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DEFICIT TEORIA DELLA MENTE

Secondo gli studi portati avanti da Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985), si evidenzia una specifica carenza dei bambini autistici nello sviluppo della "teoria della mente", ossia difficoltà nel riuscire ad attribuire a sé stessi e agli altri stati mentali come ad esempio intenzioni, pensieri e credenze e utilizzare queste determinate informazioni per prevedere, interpretare e spiegare i comportamenti degli altri (cecità mentale). Di conseguenza essi non sarebbero in grado di stabilire un contatto reale con i coetanei, dimostrando difficoltà non solamente nella comunicazione verbale, ma anche nell'interazione sociale, sviluppando sia comportamenti ripetitivi sia stereotipati. Solitamente questa abilità, nei bambini a sviluppo tipico, si manifesta intorno ai 3-4 anni. Le motivazioni di questa lacuna nei soggetti autistici vanno ricercate in una più generale carenza nella capacità metarappresentazionale.

Abilità che emerge con il gioco di finzione attorno ai 18 mesi, fino ai 2 anni. Il gioco di finzione, infatti, è un'attività molto importante, raffinata e impegnativa, che accompagna e progredisce durante l'infanzia insieme ad altre competenze del bambino: consiste nel "far finta di", non presente in altre forme di gioco sebbene molto simili a livello comportamentale (es. gioco simbolico).

I bambini autistici invece non sono in grado di comprendere il gioco di finzione, a causa di una limitazione nel prevedere gli stati emozionali dell'altro o il loro comportamento (Prior et al., 1990). La conferma di questo deficit metarappresentazionale sui bambini autistici, è stata portata avanti da molti studi, procedendo anche tramite situazioni ipotetiche o sperimentali in cui si poneva il bambino davanti a due situazioni divergenti: la prima, in cui si metteva in evidenza ciò che l'altro voleva, la seconda invece in cui

Il bambino doveva comprendere cosa si aspettava che facesse l'altro. In particolare, le prove di falsa credenza sono fondamentali nell'effettiva comprensione del grado di sviluppo della Teoria della mente nel bambino, ossia nel riuscire a riflettere sul nostro vissuto interiore e decodificare quello degli altri (Camaioni, 1998).

I compiti sperimentali della falsa credenza si possono distinguere in due tipologie:

  • 1 ordine: implica la capacità di capire ciò che pensano gli altri (es. "cosa pensa Sally?")
  • 2 ordine: implica una capacità metacognitiva, ossia di comprendere le credenze sulle credenze (es. "cosa Sally pensa che Billy pensi?")

Il test di Sally-Anne rappresenta a pieno la comprensione del 1 ordine di falsa credenza nei bambini a sviluppo tipico. Ai soggetti vengono presentate due bambole:

  • Anne che possiede una scatola;
  • Sally che possiede un cestino.

In seguito, è

È previsto un gioco di finzione in cui Sally pone una biglia nel proprio cestino, copre quest'ultimo con un panno ed esce a passeggio. Nel frattempo che Sally è assente, Anne ruba la biglia dal cestino e la colloca nella propria scatola. Infine, quando Sally torna dalla passeggiata, ha intenzione di giocare con la biglia e qui interviene l'esaminatore che domanda al bambino sottoposto al test, dove Sally credeva che la sua biglia si trovasse e dove secondo lui avrebbe guardato. In questo caso abbiamo due possibili risposte: se il bambino risponde affermando che Sally avrebbe cercato la biglia nella scatola di Anne, allora il soggetto non è in grado di mettersi nei panni degli altri poiché, non assumendo il punto di vista altrui, è incapace di formulare una falsa credenza. Al contrario, se il bambino risponde che Sally avrebbe cercato la biglia nel cestino, rispondendo quindi secondo la prospettiva di Sally e non la sua, allora è capace di comprendere.

i pensieri, le idee, le intuizioni e le conoscenze altrui, di conseguenza formulare false credenze (Zaniboni & Usai, 2019).

Baron- Cohen, Leslie e Frith (1985) in seguito, arrivarono alla conclusione che il deficit presente nei bambini autistici sia dovuto a un danno neurologico, non ancora però individuabile con le attuali conoscenze e che tale deficit possa spiegare i disturbi di socializzazione, immaginazione e comunicazione. Tuttavia, essi successivamente, hanno riconosciuto prestazioni relativamente buone in molti campi da parte dei soggetti autistici, sostenendo in questo modo la selettività del disturbo come, ad esempio, il concetto di permanenza delle persone, l'auto-riconoscimento oppure le potenzialità nell'assumere una prospettiva visiva. A sostegno di ciò, ci possiamo basare su prove sperimentali su soggetti con disturbo dello spettro autistico in età compresa tra i 10 anni e 20 anni (età mentale di circa 5-11 anni alle).

prove verbali e tra i 4 e i 10 alle prove non verbali), i quali nell'ambito delle conoscenze sociali che non coinvolgono la teoria della mente, forniscono buone prestazioni. Essi, infatti, dimostrano reciprocità in compiti semplici (es. lanciarsi una palla a vicenda) e riescono a riconoscere relazioni semplici rappresentate tramite figure come, ad esempio, madre e figlio (Prior et al., 1990). Al contrario Bruner e Feldman (1993), obiettano l'ipotesi di una teoria della mente deducibile solamente dalla comprensione delle false credenze, ritendendo difficile il focus del disturbo autistico si possa identificare in una carenza nel riconoscimento degli stati mentali altrui, focalizzandosi piuttosto sull'esistenza di una comprensione implicita delle intenzioni, fin dai primi scambi imitativi con l'adulto. Essi piuttosto affermano che tali deficit sembrano più in generale la conseguenza di un difetto del funzionamento cognitivo ad ampio spettro, il quale sipuò riscontrare ad esempio nell'incapacità di interagire con quelle routine che normalmente aiutano il bambino ad entrare in contatto con le varie prospettive di comportamento sociale. Hill (2004), al contrario, sostiene che seppur molti comportamenti associati all'autismo siano effettivamente legati ad un deficit di sviluppo della teoria della mente, essa non tiene conto di altri aspetti non legati alle competenze sociali come la rigidità, i comportamenti ossessivi e la presenza di un profilo cognitivo che evidenzia picchi di prestazione in prove riguardanti conoscenze fattuali. Infine, risulta essere limitativo analizzare la capacità di comprendere la mente altrui attraverso solo pochi compiti sperimentali come la falsa credenza, poiché nei soggetti con autismo le richieste di attenzione, memoria e capacità linguistiche aggiuntive risultano difficoltose. 1.3.3 NEUROBIOLOGIA DEL PAZIENTE AUTISTICO L'autismo è un disordine dello

sviluppo del cervello, il quale insorge all'incirca in periodo perinatale ed è caratterizzato non solo da disturbi del comportamento sociale ma anche da difficoltà nelle interazioni con gli altri, da deficit del linguaggio e dalla presenza di atteggiamenti di tipo ripetitivo e ossessivo. A livello di prevalenza, vediamo che si parla statisticamente all'incirca di 2-5 casi ogni 10.000 bambini e negli ultimi anni sembra esservi un incremento, anche se non è chiaro se questo fattore dipenda da una reale crescita dei casi o da un miglioramento delle capacità diagnostiche da parte degli esperti (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). La maggior parte dei casi di autismo si verifica prima dei 36 mesi; l'autismo è da 3 a 5 volte più frequente nei maschi, ma si manifesta in maniera più grave nelle femmine. La prognosi dei soggetti autistici è strettamente correlata al loro quoziente intellettivo: più esso è basso,

Peggiore sarà la prognosi. Circa il 70% dei soggetti autistici ha una forma di ritardo che può oscillare da più o meno grave, e non più del 20% riesce a diventare autosufficiente in età adulta. Inoltre, riguardo l'eziopatogenesi dell'autismo, sembra ormai accertata l'esistenza di una componente genetica. Ad esempio, nei gemelli monozigoti è stato osservato che se uno dei due è autistico in circa il 36% dei casi lo è anche l'altro (Caretto, 2015).

In prospettiva neuro-anatomica, invece, sono state rilevate alterazioni celebrali presenti nei cervelli di soggetti con disturbo autistico ma non si è riscontrata la presenza in maniera specifica in tutti gli individui autistici. L'anomalia più frequente, verificata grazie alle risonanze magnetiche, è rappresentata da un aumento del volume cerebrale dei soggetti autistici rispetto ai soggetti a sviluppo tipico: in particolare si è osservato

unosviluppo dei lobi parietali, temporali e occipitali di destra e del cervelletto, e una riduzionedimensionale della parte posteriore del corpo calloso. A fronte di ciò, esistono comunquesoggetti autistici che non presentano alcuna significativa alterazione neuroanatomica.

Secondo diversi studi riguardanti l'analisi sulle risonanze magnetiche funzionale, si sonoriscontrate anche alterazioni istologiche, come ad esempio dimensioni ridotte e unaumentato della densità dei neuroni del sistema limbico, oltre a una restrizione del numerodi cellule del Purkinje cerebellari (Gupta, 2007).

La risonanza magnetica ha anche riscontrato un'alterazione anatomo-funzionalidelle aree che controllano il comportamento emozionale come l'amigdala, l'ippocampo epiù in generale del sistema limbico. L'amigdala in particolare ha un ruolo di fondamentalenell'elaborazione delle emozioni; infatti, pazienti con lesioni dell'amigdala

presentano alterazioni comportamentali simili a quelle dell'autismo, mentre in soggetti autistici si è osservata una diminuzione della sua attivazione durante il riconoscimento delle emozioni facciali. Tuttavia, questi dati sono stati ricavati da un numero limitato di soggetti e per questo si porta avanti l'ipotesi che in alcuni individui il disturbo dello spettro autistico possa essere causato da alterazioni dello sviluppo neurale, in particolare da fattori ambientali come l'esposizione a infezioni virali o xenobiotici durante la gravidanza, e dalla loro interazione con fattori genetici (Freitag, 2007).

Un altro studio portato avanti dalla Standford University, sempre attraverso l'utilizzo delle risonanze magnetiche, ha dimostrato per la prima volta su bambini autistici una diminuzione della densità di connessioni in un circuito neurale quando essi erano posti davanti alle interazioni sociali. Davanti a questi dati quindi, si porta avanti la teoria

per cui le persone autistiche siano a livello intrinseco, meno interessate a interagire con gli altri, in particolare con i propri simili.

Dettagli
A.A. 2022-2023
62 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elisa.antonello49 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicopatologia dello sviluppo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Ciaramidaro Angela.