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IL PIENO MEDIOEVO
Secoli di cambiamenti
Si ha già avuto modo di descrivere, nel corso della presente trattazione, le
– economiche che interessarono l’Europa occidentale durante il
trasformazioni socio
altomedievale: la crisi politica, demografica e produttiva che già sul finire dell’età
periodo
imperiale aveva afflitto il Continente determinò, proprio in quel tempo, un pressoché totale
smantellamento di tutte quelle reti commerciali che in precedenza avevano messo in
collegamento regioni molto distanti tra loro. Nella gran parte di quelli che erano stati i
territori dell’Impero d’Occidente la circolazione delle merci sulle lunghe distanze si
ritrovava perciò ridotta a poche tipologie di prodotti, mentre nelle zone rurali vedeva la luce
fondato sull’autoconsumo,
un sistema che lasciava spazi limitati ai circuiti di scambio
locali e che avrebbe raggiunto la sua massima esemplificazione nello sviluppo del modello
curtense. – X, tuttavia, l’Europa
A partire dai secoli IX occidentale poté costituire lo scenario di
un epocale incremento demografico ed economico, che di lì a poco si sarebbe tradotto in
una proficua evoluzione delle tecniche agricole, in una clamorosa rinascita dei centri urbani
dei traffici a lunga distanza: l’Occidente vedeva così radicalmente
e in una sensibile ripresa
trasformato il proprio assetto sociale e produttivo, con evidenti conseguenze anche sulle
modalità di produrre e consumare cibo. Il considerevole aumento di popolazione che, pur
con sensibili variazioni da zona a zona, interessò il suolo europeo in questa fase della sua
storia, fu infatti causa di alcune vistose trasformazioni del paesaggio rurale, che dovette
essere drasticamente ripensato in funzione delle nuove necessità del tempo. Alcuni
eminenti studiosi hanno già messo in luce la straordinaria eterogeneità che distingueva le
1
campagne altomedievali da quelle dei secoli successivi : chiunque avesse potuto osservare
dall’alto il paesaggio rurale di quel tempo, infatti, avrebbe avuto davanti agli occhi un
ampio mosaico costituito da diversi appezzamenti di terreno (coltivazioni cerealicole,
vigneti, frutteti, paludi, boschi ecc.), ognuno dei quali finalizzato a soddisfare le differenti
esigenze dell’alimentazione umana. Una varietà, quella della realtà rurale altomedievale,
L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo,
1 M. Montanari, Napoli 1979, pp. 19 - 20. 37
destinata a non trovare riscontro nei secoli successivi, quando appunto il rilevante aumento
demografico del Pieno Medioevo avrebbe reso inevitabile una riconversione su larga scala
degli spazi agricoli, manifestatasi in una vistosa espansione dei campi di cereali a danno
delle altre coltivazioni e delle terre incolte: una simile scelta produttiva, fondata sulla
constatazione che, a parità di superficie coltivata, i cereali consentivano di sfamare un
maggior numero di individui, sarebbe stata intrapresa, ad esempio, nei territori della
. Un fenomeno contestuale, e per certi versi conseguente, all’espansione dei
2
Pianura padana
campi di cereali (e più in generale di tutte le superfici agricole), che si registrò proprio a
partire da questi decenni, era rappresentato dal progressivo arretramento di tutte quelle aree
di incolto che nei secoli precedenti avevano rappresentato una fondamentale fonte di
approvvigionamento alimentare: fu soprattutto la crescente diminuzione delle zone
boschive che arrivò a costituire una minaccia sempre più concreta per le attività venatorie
3
delle popolazioni rurali . Di fronte a questo fenomeno, infatti, i titolari delle varie signorie
iniziarono a vietare ai contadini la pratica della caccia, al fine di avocare a se stessi il
privilegio di usufruire della selvaggina locale, la quale stava diventando un bene sempre più
: l’espropriazione, perpetrata nei confronti dei contadini, di quello che era
4
raro e prezioso
stato per lungo tempo un diritto comune, avrebbe determinato per quella gente il venir
meno di una consistente fonte di approvvigionamento carneo, il quale finiva per essere così
demandato al solo allevamento. Alcuni ricercatori, d’altra parte, si sono spinti ad avanzare
un’ulteriore ipotesi che potesse spiegare la creazione di queste riserve di caccia private da
parte dei feudatari: dietro l’estromissione dei contadini dalla ricerca di cacciagione si
sarebbe celata la volontà, da parte dei signori rurali, di preservare un paesaggio naturale che
l’espansione delle terre coltivate avrebbe rischiato di eliminare del tutto, secondo quella che
lo stesso Massimo Montanari ha definito come “qualcosa di simile ad una ‘politica
ecologica’, attuata con piena consapevolezza” 5 .
Era questa, del resto, la motivazione che si celava dietro le crescenti politiche di
regolamentazione che anche la pesca avrebbe conosciuto a partire dal Pieno Medioevo: fu
per l’appunto la poderosa crescita demografica che si registrò in quel periodo, infatti, a
innescare tutta una serie di provvedimenti burocratici finalizzati a tutelare la fauna ittica
dall’incessante approvvigionamento di pescato, un approvvigionamento di cui una
2 Ivi, p. 19.
3 Ivi, p. 254.
4 Ibidem.
5 Ibidem. 38
6
popolazione in così forte aumento si rendeva inevitabilmente protagonista . In particolare
riguarda il Nord Italia, “ è soprattutto nel periodo comunale che le ordinanze
per quanto – –
legislative statuti cittadini in primo luogo cominciano ad interessarsi dettagliatamente
della pesca, per regolare l’entità della cattura, promuovere il ripopolamento delle acque,
impedire la pesca nel periodo della riproduzione, proteggere il novellame, evitare le
”. Erano queste prescrizioni di per sé comprensibili,
7
mutazioni degli habitat fluviali
soprattutto se si tiene conto del fatto che il pesce costituiva la pietanza sostitutiva della
carne in tutte quelle occasioni in cui il calendario liturgico cristiano imponeva di astenersi
dal consumo di tale alimento: i giorni cosiddetti “di magro” occupavano del resto una larga
parte dell’anno, sebbene si possa ipotizzare che non tutti i fedeli si dimostrassero
egualmente virtuosi nell’osservanza delle prescrizioni alimentari che la Chiesa imponeva
8
loro . In ogni caso, mentre molte amministrazioni pubbliche si preoccupavano di vegliare
sulle criticità prodotte da una pesca incontrollata, i processi di bonifica che contestualmente
venivano portati avanti nelle aree paludose, e che apparivano ancora una volta finalizzati a
conquistare spazi abitativi e coltivabili alla natura selvaggia, contribuivano a ridurre non
di accesso alle riserve ittiche d’acqua dolce.
poco le possibilità Nuovi spostamenti per nuovi prodotti
Gli effetti dell’imponente rinascita demografica e produttiva che investì l’Europa
occidentale nei primi secoli del nuovo millennio non si fecero avvertire, però, solamente
sulle attività legate allo sfruttamento diretto delle risorse naturali, ma anche su quelle
finalizzate alla lavorazione e alla vendita stessa dei beni. I notevoli progressi che
interessarono la produttività agricola in quel periodo, infatti, si posero alla base di un
generale processo di ripopolamento delle città e di una diffusa ripresa del settore
manifatturiero: proprio a questa nuova vitalità delle economie urbane si deve imputare,
perciò, la decisa rinascita di quei ceti artigiani e mercantili che appunto nelle città
trovavano il proprio campo d’azione ideale, e che da quel momento avrebbero concorso a
formare un nuovo soggetto economico e politico, quello della borghesia. Il risorgere delle
relazioni commerciali tra regioni molto distanti tra loro venne promosso non a caso da una
nuova figura professionale, quella del mercante, la quale aveva ricoperto un ruolo di
–
6 Ivi, pp. 281 282.
7 Ivi, p. 282.
8 Ivi, p. 279. 39
relativa marginalità durante tutta la fase altomedievale: adesso invece, grazie all’ininterrotto
merce da un luogo all’altro dell’Europa e del
spostamento di grandi volumi di
Mediterraneo, i mercanti potevano assurgere al ruolo di protagonisti assoluti del proprio
tempo.
Soprattutto, il riaffermarsi di un regime di economia di mercato fondato sulla rinascita
di circuiti di scambio aventi scala continentale e intercontinentale, appariva destinato a
influire profondamente sulle abitudini alimentari degli europei, o quantomeno di una parte
di essi. Nel corso dell’Alto Medioevo, infatti, tutte le relazioni commerciali instaurate tra i
regni di fondazione germanica da un lato, e i mondi arabo e bizantino dall’altro, erano
rimaste limitate a un ristretto insieme di beni: per la precisione, l’Europa occidentale
esportava in Oriente legname, pelli, metalli, schiavi e armi, importando a sua volta merci di
9
lusso e poco ingombranti come stoffe preziose, profumi, e papiro . Sarebbe stato solo con
gli epocali cambiamenti sociali e produttivi dei secoli successivi, perciò, che queste reti
commerciali a lungo raggio avrebbero iniziato a coinvolgere gradatamente anche prodotti di
uso comune, capaci di rispondere alle necessità quotidiane di una popolazione in aumento:
tra i suddetti prodotti sarebbero rientrate, in maniera crescente nel corso del tempo, anche le
10
derrate alimentari . Tra queste ultime potevano figurare alimenti destinati al consumo
giornaliero come il grano (che le navi delle grandi città marinare italiane importavano dal
Meridione della Penisola, dalla Dalmazia e dalla zona del Mar Nero), il vino (importato in
Italia dal Mezzogiorno e dalla Francia meridionale, ma anche dalla Grecia e dalle isole
egee), bevanda impiegata peraltro anche nella preparazione di molti farmaci, e il sale (una
merce molto costosa e richiesta, prodotta principalmente in Sicilia, in Sardegna e nelle
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Baleari), utilizzato tanto in cucina quanto nella conservazione della carne e del pesce .
A questo proposito, è bene ricordare che in una società cui risultavano ignoti i moderni
sistemi di refrigerazione, proprio l’adozione di specifiche procedure (salatura, marinatura,
essiccatura, affumicatura), finalizzate a prolungare il più possibile nel tempo la
commestibilità di certi alimenti, contribuiva a impedire che un’ingente parte delle cibarie
. L’essiccatura, in particolare, aveva il potere di assicurare
12
andasse sprecata il consumo
delle derrate agricole anche nel corso di stagioni diverse da quelle di produzione: questo è
Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione,
9 G. Vitolo, Milano 2000, pp. 122 e 208.
10 Ivi, p. 212. –
11 Ivi, pp. 212 213.
12 R. O. Valentini, Mangiare medievale. Ali