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SCUOLA DELL’INFANZIA
In questo capitolo ci si è focalizzati sul fornire spiegazioni riguardo i motivi che
giustificano l’accostamento alla lingua inglese alla scuola dell’infanzia. Dopo un rapido
excursus di glottodidattica per l’infanzia in Italia, e un approfondimento sulle Istituzioni
italiane che si sono occupate di trattare l’argomento, si é passati ad approfondire il tema
dell’acquisizione linguistica dal punto di vista neuropsicologico, per poi soffermarsi
brevemente sulle caratteristiche neurologiche infantili che giustificano la premura di
introdurre una nuova lingua in età così precoce.
Si sono successivamente illustrati i capisaldi della filosofia della “sensibilizzazione” o
dell’ “accostamento” linguistico, spiegando perché sarebbero da preferire in contesti di
scuola dell’infanzia, rispetto al più formale “insegnamento”.
Per continuare, si sono delineati i principi della glottodidattica esperienziale, che
dovrebbero guidare la pratica e la scelta di tecniche e metodologie alla scuola
dell’infanzia.
Per finire, una corposa sezione é stata dedicata alle implicazioni della sensibilizzazione
all’inglese come Lingua Franca, evidenziando gli aspetti ai quali si dovrebbe puntare in
questo senso.
2.1 Glottodidattica per l’infanzia in Italia
In Italia, la glottodidattica intesa come disciplina scientifica, ha origini abbastanza recenti.
Si è sviluppata a partire dagli anni Settanta, inizialmente come una branca della linguistica
(associata all’insegnamento), per definirsi nei decenni successivi come scienza
dell’educazione linguistica, focalizzata sui processi di apprendimento e insegnamento
delle lingue materne, seconde, straniere, etniche e classiche (Daloiso, 2009).
Il termine “glottodidattica precoce” si riferisce a quella branca della glottodidattica che si
occupa dello studio dei processi di acquisizione linguistica nei bambini, con l’obiettivo
di identificare e sviluppare approcci, metodi e strategie operative volte a favorire il
plurilinguismo fin dalla prima infanzia (Daloiso, 2009). 39
Come puntualizza Daloiso (2009), la nascita di questo filone di ricerca in Italia é stata
facilitata da un contesto sociale dell’epoca molto favorevole. Infatti, negli anni Settanta
e Ottanta, in molte scuole italiane già esisteva una tradizione di insegnamento delle lingue
ai bambini (che in alcune regioni risaliva anche agli anni Sessanta) e iniziava a diffondersi
una sensibilità verso il tema del bilinguismo infantile; inoltre, proprio in quel periodo, il
Ministero della Pubblica Istruzione aveva iniziato a valutare di inserire la lingua straniera
nel curricolo della scuola primaria (proposta concretizzatasi con i Programmi del 1985).
Approfittando di questo terreno fertile, alcuni tra i più importanti rappresentanti della
glottodidattica italiana (per citarne alcuni: Titone, Freddi, Cambiaghi, Porcelli, Mazzotta
e Balboni) diedero vita a una riflessione metodologica che portò a sperimentazioni di
notevole importanza che stabilirono un primo punto di contatto tra la ricerca scientifica
alle spalle e la pratica educativa, andando incontro ai nuovi bisogni linguistici emergenti
nella società. Gli esiti di queste sperimentazioni trovarono spazio in varie pubblicazioni
che spinsero ulteriormente la ricerca in questo senso, la quale subì poi una brusca
diminuzione nella seconda metà degli anni Novanta per riprendere nuovamente tra la fine
del decennio e i primi anni del 2000, anche grazie alle sollecitazioni del Consiglio
d’Europa sull’acquisizione plurilingue in tenera età, che contribuirono a promuovere
diversi progetti sperimentali, in scala per lo più locale, nelle scuole dell’infanzia (Balboni,
2001).
2.2 Istituzioni italiane e lingue straniere alla scuola dell’infanzia
Quando pensiamo ad “apprendere l’inglese a scuola” , l’immagine che ci viene in mente
è quella di un bambino seduto sui banchi della scuola primaria, perché tradizionalmente
è sempre stato così e oggi, come abbiamo visto nel capitolo precedente, in Italia così come
in quasi tutti i paesi europei (fatta eccezione per pochissimi), l’introduzione dell’inglese
non è obbligatoria nei sistemi educativi della scuola dell’infanzia (Eurydice, 2023).
Anche il campo di ricerca della glottodidattica per l’infanzia si è rivolto, per lungo tempo,
principalmente alla scuola primaria e nello specifico alla fascia d’età 8-12 anni (Daloiso,
2009). Una limitazione questa, dovuta più a ragioni storico-sociali che a ragioni teoriche.
Solo verso gli anni Novanta si è iniziato a focalizzarsi specificatamente anche sulla fascia
d’età prescolare.
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Nell’immaginario comune, la scuola dell’infanzia è stata considerata a lungo ( e in parte
ancora adesso) come un necessario sostituto materno che tenesse al sicuro i bambini, in
un luogo dove gli obiettivi educativi passavano in secondo piano a favore di quelli di
cura. Così concepita, alla scuola dell’infanzia non è mai stato riconosciuto un ruolo
ufficiale nell’educazione alle lingue straniere, e tutt’oggi l’introduzione della lingua
straniera in età prescolare non è definita a livello ordinamentale. In mancanza di una
normativa specifica, però, molte scuole hanno attivato programmi informali per la
sensibilizzazione alla lingua straniera, avvalendosi di figure esterne esperte in materia
(Favaro, 2016).
Dunque, si può concordare con Favaro (2016) nell’affermare che i progetti di inglese
sperimentati dalle singole scuole dell’infanzia, sono di carattere per lo più autonomo e
prendono vita laddove qualche insegnante particolarmente volenteroso e sensibile
riguardo il tema si attivi per collaborare con qualche associazione privata.
2.2.1 Le Indicazioni Nazionali del 2012 e i Nuovi Scenari del 2018
Prendiamo in considerazione a livello teorico la normativa italiana per la lingua straniera
nella scuola dell’infanzia, la quale dimostrerà quanto scritto poco sopra.
Le “Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo
d’istruzione” (MIUR, 2012) presentano qualche spunto di riflessione riguardo
l’accostamento alle lingue straniere alla scuola dell’infanzia.
Le Indicazioni Nazionali del 2012 sono lo strumento chiave per la progettazione dei
percorsi didattici nella scuola italiana, definendo obiettivi e traguardi specifici per gli
ordini scolastici, a partire dalla scuola dell’infanzia fino al termine della scuola secondaria
di primo grado.
Nelle Indicazioni Nazionali, la finalità dichiarata per la scuola dell’infanzia è quella di
promuovere lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia e di avvicinare i bambini alla
cittadinanza attiva (MIUR, 2012). L’attenzione alle lingue straniere viene solo accennata,
limitatamente al campo d’esperienza “I discorsi e le parole” (anche se più avanti vedremo
come , in realtà, la lingua straniera possa essere associata a tutti i campi di esperienza).
La L1 (lingua prima o lingua materna) è descritta come parte fondamentale dell’identità
del bambino, mentre la LS (lingua straniera) viene inserita nelle Indicazioni Nazionali in
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termini di possibilità di apertura verso altre culture. Se dunque, la L1 viene delineata come
parte integrante dell’identità del bambino, la conoscenza di altre lingue è percepita in
funzione di conoscenza dell’altro, del diverso.
Nei traguardi prefissati per la fine della scuola dell’infanzia, riguardanti la competenza
comunicativa, si definisce primaria l’abilità di comunicare in una pluralità di linguaggi,
tra i quali non si esplicitano solo lingue parlate ma più che altro espressioni artistiche.
Leggiamo che il bambino “scopre la presenza di lingue diverse, riconosce e sperimenta
pluralità di linguaggi” e ancora “si esprime in modo personale, con creatività e
partecipazione, è sensibile alla pluralità di culture, lingue, esperienze.” (MIUR, 2012, p.
30).
Da queste dichiarazioni emerge dunque, un’attenzione ancora molto debole verso
l’accostamento alle lingue straniere nella scuola dell’infanzia, che vengono prese in
considerazione solo in funzione di scoperta della loro esistenza associata alla presenza di
culture diverse.
Nel 2018, ad ampliare le Indicazioni del 2012, il MIUR ha pubblicato “Indicazioni
Nazionali e Nuovi scenari” curato dal Comitato scientifico nazionale. Il documento è nato
con l’obiettivo di raccogliere gli spunti che, a partire dalle Indicazioni Nazionali, hanno
ispirato l’educazione in Italia dal 2012 al 2017 (MIUR, 2018) . Ancora una volta però,
non viene dedicato molto spazio al tema dell’accostamento alle lingue straniere, anche
se viene ribadito che :
l’apprendimento di più lingue permette di porre le basi per la costruzione di
conoscenze e facilita il confronto tra culture diverse. La capacità di utilizzare più
lingue garantisce la possibilità di comunicare efficacemente, per capire e farsi
capire nei registri adeguati al contesto, ai destinatari e agli scopi. (MIUR, 2018,
p.9).
Come previsto, l’attenzione per l’insegnamento più “formalizzato” delle lingue straniere
è invece molto presente nella sezione dedicata alla scuola primaria, risultante sia nelle
Indicazioni Nazionali del 2012, così come nei Nuovi Scenari del 2018, così come nella
legge 107 “Buona scuola” (L.13 luglio 2015, n.107) con la quale si ribadisce più che altro
la necessità di competenze e specializzazioni da parte dei docenti di lingua inglese nella
scuola primaria.
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In conclusione, dal contesto italiano emerge una completa autonomia delle scuole in
questo ambito, nonché dei docenti stessi che, spesso supportati da alcuni gruppi di
ricercatori e di docenti universitari, portano sul campo progetti e sperimentazioni ancora
poco sostenuti dalle Istituzioni che invece per prime dovrebbero favorire e supportare la
promozione della competenza plurilinguistica fin dalla tenera età.
2.3 Approcci teorici all’acquisizione linguistica
Prima di giustificare con nozioni neuropsichiche l’accostamento precoce a una lingua
straniera, è utile riportare una rassegna delle principali teorie relative all’acquisizione
delle lingue in età infantile, in quanto l’approccio che viene adottato, che sia per
l’insegnamento o l’accostamento, viene inevitabilmente influenzato dalla visione che si
ha circa il “come si acquisisce/si appr