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Anche per questo motivo si ode ciò che potremmo definire il canto della Gualtieri.
Il canto rimanda a una “modalità di esistenza estetica” che non inerisce soltanto a ciò
che si definisce comunemente poesia, ma, nel caso della nostra autrice, anche e
soprattutto al teatro.
Il “noi” sottinteso nella dinamica del testo drammatico e di quello spettacolare
si riferisce alla nostra cultura, di cui il personaggio Caino, che risorge sulla pagina per
rivelarsi poi, in carne e ossa sulla scena, rappresenta una delle possibili origini. Pertanto,
oltre alla dimensione tecnica nella quale il canto o la poesia orale si inscrivono, dalle
parole di Zumthor emerge una dimensione di carattere antropologico che può essere
facilmente riscontrata in Caino e alla quale allude Cesare Ronconi, quando parla della
sua poetica: «Il richiamo a un’epoca preistorica si lega a un senso forte di attualità;
indica l’esigenza di saltare d’un balzo il discorso drammatico classico, che il teatro di
stampo tradizionale impone. È il tentativo di rendere un gesto preistorico
contemporaneo» (Dellagiovanna, Un perfetto salto mortale, in op. cit., p. 59)
Sul piano squisitamente drammaturgico, Caino è inserito in un gioco sociale
complesso, i cui fulcri, la colpa e il destino, ruotano attorno al conflitto che si innesca
con la figura di Dio, di cui il protagonista del dramma è, allo stesso tempo, figlio e
traditore. Sul piano del senso, i risvolti antropologici si incentrano sulla dimensione che
lega l’umano al sacro, e sul piano estetico traggono origine dalla relazione tra Caino-
personaggio e la divinità, con riferimento all’ordine del discorso cui abbiamo accennato,
cioè quello che si determina a partire dall’opposizione del sacro contro il profano.
Un’altra delle nozioni introdotta da Zumthor è quella di variazione contestuale,
che si riferisce ai diversi tipi di contesto nei quali si sviluppa la poesia orale. L’autore
spiega che le variazioni contestuali sono di tre tipi. I primi due sono definiti in rapporto
a un contesto esplicitamente fornito da una tradizione o dalla scrittura e fanno
riferimento al contesto linguistico (nel caso in cui si parli di prosa o di verso) o
melodico (è il caso del parlato o del cantato) e al contesto gestuale che designa
soprattutto la danza.
In Caino, il contesto linguistico non è definibile se non come poetico.
Innanzitutto, lo scheletro della messinscena è costituito da brani di testo che, anche solo
per il loro aspetto, si distanziano dal concetto di battuta. Il lettore si trova di fronte a una
90
porzione di testo che, anche se destinata a essere declamata dal personaggio cui
corrisponde, sembra fungere da corollario alle azioni sceniche. Pur avendo la
consapevolezza di leggere un testo che si rifà alla tradizione del teatro di parola,
quest’ultima appare quasi come una didascalia che accompagni il personaggio, il quale
agisce in un punto preciso del dramma. Tutto ciò induce ad affermare ulteriormente che
il testo è proiettato in direzione della scena, dalla quale non può prescindere e ritrova in
essa la spiegazione della sua struttura anomala con la conseguenza che il contesto
gestuale descritto da Zumthor è fondamentale nell’opera della Gualtieri.
In Caino è presente anche l’ultimo tipo di variazione proposta da Zumthor,
ovvero quella che si definisce in base a un contesto implicito che, da un lato, è quello
dell’intenzionalità dell’autrice (l’intenzionalità finalizzata a una resa espressiva della
“materia” scenica costituita dagli attori e dalle loro specifiche attitudini) e, dall’altro,
dalla scena in quanto tale, ovvero da ciò che costituisce la dimensione evemenenziale
dello spettacolo, che si disambigua solo durante lo spazio-tempo della messinscena.
Ci sembra, inoltre, che in Caino sia riscontrabile lo “stile formulaico”, il quale è
definito da Zumthor nel modo seguente:
Piuttosto che come un tipo di organizzazione, lo stile formulaico può essere descritto come
una strategia discorsiva e intertestuale: esso incastra nel discorso, a mano a mano che si
svolge, e vi incorpora funzionalizzandoli, dei frammenti ritmici e linguistici mutuati da altri
enunciati preesistenti, appartenenti di norma allo stesso genere, e che rimandano
l’ascoltatore a un universo semantico che gli è famigliare (Zumthor, 2004, p. 140).
L’universo semantico al quale Caino fa riferimento è quello biblico e di esso
rispetta la cronologia. Anche nel testo sacro, come abbiamo già avuto modo di notare,
Caino non accetta l’atteggiamento di Dio nei suoi confronti e uccide il fratello Abele,
motivo per il quale viene cacciato dall’Eden ed è destinato a errare per il mondo.
Caino si stratifica, in ogni caso, sulla base di formule di chiara derivazione orale
e fa ricorso a una struttura ritmica che scandisce il tempo della scena sulla base di quello
delle prove e non solo su un piano metaforico. Ricordiamo, infatti, che il ritmo
dell’opera è scandito anche dall’uso di strumenti a percussione, da un coro formato da
attori giovani che compiono gesti atletici e ritmati, e da numerosi ritornelli e brani
vocali che risaltano per la loro potente musicalità. Inoltre, nel testo drammatico e,
ovviamente, sulla scena, il rapporto conflittuale di Caino con Dio e con Abele crea una
serie di associazioni che rimandano a un ulteriore senso, sotterraneo eppure potente,
91
connotativo della condizione dell’uomo che ha colpa e che si pente quando ormai sta
per compiersi il suo destino.
Zumthor parte dall’assunto teorico in base al quale solo l’utilizzo del testo
consente di dare realtà alla retorica che lo costituisce e che solo la sua attualizzazione
vocale lo giustifica. Ciò vale per la totalità della poesia orale e risalta anche quando si
prende in considerazione un testo drammatico, che rivela nel contesto della visione e
dello sviluppo scenico che preannuncia i suoi principali fattori costitutivi. Dal momento
che implica un particolare tipo di conoscenza, esso non è comprensibile o analizzabile
se non dal punto di vista di una fenomenologia della ricezione, la quale è chiaramente
applicabile anche al teatro inteso come spettacolo o, volendo ampliare la prospettiva di
analisi, come performance.
4.9 La performance secondo Victor Turner 50 è inteso come
Nella prospettiva di Zumthor il concetto di performance
sinonimo di esecuzione. L’autore afferma che la performance è definita
tradizionalmente come un evento sociale creatore non riducibile alle sue componenti e
in cui vengono messe in luce proprietà particolari (interpretabilità, descrivibilità e
iterabilità, che emergono durante l’esecuzione, benché non tutte e tre
contemporaneamente). Alla proposta sulla performance di Zumthor può essere associata
anche quella - a nostro avviso più interessante - di Victor Turner, antropologo inglese
secondo il quale i drammi sociali si intrecciano con i vari generi di performance.
In Antropologia della performance, il termine dramma (secondo l’etimologia
greca, indicativo di un “fatto” o un “atto” usati soprattutto in relazione all’arte teatrale)
assume un significato universale, poiché si riferisce a qualsiasi atto sociale pregnante, a
un’azione o a un gesto che definisce un movimento o un’accelerazione. Nello specifico,
il dramma sociale costituisce « […] lo spiraglio limitato di trasparenza in una superficie
altrimenti opaca di vita normale, senza eventi significativi» (Turner, 2009, p.155). Il
concetto di performance, invece, include rito, teatro, romanzo, dramma popolare, mostre
50 Dal momento che è entrato a far parte del linguaggio comune, abbiamo deciso di non tradurre il
termine performance. Ci limitiamo a esplicitare che esso è inglese e che la sua derivazione è dal verbo to
che in italiano può alludere a vari significati: operare, compiere, eseguire, agire, rappresentare
perform
o recitare. 92
d’arte, balletto, danza moderna, letture poetiche, cinema e televisione, perché, come
suggerisce Richard Schechner nella Prefazione al testo, «[…] la performance è l’arte in
quanto aperta, infinita, decentrata, liminale. La performance è un paradigma del
processo» (Schechner, in op. cit., p. 56).
51
Il liminale cui accenna Schechner è un altro dei tratti connotativi dei generi
dominanti della performance e rappresenta una dimensione altra rispetto alla vita
quotidiana poiché la performance si realizza sempre in spazi e tempi privilegiati, distinti
dai periodi dedicati alle attività quotidiane tradizionali. Turner afferma che, per questo
motivo, ci si potrebbe riferire alla performance anche definendola sacra, purché si
riconosca che quelli della performance sono momenti in cui, oltre alla solennità e alla
52
dimensione spazio-temporale altra, si concretizzano il gioco e la sperimentazione .
Dal momento che i drammi sociali si intrecciano con i vari generi di
performance, la prospettiva di Turner può essere inclusa in una riflessione sui testi che
abbiamo deciso di prendere in considerazione nel nostro lavoro, Il centro del mondo e
Caino. In questa prospettiva, l’opera di Karahasan può essere considerata come una vera
e propria testimonianza della guerra in Bosnia e dalla crisi sociale politica e culturale
che ne deriva, mentre quella della Gualtieri può essere intesa come una delle possibili
risposte alla mancanza di valori e di vicinanza al prossimo, come afferma in Note e
53
grazie la stessa autrice . In ambedue i casi, le opere si costituiscono come simboli,
ovvero come strumenti evocatori che hanno la funzione di scaturire, incanalare e
ammansire emozioni violente (per esempio odio, paura o dolore).
Turner sottolinea che l’intreccio tra dramma sociale e generi di performance non
costituisce un rispecchiamento pedissequo della realtà, ma determina la formazione di
“specchi magici” e non meccanici, che pongono sul piano estetico eventi o rapporti non
riconoscibili come tali nel corso della vita quotidiana in cui si manifestano. Tali specchi
rilevano un’esigenza urgente del dramma sociale, cioè quella:
51 Turner ci ricorda che il termine è stato usato per la prima volta in questo senso dall’etnologo e
limen
folklorista Arnold von Gennep, il quale lo intende come soglia di una delle fasi dei riti di passaggio.
Turner estende l’uso del termine riferendosi a ogni processo rituale, poiché esso costituisce una soglia
tra il vivere sacro e il vivere profano (Turner, 2009, pp.80-81).
52 Ritorneremo sulla questione in seguito poiché ciò ch