiede, la
capacità di effettuare profonde riflessioni sulle questioni fondamentali della vita.
45
L’intelligenza, ad esempio, del Dalai lama o dei grandi filosofi .
Nella teoria di Gardner sull’intelligenza corporeo-cinestesica il movimento diventa
fondamentale se viene inserito in un percorso pedagogico ben strutturato, in quanto il
corpo e i suoi movimenti consentono al soggetto di imparare competenze sempre più
specializzate come ad esempio la danza, la pratica di uno strumento, ma anche, ad
esempio, l’arte di saper navigare. Oltre ad espressioni pratiche, il movimento può anche
favorire la scoperta individuale del sé e delle proprie aspirazioni personali, oltreché dei
il corpo sia l’intelligenza
sentimenti. Ne consegue quindi che sia corporeo-cinestesica
46
siano attraversati e interconnessi con gli altri tipi di intelligenza teorizzati da Gardner .
45 Casolo F., Melica S., Il corpo che parla. Comunicazione ed espressività nel movimento umano, Milano,
Vita e Pensiero, 2005, pp. 55-56.
Persona e movimento. Per una pedagogia dell’incarnazione,
46 Naccari A. G. A, Roma, Armando editore,
2006, pp. 247-248. 66
Il corpo stesso diventa, oltreché motore di percezione sensoriale e fisica, anche un
motore cognitivo che, andando contro i riferimenti culturali tipicamente occidentali che
vedono disgiunti capacità di ragionamento e manifestazioni fisiche, grazie alla capacità
di muoversi, toccare e manipolare, è in grado di interagire con lo spazio e l’ambiente
che lo circonda e, di conseguenza di apprendere comportamenti complessi e potenziare
47
le proprie abilità .
Sul concetto del corpo in movimento e sulle sue interazioni con l’ambiente circostante
c’è da segnalare anche l’opera di Rudolf Laban.
Laban (1879-1958) fu un danzatore ungherese conosciuto per aver teorizzato un sistema
di notazione del movimento, il Laban Movement Analysis. Egli, infatti, aveva
abbracciato la concezione fenomenologica del corpo come soggetto di conoscenza, e
lo strumento principale con cui l’individuo fa
aveva scorto in particolare nel movimento
48
esperienza della realtà .
Nel suo metodo, Laban individuava il movimento come fattore pregnante per una
notevole quanto eterogenea serie di discipline. Ad esempio certi metodi di terapia ma
anche l’antropologia, l’industria, l’architettura, il teatro e, ovviamente, la danza. Per
quanto riguarda gli effetti terapeutici del movimento, Laban accordava a quest’ultimo il
potere di essere funzionale al percorso terapico ma anche, contemporaneamente, molto
espressivo. Secondo questa teoria quando il soggetto, in parole povere, compiva un
gesto attraverso un movimento, allo stesso tempo esprimeva anche qualcosa di se
stesso. Laban e i suoi seguaci si concentravano quindi su questi movimenti per riuscire a
percepire stati emotivi e fisici dei soggetti interessati e come gli stessi interagissero con
lo spazio e l’ambiente circostante. Le interazioni venivano quindi incasellate in modelli
ritmici complessi osservandone sincronicità e integrazione. Queste caratteristiche
davano modo ai terapeuti che aderivano alla sua scuola sia di pensiero che terapeutica,
di interagire ritmicamente con i soggetti stessi, sincronizzarsi con loro ed entrando in
Oltre la pelle. Il confine tra corpi e tecnologie negli spazi delle nuove “mobilità”,
47 Pirani B. M.,
Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 90-91.
L’erranza pedagogica di Rudolf
48 Zagatti F., Laban nei sentieri del corpo, Danza e ricerca. Laboratorio
di studi, scritture, visioni, 1(1/2), 2011, p. 3. 67
risonanza con essi in modo da favorirne i processi di integrazione e aiutarli a guarire da
49
disagi psico-fisici .
Chiaramente, secondo Laban, che era un danzatore, l’attività più rappresentativa del
movimento andava ricercata nella danza, quale disciplina estetica in grado di esprimere
L’artista aveva
la propria dimensione identitaria. individuato nel danzatore un impulso
interiore, chiamato effort, che lo spingeva a ricercare e rappresentare un determinato
movimento o una precisa gestualità.
Il comportamento motorio che ne derivava era reso oggettivabile e quindi descrivibile
attraverso quattro parametri, ciascuno polarizzato in due fattori opposti: lo spazio
(space), il tempo (time), il flusso (flow) e il peso (weight).
– Grafico dell’effort 50
Figura 3.9 di Rudolf Laban
Laban riteneva che la chiave di lettura di un enunciato motorio dovesse essere ricercata
all’interno della relazione con l’altro, secondo un processo di immedesimazione,
51
definito “entropatia” .
Laban fu abile e geniale nel liberare la danza da quelle sovrastrutture che l’avevano resa
dipendente da vari fattori, in primis dalla musica ma anche dalla partitura, dai passi
stereotipati, dal libretto delle opere, dalle coreografie rigide e compassate. Flusso del
49 Capra F., Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Milano, Feltrinelli Editore, 2005, p.
268.
50 © Raphaël Cottin - La Poétique Des Signes.
L’erranza pedagogica di Rudolf
51 Zagatti F., Laban nei sentieri del corpo, Danza e ricerca. Laboratorio
di studi, scritture, visioni, op. cit., pp. 5-6. 68
movimento, peso, tempo e spazio diventavano gli elementi costitutivi della nuova danza
52
libera di cui aveva gettato le basi .
“Caratteristica fondamentale del metodo di analisi di Laban è di essere basato su di un
approccio pratico-esperienziale, oltre che teorico: il movimento per essere compreso
nelle sue leggi profonde, deve essere, prima che visto dall’esterno, trovato e sentito nel
corpo. [Un] passaggio davvero rivoluzionario, attualissimo e ricco di conseguenze per
ogni studio ulteriore del comportamento umano che voglia affrontare il paradosso della
53
soggettività nella ricerca scientifica” .
Danza, corpo, movimento... ma anche relazione sia con se stessi che con gli altri.
Questo è il significato anche della danza conosciuta come Contact Improvisation.
In questa particolare danza due soggetti attuano una particolare serie di movimenti che
privilegiano il contatto fisico proprio per entrare in relazione e in simbiosi reciproca.
Questi movimenti possono andare dal semplice toccarsi o appoggiarsi l’uno all’altro a
movimenti più complessi come rotolarsi addosso, tirarsi, spingersi, lanciarsi e afferrarsi.
di vista coreutico, l’importante in questa danza che si basa
Dal punto
sull’improvvisazione, è che i soggetti compiano gesti fisici (che possono essere delicati
e protettivi ma anche aggressivi e violenti) molto fluidi in modo che uno possa seguire i
54
entrandovi in relazione in modo libero e ampio
movimenti dell’altro .
Il ballerino e coreografo americano Steve Paxton, riconosciuto come il padre fondatore
dichiarò nel corso di un’intervista che: “La
della Contact Improvisation, contact
improvisation è non sessista e non estetica, o meglio an-estetica. Lo scopo è dare al
corpo una chance, essere sfidato, challenged, dalla situazione del movimento. Da una
55
parte c’è il lasciar fare, dall’altra la determinazione. È un paradosso” .
Il fine pedagogico della Contact Improvisation è la valorizzazione delle potenzialità ma
anche il potenziamento delle abilità dei soggetti che la praticano, dove questi ultimi
52 Escobar T., Piccioli Weatherhogg A., La danza/movimento terapia: origini storiche e postulati teorici,
in Cavallo M., (a cura di), Artiterapie. Tra clinica e ricerca, Roma, Gaia/Edizioni Universitarie Romane,
2007, p. 121.
53 Escobar T., Piccioli Weatherhogg A., La danza/movimento terapia: origini storiche e postulati teorici,
in Cavallo M., (a cura di), Artiterapie. Tra clinica e ricerca, op. cit., pp. 121-122.
54 Smith Autard J. M., La Dance Composition, Roma, Gremese Editore, 2001, pp. 110-111.
55 Sebaste B., Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei, Milano, Feltrinelli Editore, 1997, p.
64. 69
ricoprono, contemporaneamente, i ruoli di insegnante, di studente, di coreografo e di
spettatore senza alcuna gerarchia, ma solo nello spirito di favorire la relazione
interindividuale, le interazioni tra i danzatori e lo scambio reciproco di intenzioni.
Un’intenzione, ad esempio, è offrire il proprio peso o il proprio tocco all’altro danzatore
che è libero di accettarlo o meno. Ne consegue che se si assume come postulato che
ogni corpo è unico, la relazione che si instaura tra i due ballerini genera, ogni volta, una
danza completamente diversa dalle altre che è anche, nello stesso tempo, unica nel suo
56
genere .
Motterle L., L’esperienza dell’altro nella Contact Improvisation: un percorso fenomenologico
56
dall’avere all’essere, Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni, [S.l.], set. 2009. ISSN 2036-
1599, pp. 73-74. 70
L’esperienza musicale come ricerca del “