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CAPITOLO II
Il Mutuum e la Datio Mutui
nell’esperienza giuridica
romana
28
1. Il prestito d’uso
La condizione di povertà della vita dei residenti sull'isola Tiberina e nelle
zone circostanti nel primo secolo e mezzo dalla sua formazione, insieme
alle loro principali attività economiche e alla loro tendenza a mantenere
l'antica abitudine all'autosufficienza familiare o di gruppo, facevano sì che
il prestito fosse estremamente raro. Questo valeva sia quando si trattava di
prestare strumenti di lavoro, animali o oggetti domestici temporaneamente
necessari a un amico o vicino, sia quando si dovevano concedere beni che
sarebbero stati consumati (come animali da allevamento, prodotti
alimentari o metalli), con l'obbligo di restituire oggetti simili.
Il prestito d'uso, anche se in seguito divenne più comune a causa
dell'aumento dei beni disponibili e dell'intensificarsi delle relazioni sociali
tra un numero crescente di persone, rimase al di fuori del campo di
50
interesse del sistema legale per molti secoli.
Inizialmente, questo tipo di prestito si presentava come un atto di
generosità, una concessione grata di una cosa su richiesta dell'acquirente.
Solo alla fine dell'età repubblicana, quando la pratica delle concessioni
gratuite si affievolì e venne affiancata dalla pratica di prestiti con termini
limitati ma non revocabili (chiamati "commodata"), il pretore introdusse
un'azione legale chiamata "actio commodati in factum" per il concedente
in precario. In caso di mancata restituzione della cosa, il concedente, in
50 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, Napoli ,1989 , 25
29
quanto proprietario della stessa, avrebbe dovuto dimostrare questa
51
mancanza, a meno che la cosa non fosse stata distrutta o altro .
In tal caso, avrebbe potuto cercare di recuperare il valore della cosa
attraverso un'azione di restituzione. Tuttavia, chi era prudente avrebbe
potuto richiedere la restituzione mediante un accordo scritto (stipulatio), il
che avrebbe reso più facile ottenere il valore della cosa in caso di
controversia legale.
In ogni caso, il prestatore prudente non era incline a prestare a chiunque.
Per cui per molto tempo, il prestito d'uso si basava principalmente sulla
fiducia reciproca e sulle pressioni socio-economiche che spingevano chi
aveva preso in prestito a restituire la cosa o a sostituirla, nel caso in cui
fosse andata persa o danneggiata, al fine di evitare discredito e isolamento
52
sociale.
Quando venne introdotta un’actio (bonoraria) per il comodante, furono
sviluppati schemi giuridici per rendere questa operazione socialmente
riconosciuta senza doverla classificare come un accordo giuridico formale.
Questi schemi, come l'obbligazione contrattuale, sembrarono più adatti al
contesto.
Concedere valore giuridico all'accordo presupporrebbe un riconoscimento
più ampio e significativo degli effetti legali del consenso di quanto sia
attestato nelle fonti tardo-repubblicane, inoltre, avrebbe comportato
51 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 26
52 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 27 30
l'obbligo di concedere il prestito se l'accordo non fosse stato realizzato
attraverso una concessione fisica.
Tuttavia, ai fini della protezione del creditore, bastava che il pretore
basasse l'azione legale sulla concessione gratuita di una cosa senza
richiedere un motivo legale, il che rendeva il possesso della cosa precario
53
dal punto di vista legale.
1.2 Il prestito di consumo
Il prestito di consumo già a partire dal VI secolo a.C. era una pratica
diffusa, inizialmente, potrebbe essere stata la solidarietà tra le famiglie ad
aver portato alla richiesta di prestiti di piccoli animali , e non è escluso che
la restituzione fosse solitamente effettuata con una parte dei prodotti (ad
esempio, l'aumento del gregge o una quantità specifica di grano ottenuta
dalla semina, e simili).
Questo tipo di transazione divenne più comune quando, durante l'epoca di
"Grande Roma" dei Tarquini, iniziò a svilupparsi un embrione di economia
mercantile in cui circolava la moneta. Questo cambiamento coincise anche
con l'introduzione di nuovi elementi nella società romana, che portarono a
54
disuguaglianze economiche crescenti.
Fu in questo contesto che aumentarono le esigenze di accumulo di
ricchezza che alimentarono la pratica dei prestiti.
53 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 28
54 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 29 31
Da un lato, c'era una disposizione a mettere a disposizione degli altri, con
la prospettiva di un guadagno futuro. Dall'altro lato, c'era una crescente
richiesta di tali beni consumabili ma sostituibili all'atto della restituzione,
poiché erano necessari per coltivare nuove terre, per avviare attività
commerciali al di fuori di Roma o, più spesso, semplicemente per il
sostentamento, nella speranza che la restituzione in natura fosse possibile,
anche se spesso risultava problematica.
Le operazioni di prestito di consumo non sempre avevano rilevanza legale
55
e, quando l'avevano, spesso dipendevano da negozi giuridici quiritari .
In un primo momento, nel mondo romano, erano riconosciute solo come
oggetti giuridici res pretiosiores o, beni immobili, non consumabili e non
fungibili ("praedia tam urbana quam rustica", cioè edifici e terreni).
Nonostante questo, è improbabile che oggetti come buoi, cavalli, asini,
muli o schiavi fossero concessi in prestito in questo contesto, poiché non
erano comuni o adatti a essere considerati oggetti di mutuo.
Quando, in epoche successive, il diritto romano iniziò a considerare altre
proprietà, la tradizione di tali beni trasferiva il dominio all'acquirente.
Tuttavia, il tradente non poteva più reclamare un'azione in rem , e l'obbligo
di restituzione, anche se esplicitamente concordato, sarebbe stato un patto
privo di forza giuridica obbligatoria, cioè privo di un'azione in personam,
poiché il pactum (accordo) di restituzione dell'equivalente non era ancora
56
considerato un pactum adiectum (accordo accessorio).
55 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 30
56 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 32 32
1.3 La Fides
L'antica pratica romana della “fides”, che coinvolgeva la concessione di
beni a un amico con una promessa informale di restituzione, aveva un
potere vincolante.
Chiunque avesse infranto la fides avrebbe affrontato sanzioni religiose e
sociali, mettendo a rischio le sue relazioni future nella comunità.
Tuttavia, dal punto di vista legale, il creditore non aveva alcun diritto
giuridico. Con il cambiare delle condizioni sociali e dell'equilibrio di
potere tra i patrizi, l'importanza dell'amicizia come base per i prestiti si è
attenuata, sebbene non sia scomparsa del tutto.
La mancata restituzione dei beni, chiamata “rupta fides”, non aveva più lo
stesso impatto legale e sociale e non scatenava più le stesse reazioni
57
negative da parte degli altri membri della comunità.
Per garantire la validità giuridica delle operazioni di prestito, venivano
utilizzati il “nexum” e la “stipulatio” a seconda del rapporto sociale tra il
creditore e il debitore, della situazione finanziaria del debitore e della sua
capacità di ripagare il creditore attraverso il proprio lavoro semiservile.
Nel caso del “nexum”, il debitore (o un suo parente o amico) si
sottometteva al creditore, diventando un suo “mancipium” o “nexus”, cioè
veniva vincolato materialmente al creditore. Il rilascio da questo legame,
chiamato “nexi liberatio” o “solutio obligati”, poteva avvenire attraverso
la manomissione da parte di parenti o amici (o dallo stesso debitore che si
garantiva) o mediante il riconoscimento del debito attraverso il lavoro
57 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 33 33
58
prestato dal nexus. La “stipulatio” consentiva di includere anche gli
interessi nell'obbligazione contratta verbalmente, spesso sotto forma di
beni o servizi.
Era possibile che un parente o un amico del debitore stipulasse il contratto
per conto suo, e inizialmente (come sponsio) poteva essere sottoscritto da
un terzo come garante. L' ”actio ex stipulatu” era un'azione legale di facile
attuazione. Inoltre, se la presenza di una “stipulatio” non poteva
direttamente sostenere un'azione legale per “manus iniectio”, questa
azione veniva concessa dopo che l' “actio ex stipulatu” avesse portato a
una confessione o a una condanna in tribunale. Di conseguenza, il debitore
che aveva cercato di evitare di diventare un nexus finiva comunque per
59
diventare un servo del creditore, in una condizione ancora più precaria.
È importante notare che la dura esecuzione contro i debitori morosi
prevista dalle Leggi delle XII Tavole poteva essere applicata, a meno che
non intervenisse un “vindex” (un garante) o non ci fosse la possibilità di
60
difendersi secondo la Lex Vallia .
Questa esecuzione si traduceva nell'aggiudicazione dell'obbligatus
all'attore dell' “legis actio per manus iniectionem”, che aveva il potere di
58 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 34
59 Cfr. V.GIUFFRE’, La datio mutui, 36
60 Gai Institutiones, IV, 25 : Sed postea lege Vallia, excepto iudicato et eo, pro quo
depensum est, ceteris omnibus, cum quibus per manus iniectionem agebatur,
permissum est sibi manum depellere et pro se agere. itaque iudicatus et is, pro quo
depensum est, etiam post hanc legem uindicem dare debebant et, nisi darent, domum
ducebantur. istaque, quamdiu legis actiones in usu erant, semper ita obseruabantur;
unde nostris temporibus is, cum quo iudicati depensiue agitur, iudicatum solui
satisdare cogitur. 34
tenere il debitore in catene per sessanta giorni (portandolo a tre mercati
consecutivi per cercare di riscattarlo) e, alla fine, di venderlo come schiavo
al di là del Tevere o di condannarlo a morte. 61
Nell'interpretazione di questa norma, Sesto Cecilio Africano nel II
secolo d.C. collegava questa severità alla protezione del prestito, che era
considerato un sostegno per le temporanee difficoltà finanziarie necessario
nella vita quotidiana e che sarebbe scomparso se non fosse stato punito
62
severamente il comportamento scorretto dei debitori.
Quando si sviluppò la fiducia tra il creditore e il debitore (già nell'epoca
delle Leggi delle XII Tavole), i creditori di mutuatari benestanti iniziarono
a utilizzare un diverso tipo di accord