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CASO DI STUDIO: IL DISTRETTO BIOMEDICALE DI MIRANDOLA
Introduzione
La scelta di un caso di studio da analizzare per concludere questo elaborato è ricaduta
sul distretto operante nel settore biomedicale sorto a partire dagli anni Sessanta sul
territorio del comune di Mirandola e in alcuni comuni ad esso limitrofi, in virtù del
duplice aspetto che lo rende un unicum nella storia del modello distrettuale italiano; in
primo luogo è opportuno osservare come a differenza degli altri distretti individuati e
–
presi in analisi dalla letteratura specializzatisi prevalentemente nel cosiddetto made in
Italy (Becattini, 1998), ossia nella produzione di beni per la persona e per la casa, oppure
–
operanti nel settore della meccanica il distretto biomedicale di Mirandola si inserisce
appunto nel settore biomedico, costituito prevalentemente in tutto il mondo da imprese
multinazionali e concentrato in Italia nei poli tecnologici di Milano, Padova e Bologna
(Moroni, 2017).
L’altro elemento caratterizzante del distretto biomedicale di Mirandola consiste nella
presenza nel tessuto produttivo distrettuale di imprese di gruppi multinazionali a capitale
estero sin dalle prime fasi del processo evolutivo della realtà in esame, specie se si
l’apporto
considera come economico-innovativo di tali enti e la quota di occupazione
tutt’altro
ad essi relativa risultino che marginali rispetto a quelli delle piccole e medie
imprese tradizionalmente costituenti la rete distrettuale; è da sottolineare inoltre come
l’ingresso delle imprese multinazionali del distretto se, da un lato, ha fatto da tramite
potessero affacciarsi ai mercati esteri, dall’altro non è riuscito
affinché le imprese locali –
ad incidere più di tanto sul processo di innovazione e quindi sul modello di
–
apprendimento adottato dalle imprese suddette, che hanno continuato a perseguire
invece una strategia duale di ambidestrismo, decidendo quindi di perseguire lo
sfruttamento delle conoscenze pregresse nate da processi interni affiancandogli
l’esplorazione di nuove conoscenze mediante l’interfacciamento con soggetti terzi
estranei al distretto, rivolgendosi in particolare ad ospedali internazionali interessati
all’avanguardia di prodotto in ambito biomedicale di modo da poter meglio intercettare
i bisogni espressi dai consumatori finali, ovvero il personale medico e i pazienti
bisognosi di cure.
Sviluppo storico e architettura distrettuale
E' impossibile trattare dell’evoluzione storica di ciò che diverrà poi noto, in ambito
accademico, come distretto biomedicale di Mirandola senza trattare del contributo
fondativo apportato allo sviluppo del tessuto produttivo in esame dal farmacista nonché
futuro imprenditore Mario Veronesi: la data alla quale è possibile attribuire l’inizio dello
sviluppo del distretto mirandolese è il 1962, anno in cui il sopra citato Veronesi
concretizza un’intuizione legata alla domanda da parte degli ospedali locali di conduttori
monouso per le terapie endovenose e fonda la prima di una serie di imprese nate in virtù
del suo estro, la Miraset; la neonata azienda, che inizialmente conta appena tre
dipendenti (oltre all’apporto dello stesso Veronesi) e che di fatto si occupa unicamente
dell’assemblaggio del prodotto finale a partire da componenti esogene, raggiunge in
–
appena due anni grazie alla completa sostituzione da parte del nuovo prodotto del
– un volume d’affari tale da costringere Veronesi
vecchio standard dei tubicini durevoli
ed il suo socio ad aumentare considerevolmente la scala di produzione, internalizzare
gran parte delle lavorazioni parziali e raggiungere quota trenta dipendenti, facendo
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giungere infine la Sterilplast ad un volume di produzione pari a 5000 unità giornaliere
(Moroni, 2017).
Un ulteriore stimolo venne dato dalla richiesta personale fatta dal nefrologo Piero
produzione di “un
Confortini del Giustinianeo di Padova a Veronesi stesso in merito alla
circuito che avrebbe dovuto connettere mediante circolazione extracorporea il paziente
ad un rene artificiale” (Veronesi, 2001); la soddisfazione di tale richiesta portò Veronesi
ad avvicinarsi alle controversie circa lo sviluppo di un rene artificiale completo: fu così
– sotto l’egida della nuova Dasco, fondata
che nel 1966 Veronesi avviò la produzione
sempre assieme all’altro socio della Miraset – di quello che giungerà alla storia come il
primo rene artificiale interamente prodotto in Italia; il rene artificiale di Veronesi,
sviluppato effettuando alcune modifiche ad un modello americano non avente brevetto,
fu il primo rene artificiale ad essere prodotto in Europa in grado di competere a livello
Nuova ragione sociale della Miraset a partire dal 1964
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di prezzo con le produzioni nordamericane ed ebbe successo immediato non solo presso
gli ospedali italiani ma addirittura presso i pazienti stessi per la terapia domiciliare.
Il concorrere di una marcata dilazione dei pagamenti da parte della sanità italiana
cliente di Dasco in termini di incassi) e dell’incapacità per l’impresa di
(principale
fronteggiare la competizione americana, dovuta alle insufficienti risorse allocate al
dipartimento di ricerca e sviluppo, condurrà l’impresa in una situazione di crisi
finanziaria che porta Veronesi a vendere nel 1970 la Dasco a Sandoz, multinazionale
svizzera operante nell’industria farmaceutica che da tempo ambiva di entrare nel settore
biomedicale, specie quello italiano (Moroni, 2017); la rilevazione di Dasco comporta
una serie di cambiamenti strutturali: estromissione del personale del reparto R&S,
riduzione dell’organico, esternalizzazione di alcune attività della catena di valore come
tipografia e lavorazioni meccaniche nonché incentivo per parte dei dipendenti a mettersi
in proprio lavorando come subfornitori a buon prezzo per l’impresa madre.
La ristrutturazione dell’organigramma aziendale e il conseguente mutamento
nell’equilibro politico all’interno dell’impresa portano una serie di soci, tra cui lo stesso
Veronesi, a separarsi dalla nuova gestione: nel 1972 viene fondata da Veronesi e dagli
altri otto soci fuoriuscenti la Bellco; Bellco, oltre ad integrare la gamma di prodotto in
ambito di emodialisi con ulteriori prodotti innovativi (vedesi ad esempio un preparatore
di soluzioni per la dialisi con circuito monouso), decide di decentrare gran parte delle
fasi di produzione dei propri prodotti, dando quindi un importante incentivo alla
formazione di un nuovo lotto di piccole imprese specializzate nella produzione di
determinate componenti (Moroni, 2017), dando quindi il via alla formazione di quel
tessuto produttivo specializzato e composto da una moltitudine di piccoli attori
indipendenti che caratterizza la realtà distrettuale.
Un’ulteriore blocco dei pagamenti da parte delle aziende sanitarie pubbliche porta in
–
crisi anche la Bellco, che verrà quindi successivamente rilevata prima con quota di
–
maggioranza relativa, poi integralmente dal gruppo Anic-Eni; la cessione della Bellco
comporta lo scioglimento del nucleo societario attorno a Veronesi: parte dei soci
raggiungono Veronesi nella Dideco, sotto la quale Veronesi decide di spostarsi
gradualmente dal settore dell’emodialisi al cardiovascolare – divenendo il primo in Italia
a produrre ossigenatori per la cardiochirurgia e macchinari per la separazione delle
– in virtù delle cosiddette “convergenze
componenti ematiche (Moroni, 2017)
tecnologiche” (Rosenberg, 1987) tra i due macrogruppi di prodotti, ossia la condivisione
tra prodotti finali di alcune delle fasi superiori della catena di produzione, che comporta
necessariamente un impiego di medesime abilità, tecniche ed attrezzature che rende
semplice la riconversione e che correla le innovazioni introdotte con quelle dei settori
tecnologicamente convergenti; i soci distaccatisi invece dalla collaborazione con
sviluppato durante l’esperienza maturata in quanto soci
Veronesi, forti del know-how
e/o dirigenti dei vari esperimenti imprenditoriali di Veronesi, diventano a loro volta
imprenditori a capo di imprese producenti beni propri che, nell’arco di un breve periodo
e con dinamiche del tutto analoghe a quelle già riscontrate, vengono rilevate da gruppi
multinazionali: è il caso ad esempio della Miramed, fondata da Bellini nel 1976 (in
seguito alla sua fuoriuscita dalla Bellco per divergenze in merito alla cessione ad Eni)
come azienda specializzata in accessori per la trasfusione che viene successivamente
ceduta alla Baxter nel 1984.
Se finora si è trattato quasi esclusivamente delle aziende cardine, raccolte in modo più
o meno diretto attorno alla figura di Veronesi, del distretto biomedicale, è necessario un
doveroso excursus sulla rete di subfornitura che integra il sistema di valore nel suo
complesso; è importante distinguere, in virtù delle differenti dinamiche di evoluzione
che caratterizzano i due processi di formazione, il sistema di subfornitura del comparto
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dei disposables da quello delle apparecchiature elettromedicali.
Per quanto riguarda la produzione dei disposables la tendenza riscontratasi è quella di
un progressivo aumento del livello di integrazione verticale da parte degli assemblatori
del prodotto finale; il processo di integrazione comincia già a partire dal periodo di
– sotto il controllo dell’assetto
attività della Dasco di Veronesi: in un primo periodo
– si opta per l’integrazione a monte dello stampaggio e della
societario originario
granulazione e si costruisce una prima forma di rete di subfornitura inducendo alcuni
ex-caporeparto che abbiano maturato una certa esperienza al fianco di Veronesi in una
Disposables = Già citati conduttori monouso per le terapie endovenose che hanno comportato l’ingresso di
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Veronesi nel settore biomedicale
determinata fase della lavorazione del prodotto finale a fondare piccole aziende di
subfornitura, che si interfaccino unicamente con l’azienda madre; successivamente al
subentrare della Sandoz viene incentivato tout-court il mettersi in proprio come
subfornitori di alcuni dei dipendenti della casa madre: si distingue in particolare tra
subfornitori legati alla lavorazione delle materie plastiche e subfornitori che forniscono
manodopera per l’assemblaggio del prodotto; si osserva infine un ultimo trend che
culmina verso la fine degli anni Novanta che consiste in un grado di integrazione
verticale direttamente correlato alla dimensione delle aziende coinvolte: è da
sottolineare in particolare il caso delle facenti capo a gruppi multinazionali, che
internalizzano gran parte del ciclo produttivo esternali