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PARTE II: DONNE CHE SUBISCONO LA POLITICA

1. Le disuguaglianze socialmente strutturate

3

Secondo un rapporto OCSE del 2008 , l’Italia è uno dei Paesi sviluppati in cui la

disuguaglianza economica è più elevata e in cui l’origine familiare, soprattutto per

quanto riguarda reddito e ricchezza, conta di più per determinare le chance di vita

individuale di una persona.

Il problema centrale della democrazia italiana sono appunto le disuguaglianze

socialmente strutturate, ovvero tutte quelle disuguaglianze insite nelle condizioni di

partenza di ogni singolo individuo, nella sua storia e nelle sue risorse, sia quelle

destinate a sviluppare le proprie capacità, ma anche quelle che fanno si che le

capacità vengano riconosciute.

Esistono due tipi di disuguaglianze sociali: la prima implica il problema di accesso

alle risorse; mentre la seconda riguarda il potere di influire o meno sulle condizioni

di vita proprie e altrui, e di ottenerne un riconoscimento.

Quando queste disuguaglianze si cristallizzano fino al punto in cui impediscono ai

singoli individui o ai gruppi di sviluppare progetti di vita, allora ci troviamo di

fronte ad una democrazia bloccata e ad una gerarchizzazione delle possibilità di

cittadinanza, con cittadini di serie A e cittadini di serie B.

E’ in questo contesto che possiamo osservare il paradosso della famiglia che deve

salvare se stessa: i giovani del nostro Paese sono tra i meno protetti di tutta la

Comunità europea se si guarda al sistema di welfare, pertanto la famiglia non solo

viene proposta come la loro unica “rete di sicurezza”, ma anche come un obiettivo a

cui aspirare al più presto, nonostante il fatto che le politiche sociali a suo favore

sono tra le meno generose d’Europa.

In un Paese in cui la famiglia viene proposta come soluzione definitiva per ogni

problema sociale ed economico a cui lo Stato non riesce a porre rimedio, in che

modo la figura della donna può emergere in un contesto professionale e politico,

oltre a quello familiare?

3 OECD (2008), “Growing Unequal? Income Distribution and poverty in OECD Countries”, Rapporto

Ocse, Parigi. 14

2. La donna e il mondo del lavoro da un punto di vista politico

Metà delle donne italiane in età lavorativa risulta essere inattiva, ciò significa che

metà delle donne in età da lavoro non sono economicamente indipendenti e che

quindi probabilmente dipendono dai mariti e dal loro matrimonio. Tale situazione è

inaccettabile e dovrebbe rappresentare una priorità nel panorama politico, un

problema rilevante a cui trovare presto una soluzione, tuttavia l’approccio del

welfare è diametralmente opposto: infatti, le donne inattive contribuiscono a ridurre

il tasso di disoccupazione (almeno apparentemente), e se le donne non lavorano

risultano essere a disposizione della famiglia a tempo indeterminato, pertanto non

c’è alcun bisogno di promuovere servizi per l’infanzia.

In questo tipo di società, una donna con dei figli come può lavorare?

Per rispondere a questa domanda, nel Dicembre del 2009 è stato pubblicato un

documento redatto dall’ex ministro delle pari opportunità, Mara Carfagna e dall’ex

4

ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, intitolato: Italia 2020. Programma di azioni

per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Tale documento propone i

nonni come una risorsa illimitata per le famiglie; essi mettendo a disposizione il loro

tempo da dedicare alla cura dei nipoti, i loro beni e la loro pensione,

contribuirebbero attivamente al sostentamento e alla sopravvivenza del nucleo

familiare, permettendo tra le altre cose il reinserimento della donna nel mondo del

lavoro. Questa soluzione è stata presentata come un patto intergenerazionale da

promuovere, ma in realtà non è altro che un maldestro tentativo di mascherare la

mancanza di vere alternative.

L’Italia è uno dei Paesi europei con la più bassa occupazione femminile, tuttavia

negli anni precedenti la crisi finanziaria si era potuto registrare un notevole aumento

della partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne coniugate con figli.

Questo fenomeno indica che le aspettative e i modelli di comportamento femminili

sono cambiati, sia per quanto riguarda l’organizzazione della vita quotidiana e i

nuovi ritmi del tempo, sia per quanto riguarda la necessità di rivedere le modalità di

divisione del lavoro tra uomini e donne, e tra famiglia e lavoro. Non è quindi

compito dello stato far fronte alle nuove esigenze dei membri della sua società?

4 Carfagna M., Sacconi M. (2009), “Italia 2020. Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel

mercato del lavoro”, Roma 15

Teoricamente si, ma a livello pratico avere dei figli in Italia continua ad essere un

handicap per le donne. Una lavoratrice che sceglie la maternità, per un’azienda

rappresenta un problema e per mettersi a riparo da questa “scomoda” situazione

vengono escogitati tutta una serie di stratagemmi: per esempio non assumendo

donne, oppure dislocandole in posizioni marginali (non facendo fare loro carriera);

esistono anche metodi più radicali, come il mobbing oppure obbligando le donne a

firmare delle lettere di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, che le

aziende faranno valere nel caso di una gravidanza.

Maternità e lavoro remunerato nel nostro Paese continuano ad essere percepiti come

incompatibili, tuttavia è una realtà in molti Paesi offrire congedi genitoriali più

lunghi e meglio retribuiti, anche per i padri.

Il rapporto tra donna e lavoro è cambiato, oggigiorno il guadagno delle italiane è

diventato indispensabile al bilancio familiare, ma questo cambiamento nei

comportamenti femminili invece di portare ad una conseguente modifica nel

mercato e nella società, è rimasto intrappolato in un policy making (ovvero quel

principio di precauzione che si basa sul non dar spazio alle innovazioni fino a che

non si è sicuri dell’assenza di pericolosità). Eppure gli esempi positivi non mancano:

come l’introduzione dei nidi aziendali; o la promozione di politiche di

accompagnamento al rientro dopo il congedo di maternità o genitorialità; oppure

l’introduzione di misure di flessibilizzazione del tempo di lavoro, come la

flessibilità oraria e le banche ore.

In definitiva, si tratta di modificare la situazione aumentando i gradi di libertà per le

donne e favorendo modelli di genere meno rigidi.

Anche per quanto riguarda le cure alle persone non autosufficienti, la maggior parte

dei Paesi europei non si affida più esclusivamente alla disponibilità delle famiglie,

come invece accade ancora in Italia.

Sottolinea Chiara Saraceno: “Non ci perdono solo le donne, ma la società nel suo

complesso. Perché non valorizza appieno le risorse di intelligenza e competenza

della metà della popolazione, nonostante oggi le giovani donne siano mediamente

più istruite dei coetanei maschi, sprecando quindi gran parte dell’investimento fatto

per la loro formazione... – ...Ci perdono le aziende, che si costringono a valorizzare

solo una parte delle risorse umane disponibili, sprecando opportunità e investimenti

16

in nome di stime non solo miopi, ma sbagliate, sui costi. Anche per questo quella

italiana è una società bloccata, che fa fatica a innovare e innovarsi” (C. Saraceno,

2012 – pag. 29-30).

Un altro argomento in cui la disuguaglianza tra uomo e donna viene sottolineata, è il

problema della pensioni: la Corte europea ha sentenziato che un’età della pensione

più bassa penalizza le donne, in quanto non verrebbe permesso loro di recuperare

almeno parzialmente il gap contributivo con i colleghi maschi; tuttavia limitarsi ad

equiparare le età alla pensione di donne e uomini, senza modificare contestualmente

le condizioni che sono all’origine del gap contributivo, è inutile.

Le donne lavoratrici che vivono in coppia e hanno dei figli, lavorano mediamente

due ore in meno al giorno per il mercato del lavoro rispetto agli uomini, tuttavia se

si calcola anche la cura dei figli e il lavoro domestico svolto dalle donne, anche per

permettere al marito di dedicare più tempo al mercato del lavoro (retribuito), la

giornata lavorativa media della donna è più lunga di un’ora e quaranta minuti.

A questo punto risulta evidente che nonostante le donne lavorino di più, esse

guadagnano comunque meno degli uomini e accumulano una ricchezza

pensionistica inferiore. Oltre a questi fattori, dobbiamo anche tener conto del

congedo genitoriale che oltre ad essere retribuito in maniera quasi simbolica (30%

dello stipendio, solo per i primi sei mesi e solo se preso entro i tre anni di vita del

bambino), da luogo a contributi figurativi ridotti, riscattabili o integrabili solo con

5

versamenti volontari .

Ancor meno riconosciuto è il lavoro di cura prestato per persone non autosufficienti.

Alla luce di questi fatti occorre chiedersi se l’attuale sistema di pensionamento

basato esclusivamente sul genere abbia senso, o se invece fosse più corretto ed

intelligente tenere conto anche di quel lavoro svolto al di fuori del mercato, quello

non retribuito, quello che comprende la routine domestica, la cura dei figli e delle

persone non autosufficienti (ad esempio gli anziani), sia per le donne che per gli

uomini.

5 Il congedo genitoriale, oltre ad essere scarsamente retribuito, da luogo a contributi figurativi ridotti,

riscattabili o integrabili con versamenti volontari, per un massimo di sei mesi e solo per le lavoratrici

dipendenti che abbiano almeno cinque anni di storia contributiva. Si tenga presente che nel caso di

contributi figurativi per il periodo del servizio militare (o civile alternativo a quello militare) basta aver

avuto anche un solo contributo nel periodo precedente al servizio.

17

3. Il monopolio maschile

La differenza di sesso nel corso della storia si è trasformata in disuguaglianza

sociale a sfavore delle donne, e la sua persistenza è dovuta sia a resistenze culturali

ma anche ad atti monopolistici da parte degli uomini.

La disuguaglianza ha finito con l’esprimersi in termini asimmetrici: da un lato il

corpo femminile viene intesto come un limite sociale, mentre dall’altro esso

rappresenta una risorsa che deve essere controllata dagli uomini. Ciò significa che,

da un lato, ogni volta che i rapporti di potere tra uomini sono stati ridefiniti, i diritti

delle donne subivano un restringimento e una cristallizzazione della propria

differenza. In poche parole, esse venivano penalizzate per il semplice fatto di essere

donne, e questo era un motivo sufficiente per non permettere loro

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
34 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher A.Beretti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia delle differenze di genere e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Zatti Alberto.