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3.1 UNA STORIA DIETRO LE SPALLE: ALCUNI CENNI STORICI SULLE
COMUNITA’ PER MINORI
Le comunità per minori nascono in concomitanza con i profondi cambiamenti nelle politiche e
nel sistema di sicurezza sociale, iniziati in Italia tra la fine degli anni ‟60 e gli inizi degli anni
‟70, che segnano la fine dell‟assistenzialismo e avviano la ricerca di nuove modalità di
intervento in ambito sociale.
27
Secondo Valerio Ducci i principali fattori di cambiamento sono:
- la programmazione economica e sociale elaborata negli anni settanta, che sostiene una
concezione dei servizi come cardine dei compiti dello Stato in campo sociale;
sull‟adozione speciale (1967);
- la discussione
- la contestazione delle istituzioni totali;
l‟avvento delle Regioni a statuto ordinario e la conseguente riforma delle politiche sociali
- (in particolare la riforma sanitaria);
l‟opera di alcuni magistrati minorili (Gian Paolo
- Meucci, Giorgio Battistacci e Alfredo
Carlo Moro) che hanno sviluppato, non solo nel loro lavoro, ma anche sul piano del
dibattito culturale e politico, un approccio che valorizza i diritti e le esigenze più profonde
dei giovani.
27 Il lavoro educativo, seminario per educatori svolto presso la Scuola di Formazione del personale per i minorenni di Grazia e
Giustizia, Roma, giugno 1995. 45
Il cambiamento è avvenuto con un processo non lineare, fatto di decelerazioni e
rallentamenti, articolato, anche sulla spinta delle autonomie regionali, in situazioni
estremamente differenziate da una zona all‟altra del paese.
“macchia di leopardo” sul territorio
Le comunità per minori, infatti, si sono sviluppate a
nazionale, con rilevanti differenze da regione a regione e soprattutto tra Centro-Nord e Sud.
In ambito legislativo, il primo riferimento esplicito alle comunità, pur senza fornire una
sull‟adozione e
definizione esaustiva, compare nella legge 4 Maggio 1983, n.184,
l‟affidamento. Questa legge presenta molte perplessità a riguardo. Seguendo un ordine
cronologico, si ritorna a parlare di “strutture residenziali per minori” nella Legge 19 Luglio
1991, n.216, che si concentra, però, sul ruolo di prevenzione e recupero dei devianti, mentre è
, “Disposizioni
solamente attraverso la Legge 28 agosto 1997, n. 285, per la promozione di
diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, che viene descritta in maniera più
esplicita la funzione delle comunità per minori, pur senza arrivare ancora a una chiara
definizione. 28
Con la legge 28 Agosto 1997, n.285 , si ripropongono le comunità come strumento per il
superamento del ricorso all‟istituto, ma mancano, anche in questo caso, elementi che
contribuiscano a determinare le caratteristiche di una comunità, e si crea il paradosso che, nel
riconoscono la funzione e l‟utilità delle comunità, non ci sono dei
momento in cui tutti
parametri per definirne le caratteristiche e le specificità.
Sarà, infatti, solamente attraverso la “conferenza del 13 novembre del 1997 che
Stato-Regioni”
si avrà una prima distinzione fra
“comunità educativa” e “comunità familiare”.
I riferimenti legislativi in ambito regionale sono invece molto più consistenti. Quasi tutte le
regioni, infatti, hanno legiferato su questa materia indicando requisiti specifici in ordine alla
struttura e al funzionamento delle comunità.
28 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l‟infanzia e l‟adolescenza”, Legge 28 Agosto 1997,n.285,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1997 46
L‟evoluzione dell‟iter normativo, intanto, definisce non solo il quadro di azione per questo tipo
di strutture, ma lo arricchisce con importanti svolte dal lato delle politiche verso i minori e dal
con l‟importante , n. 328, “Legge quadro
29
lato del sistema dei servizi, Legge 8 novembre 2000
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
Quest‟ultimo riferimento normativo spinge anche le strutture residenziali per minori a
confrontarsi con il sistema dei servizi sociali del territorio e, quindi, a prendere consapevolezza
del necessario lavoro di rete, che in queste strutture ha a che fare con la collaborazione con i
differenti servizi e professionalità coinvolti nel processo di allontanamento del minore, in
un‟ottica di “servizio fra servizi” 30 .
È però solamente attraverso la Legge 28 marzo 2001, n.149 (Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184), che trovano piena attuazione l‟istituto dell‟affidamento e la chiusura degli istituti
per minori, in favore di una piena realizzazione delle iniziative di affidamento eterofamiliare
ovvero in comunità. Quest‟ultima deve essere “caratterizzata da organizzazione e da rapporti
interpersonali analoghi a quelli di una famiglia” (articolo 2).
Un criterio di ambiguità, per quel che riguarda le comunità per minori, continua a rimanere.
Quello, cioè, dell‟estrema eterogeneità data dalla competenza regolamentativa situata dal
legislatore a livello locale, regionale e comunale.
Negli anni sessanta e settanta il calo dei minori in istituto è fortissimo, principalmente nelle
regioni del Nord della penisola. In questi anni, come si è detto, nascono le prime esperienze tra
cui ricordiamo: le “comunità a Torino e i “gruppi in Emilia. Gli anni
alloggio” appartamento”
vedono, su queste iniziative, l‟intervento delle amministrazioni locali che sperimentano
settanta
la gestione diretta di comunità per minori, contrapposto all‟iniziativa del volontariato religioso e
laico che trova, nella dimensione comunitaria, significati sociali e politici che vanno al di là
degli aspetti educativi.
29 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", Legge 8 novembre 2000, n. 328.
(Pubblicata nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale 13 novembre 2000, n. 265)
30 (Ricci, Spataro, 2006) 47
Negli anni ottanta si riduce lo scarto fra le comunità gestite da enti pubblici e comunità gestite
dal volontariato. Molti gruppi nati come esperienze di volontariato nell‟ambito della spinta del
movimento “anti-istituzionalizzazione” si trasformano in cooperative, si danno una struttura
organizzativa stabile e professionalizzano i propri interventi. L‟ente pubblico tende a ritirarsi e
ad affidare al privato sociale spazi sempre più rilevanti nella gestione diretta dei servizi.
Superato il periodo più caratterizzato da approcci ideologici si apre l‟attuale fase della
contrattazione fra pubblico e privato, fatta di gare, appalti, regolamenti.
3.2 TIPOLOGIE DI SERVIZI RESIDENZIALI PER MINORI
La terminologia adottata per definire le strutture di accoglienza per minori non aiuta a fare
chiarezza sul fenomeno. Se a nomi diversi corrispondono realtà simili, a nomi uguali possono
corrispondere realtà differenziate. d‟aiuto le diverse formulazioni
La legislazione nazionale non definisce tipologie, né ci sono
“le case famiglia”, ”le comunità di tipo familiare”, “le
delle legislazioni regionali ove troviamo
comunità a dimensione familiare”, “i gruppi appartamento”, “le comunità alloggio”, “i gruppi
famiglia”, “le comunità per minori”. Ognuna di queste definizioni ha una sua storia e una
connotazione geografica, il che non esclude che altrove dietro lo stesso nome ci sia una realtà
sostanzialmente diversa.
Le comunità residenziali per minori sono strutture di accoglienza che sostituiscono, di norma
temporaneamente, la famiglia nella prospettiva di un rientro nella stessa oppure, se ciò non è
possibile, di altre collocazioni (affidamento, adozione) o dell‟autonomia. A queste strutture si
non sia possibile o opportuno l‟affidamento a un nucleo familiare o a una
ricorre qualora
persona. Sono, quindi, servizi che offrono accoglienza sia per soddisfare i bisogni materiali che
per aiutare ad affrontare i compiti evolutivi e di sviluppo, ad acquisire competenze cognitive,
relazionali, di abilità sociale, di gestione delle incombenze quotidiane, a elaborare progetti per il
futuro. Risulta dunque centrale la presenza di figure adulte con funzioni educative in grado di:
- saper sviluppare relazioni interpersonali significative a livello educativo e affettivo con
approcci integrati di ascolto e di normatività;
attivare le risorse dell‟ambiente, formali e informali, per favorire l‟autonomia del minore e i
- processi di socializzazione/inserimento;
individuale all‟interno dello sviluppo del gruppo degli ospiti della
- promuovere la crescita
struttura. 48
Per quanto riguarda i “requisiti gli stessi possono articolarsi in “requisiti
generali”, strutturali”
e “requisiti gestionali”.
Per i primi si ritiene che le strutture debbano possedere i requisiti previsti per gli alloggi di
civile abitazione, secondo gli standard e i criteri di assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica previsti dalla normativa statale e regionale, fatti salvi specifici
accorgimenti per situazioni particolari (ad es. comunità per neonati). Devono essere ubicate in
luoghi dove i servizi siano accessibili con facilità e sia presente un tessuto sociale. Possono
essere all‟interno di una struttura che ospita altre comunità (non più di tre).
Per quanto riguarda, invece, i requisiti gestionali, si ritiene che, oltre agli standard minimi di
funzionamento relativi a ciascuna tipologia di comunità, si debbano prevedere i seguenti
requisiti:
- autorizzazione al funzionamento
tutti i giorni per l‟intero anno
- apertura 24 ore al giorno,
- presenza di un regolamento interno di gestione coerente con la normativa vigente, che
contenga: progettualità generale dell‟ente gestore; modalità di ammissione e dimissione
degli ospiti; prestazioni, servizi, attività forniti; tipo, numero, professionalità del personale;
tipologia di utenza e numero massimo; organizzazione del lavoro con particolare
riferimento ai turni, ai compiti del responsabile, all‟eventuale articolazione dei compiti degli
operatori, alle modalità del lavoro in équipe; voci in base alle quali si compone la
definizione della retta;
- presenza di progetti educativi generali e individuali con esplicitazione di obiettivi, finalità,
bisogni ai quali si intende rispondere, strumenti e metodologie, valutazione. Tali progetti
devono considerare con particolare attenzione, dove possibile, il rapporto con la famiglia di
origine e i processi di valorizzazione e recupero delle competenze genitoriali, il rapporto
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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