Il jutsu (la vita tra le mani).
Fino dalle origini, il jutzu ha accompagnato la pratica buddista. E’ da considerarsi un valido supporto per noi che recitiamo davanti al Gohonzon. Nella tradizione buddista abitualmente si prega tenendo tra le mani un filo di perline, il cosiddetto jutzu. Nel buddismo di Nichiren Dashonin se ne usa uno che contiene 108 grani tutti uguali, più altri quattro più piccoli infilati nell’anello principale. Secondo un antico insegnamento, 108 è il numero dei desideri terreni. Dunque, tenere tra le mani il jutzu durante la preghiera ha, tra gli altri, il significato di trasformare i desideri terreni in Illuminazione e manifestare la propria saggezza. Tuttavia, durante la recitazione l’elemento principale non è il jutsu ma il Gohonzon, il vero oggetto di culto che materializza la natura illuminata della propria vita.
I quattro grani più piccoli rappresentano le quattro guide dei Bodhisattva della Terra: Jogyo, Jyogyo, Muhengyo e Anryugyo. Essi rappresentano le manifestazioni concrete della natura di Buddha, una volta attivata nella vita dell’individuo; si tratta delle quattro virtù di vero io, purezza, eternità e felicità. Queste sono qualità che vengono potenziate attraverso la pratica buddista.
Le due palline più grosse, che nell’anello sono diametralmente opposte, sono dette grani “genitori”. Il grano “madre”, quello unito a tre nappine, vuol dire “mistica” (myo oppure invisibile); il grano “padre”, quello legato a due nappine, significa “Legge” (ho o anche visibile). Essi rappresentano la realtà oggettiva dell’esistenza e la saggezza necessaria per percepirla.
Il jutzu viene impugnato come a formare un otto rovesciato (simbolo matematico dell’infinito), lo si ritorce in modo che si incroci nel mezzo, poi si infila il grano “madre” dietro il dito medio della mano destra, quello “padre” dietro il dito medio della mano sinistra e infine si uniscono le mani, palmo contro palmo, dito contro dito. Quest’azione è gassho, cioè comprendere che la buddità esiste nella propria vita. Incrociare il jutzu nel mezzo sta a significare soku (uguale o anche unicità), quindi l’atto di congiungere le mani mentre si recita indica la fusione della realtà (kyo) con la saggezza intrinseca in ognuno (chi), ovvero comprendere che la vita individuale è un tutt’uno con la Legge mistica dell’universo. I due cordoncini che si staccano dal grano “padre” rappresentano il Buddha e la Legge, sono annodati perché secondo l’insegnamento di Nichiren Daishonin la Persona (ossia il Buddha originale) e la Legge sono la stessa cosa, principio anche noto come nippo ikka. Le tre nappine che escono dal grano “madre” simboleggiano invece i tre tesori, i due cordoncini uguali rappresentano il Buddha e la Legge, quello più corto il Prete. Il Buddha è il grande maestro buddista risvegliatosi alla verità dell’universo e alla Legge causale della vita, e possiede le tre virtù di sovrano, maestro e genitore. La Legge è l’insegnamento esposto dal Buddha per rivelare la sua Illuminazione. Il Prete è il discepolo del Buddha che eredita e trasmette la Legge alle generazioni future. Tutti e tre sono detti tesori, in quanto conducono le persone all’Illuminazione e il mondo alla pace e alla sicurezza. Tutti i cordoncini sono bianchi perché questo è il colore attribuito alla purezza, qualità che non indica però una condizione statica priva di impurità, piuttosto rivela il potere dinamico della vita e la saggezza di trasformare tutti gli aspetti negativi in essa presenti in aspetti positivi. «Raccogli tutta la tua fede – scrive il Daishonin – e prega questo Gohonzon. Allora, che cosa non può essere realizzato? Credi nel Sutra del Loto quando dice: “Questo sutra esaudisce i desideri. È l’acqua fresca e limpida del laghetto che placa la sete” e “Godranno di pace e sicurezza in questa vita e di circostanze favorevoli nella prossima”» (“Risposta a Kyo’o” Gosho). Le quattro pallottoline di forma allungata rappresentano i vasi contenenti i benefici che immancabilmente scaturiscono per mezzo della pratica al Gohonzon. Tra i quattro grani a forma di vaso e quelli “genitori”, ci sono altri trenta grani che rappresentano i tremila mondi di ichinen sanzen, la filosofia fondamentale del Buddismo, cioè i tremila potenziali stati vitali contenuti in un singolo istante di vita. Se si solleva il jutzu tenendolo per la nappina con cui termina il cordoncino che rappresenta il prete, si può vedere stilizzata la figura di un essere umano: in definitiva, impugnare il jutzu significa prendere in mano la propria vita e decidere dal profondo del cuore di alzarsi da soli e cambiare il proprio destino. La missione condivisa da tutti i discepoli del Daishonin è di portare felicità a tutto il genere umano attraverso la diffusione del suo insegnamento, le nappine che si trovano alla fine di ogni cordoncino stanno appunto a significare che kosen-rufu si diffonderà in tutto il mondo e la piccola pallina accanto al grano “padre” indica la realizzazione della vera entità della nostra vita, la piena attuazione della nostra missione su questa terra. Ad eccezione dei quattro a forma di vaso, ogni grano è rotondo a significare che l’insegnamento di Nichiren Daishonin è armonico, completo e perfetto, e comprende tutti e tutto. A livello pratico sfregare il jutsu può aiutare noi credenti a mantenere la concentrazione quando recitiamo.