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XXV. Il dialogo tra loro sarà quasi il medesimo, forse a sottolineare la
ciclicità temporale e la ripetizione infinita delle stesse azioni.
32 Ivi, p. 29.
33 DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari, Milano, Mondadori, 2016 («Oscar moderni», 6),
p. 3.
34 MARCELLO CARLINO, Come leggere Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, cit., p. 27. 22
Una volta giunto, il protagonista si sente pervadere dalla solitudine e
dalla volontà di tornare indietro. La Fortezza risulta inospitale, ma allo
stesso tempo ipnotica nella sua fissità, spezzata solo dal cammino delle
sentinelle lungo le mura, con il fucile in spalla. La desolazione si avverte
anche all’interno, con «i muri nudi ed umidi, il silenzio, lo squallore delle
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luci». Drogo, indovinando senza saperlo il suo destino, ha come
l’impressione di star rinunciando a tutta la sua giovinezza e ai migliori dei
suoi anni. Egli spera di essere trasferito al più presto e lo comunica a quello
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che può essere considerato il «primo antagonista dissimulato», il maggiore
Matti. Nel corso dell’opera si presentano diversi personaggi che pur non
avendo la vera e propria funzione di antagonisti, si rivelano ambigui e
inducono Drogo a compiere scelte pessime per il suo futuro. Il maggiore
Matti, ad esempio, lo convince a rimanere per almeno quattro mesi prima di
chiedere il trasferimento.
Il primo impatto di Drogo con il deserto che si profila all’orizzonte è
quasi fiabesco: egli crede di averlo già visto in sogno, di sentirlo familiare.
Comincia ad apprendere il rigido sistema di regole a cui i soldati
devono sottostare nella Fortezza, i gesti meccanici, le parole d’ordine. A
questo punto della storia, Drogo è ancora capace di ragionare in maniera
avvertendo l’inutilità dell’attesa del nemico e l’assurda rigidità degli
critica,
ordini superiori. Il sergente maggiore Tronk è colui che incarna la severità
delle disposizioni militari, nella totale assenza di flessibilità.
Drogo apprende che l’attesa dei Tartari ha logorato tutti coloro che
vivono nella Fortezza, ma egli si sente immune da tale condizione, poiché
confida ancora nell’idea di partire e lasciare per sempre quel luogo. C’è chi
riesce nell’impresa, come il tenente Lagorio, e chi invece si ostina a restare,
come il tenente Angustina, e per quanto Drogo sia intenzionato a seguire i
passi del primo, egli rimane improvvisamente ammaliato dalle rassicuranti
abitudini della vita militare, dalle «solitarie torri, muraglioni a sghembo
coronati da neve, aerei spalti e fortini, che non aveva mai prima
35 DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari, cit., p. 18.
36 MARCELLO CARLINO, Come leggere Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, cit., p. 27. 23
37
notato». Rimane per altri quattro anni prima di tornare a casa in licenza,
lasciandosi trascinare gradualmente nell’attesa malata che ammorba tutti gli
altri personaggi.
Due episodi, nell’arco di quegli anni, riscuotono i soldati dal torpore
che li affligge e li illudono del tanto atteso arrivo del nemico. Il primo è
l’apparizione di un cavallo che arriva da nord, e che,erroneamente, si pensa
appartenere ai Tartari. Il soldato Lazzari, uscito furtivamente per recuperare
il cavallo, non conosce la parola d’ordine che gli consentirebbe di rientrare.
Nella totale mancanza di empatia e di giudizio critico, eseguendo in maniera
meccanica i gelidi e disumani ordini del sergente Tronk, la sentinella gli
prima volta dall’inizio del romanzo, il lettore avverte in
spara. Per la
maniera più concreta le fatali conseguenze del malsano sistema che regola la
vita nella Fortezza.
Il secondo episodio mostra l’arrivo di un manipolo di soldati da
settentrione, che si rivelano non essere i Tartari ma militari provenienti dalle
regioni limitrofe, intenti a tracciare le linee di confine.
L’illusione ricorda ai soldati i motivi per cui vale la pena trascorrere la
propria vita nell’attesa del nemico: la gloria eterna, l’adrenalina generata
dalla battaglia, il profondo valore di un nobile scopo. Allo stesso modo,
però, il concretizzarsi di questo arrivo terrorizza: le rassicuranti abitudini
della vita militare, infatti, sono difficili da abbandonare, e l’eventualità di un
cambiamento e di un possibile scontro spaventa.
Durante il periodo di licenza, Drogo torna a casa e con dolore scopre
che non vi è più alcun legame tra lui e chi è rimasto in città. La madre, gli
amici e la fidanzata Maria sono distanti, appartengono ad un mondo di cui
lui non fa più parte. La Fortezza si prospetta come un rifugio in cui tornare e
la speranza dell’arrivo dei Tartari si rinnova in lui. È come se fosse l’unico
appiglio per dare senso ai suoi giorni, ora che non c’è più nessuno per cui
valga la pena tornare indietro.
Assorbito nuovamente dai ritmi della vita militare, Drogo si lega al
compagno Simeoni, e insieme osservano strani movimenti nella parte
37 DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari, cit., p. 57. 24
settentrionale della pianura. L’autore compie un salto temporale di quindici
anni per poter raccontare l’avvenuta costruzione di una strada che permetta
alle popolazioni del Nord di raggiungere la Fortezza, confermando le ipotesi
dei due compagni.
Nello stesso capitolo (il XXV) Drogo ritorna dalla città dopo un solo
mese di licenza, poiché «la casa è quasi ogni volta deserta, la stanza della
mamma è vuota per sempre […], nelle sale non ci sono più segni di vita
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familiare». Il protagonista comincia ad avvertire la fuga del tempo, i segni
della stanchezza.
Passano trent’anni dall’arrivo di Drogo alla Fortezza Bastiani: egli è
ormai diventato maggiore, ha visto molti colleghi morire, altri congedarsi.
anni e una malattia al fegato, tanto che «s’innesta
Egli ha cinquantaquattro
un’attesa supplementare, la speranza della guarigione. Ma Drogo non
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avverte nessun miglioramento». Simeoni, responsabile del presidio di cui
lui è vicecomandante, lo esorta ad andarsene, ma senza successo. Rimane
nel proprio letto, consapevole che il suo tempo si sta esaurendo, ma restio ad
abbandonare il luogo a cui ormai appartiene.
Improvvisamente, nel capitolo XXVII, viene comunicato il tanto
atteso arrivo dei nemici. I Tartari avanzano minacciosamente, e Drogo li
osserva con il cannocchiale dalle mura. Simeoni gli ordina di lasciare la
Fortezza, ed egli deve a malincuore obbedire, mentre la frustrazione e
l’amarezza prendono il sopravvento.
Nell’anonima stanza di una locanda, Drogo cerca il riscatto che non
gli è stato concesso. Si illude che la propria morte sia eroica, divorato dalla
malattia, in solitudine. Per la prima volta sente infondersi il coraggio, pronto
ad affrontare l’ultima sfida. Il bisogno crescente di dare un senso a tutto
nasce dal terrore di morire con la consapevolezza di aver sprecato la propria
vita. Nella morte riesce a raggiungere la sensazione di libertà che gli è
sempre stata negata, «dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una
38 Ivi, p. 172.
39 MARCELLO CARLINO, Come leggere Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, cit., p. 48. 25
l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché
brevissima occhiata, per 40
nessuno lo veda, sorride».
40 DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari, cit., p. 202. 26
2. Drogo e l’inutile attesa dei Tartari
All’inetto anti-eroe del Deserto dei Tartari, Giovanni Drogo, corrispondono
gran parte delle caratteristiche dei personaggi buzzatiani già tracciate in
precedenza. Egli incarna alla perfezione un tipo umano delineato dall’autore
in molte delle sue opere: l’uomo che attende invano l’arrivo di qualcosa che
potrebbe dare senso alla sua vita, eternamente insoddisfatto e frustrato,
impegnato nella ripetizione di azioni inutili.
Egli, al pari di Bàrnabo, protagonista del primo romanzo di Buzzati, è
in attesa di personaggi reali, con i quali potrebbe interagire. Non si tratta,
dunque, solo dell’attesa di situazioni o avvenimenti, ma di persone in carne
ed ossa che potrebbero influenzare l’andamento della storia. Nello specifico,
i Tartari, «una popolazione nomade dell’Asia Centrale, […] che evocano un
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popolo sconosciuto di potenziali nemici, minacciosi, misteriosi e crudeli».
Drogo non li incontrerà mai, eppure la sua esistenza sarà
completamente segnata da tutto ciò che i leggendari nemici rappresentano. Il
loro arrivo non è certo, è completamente circondato da un alone di mistero.
Nessuno sa quando attaccheranno, né quanti siano, né che aspetto abbiano.
Eppure, dal loro arrivo dipende tutto il senso del romanzo.
Quando Drogo arriva alla Fortezza Bastiani per la prima volta è
ancora capace di ragionare criticamente. Subisce il fascino della vita
militare, degli ordini superiori che ne regolano i ritmi, ma avverte un forte
senso di disagio e di rigetto che gli fanno desiderare fin da subito un
allontanamento.
Nel corso della narrazione lascia la Fortezza due volte per recarsi in
città, ma in entrambi i casi si tratta di periodi molto brevi che si concludono
con il suo ritorno. Nell’impossibilità di essere trasferito altrove, rimane
vincolato alla Fortezza Bastiani, non senza un senso di sollievo. Essa,
infatti, inizia a profilarsi come luogo sicuro verso il quale fare ritorno,
perdendo a poco a poco quell’aura di ostilità che le era appartenuta all’inizio
41 FRANCESCO DE NICOLA, LUCA TRABUCCO, op. cit., p. 21. 27
del racconto. Nell’istante in cui Drogo vede spezzarsi il legame con la sua
della madre e dell’allontanamento della
vita passata, a causa della morte
fidanzata e degli amici, nell’assenza di quel calore umano che potrebbe
dargli un valido motivo per voler tornare alla casa materna, egli trova
conforto nelle abitudini della vita militare. I ritmi serrati e le inflessibili
regole, che non lasciano spazio alle iniziative del singolo individuo, sono
rassicuranti, tranquillizzanti, poiché scandiscono le giornate in maniera
sempre uguale. Nessun personaggio sente il peso della responsabilità
individuale o prende decisioni per se stesso, ma è inserito in un sistema che
vede come unico scopo il funzionamento della Fortezza.
L’opera si snoda attraverso le piccole vicende quotidiane, senza
particolari novità o stravolgimenti nell’attività dei soldati. Pagina dopo
pagina si avverte un senso di ripetizione ed inutilità, che Buzzati rende
evidente proprio grazie all’ambientazione del romanzo e di cui parla