LETTURA BIBLICO-TEOLOGICA DELLE DIECI PAROLE
Il Decalogo, o Dieci Comandamenti, si presenta con una forma chiara e diretta, priva di ambiguità, perché destinato al bene di
ogni persona. Pur formulati come divieti, esprimono affermazioni positive a favore della vita, della libertà, della famiglia e
Nati nel deserto – luogo dei bisogni essenziali – i comandamenti parlano ancora oggi all’uomo, adattandosi
della dignità umana.
a ogni epoca, anche in formato digitale. Sono parole che non annullano la libertà, ma la esaltano, chiamando ciascuno a
Parte integrante della tradizione biblica e culturale dell’Occidente,
scelte responsabili. il Decalogo interpella la nostra
Dio ha donato queste parole come segno dell’alleanza con il popolo, e
identità: ignorarlo significa rinunciare alla libertà.
Gesù stesso le ha rilanciate, liberandole da una lettura legalistica e riaffermandone la portata radicale e universale.
Testo letterario
ossia lo studio che “conduce fuori” il senso del testo sacro, mostra come
L’esegesi, le Dieci Parole siano state riconosciute da
Esse compaiono sia nell’Esodo – che narra l’uscita dall’Egitto e l’alleanza al Sinai
generazioni come il cuore della Legge divina.
– sia nel Deuteronomio, dove Mosè, alla vigilia della morte, ricorda la storia del popolo e la rinnovata alleanza prima dell’ingresso
nella Terra promessa. Il nome di Dio (YHWH), impronunciabile per rispetto, è centrale nel racconto, ma col tempo si ritira dalla
scena, lasciando spazio al «tu» dell’interlocutore e infine al prossimo. Questo passaggio suggerisce che il vero centro della
Il testo del Deuteronomio è particolarmente ricco, soprattutto nella parte
Legge è la relazione: con Dio, con sé e con gli altri.
sul sabato, e Le Dieci Parole, dunque, non sono solo
va oltre la fede religiosa: è un invito a vivere una vita piena e buona.
comandi, ma una guida esistenziale per non dimenticare il cammino intrapreso e ritrovare il senso dell’origine.
—> Le Dieci Parole possono essere suddivise in tre sezioni principali:
1. Rapporto con Dio (vv. 6-10): divieti contro idolatria, immagini sacre, uso improprio del nome di Dio.
2. Rapporto con sé stessi sotto lo sguardo divino (vv. 11-16): rispetto del nome di Dio, il sabato, onore ai genitori.
3. Rapporto con il prossimo (vv. 17-21): divieti contro omicidio, adulterio, furto, falsa testimonianza e desideri illeciti.
Ogni sezione comprende tre divieti, ma aggiungendo l’autopresentazione di YHWH al v. 6 si arriva a dieci parole. I
comandamenti iniziali trattano il rapporto uomo-Dio, mentre gli ultimi sette regolano i rapporti tra persone (uomo-donna).
Contesto nel testo
Il contesto di questo brano riflette una lettura attualizzata del Decalogo: già 3000 anni fa, le Dieci Parole ci mettevano in
A una lettura superficiale, la prima sezione del Decalogo (vv. 6-10) può
guardia contro la dipendenza dalle cose materiali.
sembrare incentrata solo su regole religiose, specifiche per il culto israelita, come il divieto dell’idolatria. Tuttavia, ciò che
colpisce è che Dio (YHWH) non chiede un culto particolare per sé: non dà istruzioni su sacrifici, riti, offerte, ma proibisce
solamente di farsi idoli. Questo suggerisce un messaggio molto più profondo: Dio non cerca il culto per sé, ma desidera il bene
autentico dell’essere umano. L’idolatria è pericolosa non tanto perché “offende Dio”, ma perché schiavizza l’uomo,
Quindi, servire gli
rendendolo dipendente da ciò che non ha vita, come le cose materiali, il potere, l’immagine, il denaro.
idoli significa smettere di essere liberi e autentici. La vera libertà, secondo questa lettura, è diventare pienamente se stessi, non
vivere in funzione di ciò che ci domina o che ci illude.
Schiavitù e liberazione
L’Esodo inizia con il dramma intitolato che prende il nome dal loro antenato Giacobbe, detto anche Israele,
I figli di Israele,
emigrato in Egitto. La presenza di questi stranieri viene percepita dal faraone come una minaccia, a causa del forte aumento della
loro popolazione, che rischia di soppiantare quella egizia. Per questo motivo, il faraone sottopone gli ebrei a lavori pesanti e alla
costruzione di grandi opere, senza retribuzione: si tratta quindi di schiavitù. Non riuscendo però a piegarli né a toglier loro la
vitalità, passa a un’oppressione più violenta e brutale. Per preservare la popolazione egizia ed eliminare il “seme” ebraico, il
faraone ordina di gettare nel fiume tutti i primogeniti maschi. Ma l’obiezione di coscienza delle levatrici lo porta a compiere da sé
questo atto. Dio, ascoltando il grido del popolo d’Israele, interviene e si rivolge a Mosè, che ancora non sa di essere ebreo: per
salvarlo, sua madre lo aveva messo in una cesta nel Nilo, da cui viene tratto in salvo dalla figlia del faraone.
Un giorno, Mosè – cresciuto convinto di essere egiziano – assiste a uno scontro tra un soldato egiziano e un ebreo. Sente dentro
di sé il dovere di intervenire per difendere l’ebreo e finisce per uccidere il soldato. Accortosi della presenza di un testimone, fugge
dall’Egitto per paura e arriva nella penisola del Sinai. Mentre pascola il gregge in montagna, sente la voce di Dio che gli chiede di
liberare il suo popolo. In quel momento vede anche un roveto ardente che brucia senza consumarsi. Mosè si reca allora dal faraone
per chiedere la liberazione degli ebrei, ma il faraone rifiuta dieci volte. In risposta, Dio punisce gli egizi con dieci piaghe: l’acqua
mutata in sangue, le rane, le zanzare, le mosche velenose, la morte del bestiame, le ulcerazioni, la grandine, le locuste, le tenebre,
la morte dei primogeniti. Messo alle strette, il faraone lascia partire gli ebrei, ma poi si pente e li insegue con l’esercito, cercando
di intrappolarli con le spalle al mare. Israele riesce a vincere la paura e, affidandosi alla parola di Dio, entra nel mare. Dio permette
a Mosè di aprire le acque, che si richiudono poi sugli egiziani, annegandoli. Dal punto di vista scientifico, questo evento si può
spiegare con il fenomeno dell’alta e bassa marea: plausibile perché l’esercito egiziano sarebbe passato di lì qualche ora dopo il
popolo d’Israele.
Nascita di un popolo
Il passaggio del Mar Rosso rappresenta simbolicamente una nascita, o meglio una rinascita, per coloro che erano schiavi in
Quel popolo ora diventa soggetto della propria storia e del proprio cammino verso la libertà.
Egitto.
Nascita di un soggetto
Il racconto dell’Esodo Anche
è una parabola del vivere: vivere significa nascere, ma anche morire a ciò che si era prima.
quando si intuisce la possibilità di essere liberi, serve fatica per raggiungerla e non bisogna rassegnarsi o tornare indietro. Per un
bambino, nascere significa accettare il rischio dell’ignoto e della morte, scegliendo tra due morti: restare nel grembo materno o
affrontare il rischio dell’ignoto. Il nascituro sceglie l’unica via che offre una possibilità di vita, così come Israele sceglie di entrare
nel mare, piuttosto che tornare tra le braccia del faraone. È essenziale imparare a vivere come soggetti, in base al proprio
desiderio: ciascuno deve desiderare di diventare se stesso, senza restare incatenato alle imposizioni degli altri. Essere liberi
significa essere soggetti a se stessi. L’audacia di rischiare verso l’ignoto viene da Dio: il nome “Yahweh” deriva in ebraico
dal verbo essere Dio sarà sempre con il suo popolo per aiutarlo a realizzarsi e diventare se stesso.
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Parole per un’alleanza che faccia vivere in libertà
L’alleanza che il popolo d’Israele stringe con Dio permette di vivere bene, se si rispettano le dieci parole. I divieti in esse
contenuti definiscono il contesto entro cui il popolo, liberato dalla schiavitù, assume la responsabilità del proprio cammino. Le
dieci parole orientano verso la pienezza di vita e accompagnano sulla strada della libertà. Questo non significa che non ci
Le dieci parole
saranno difficoltà, ma che tali difficoltà vanno affrontate con serenità, perché fanno parte della vita.
conducono alla libertà, una delle tre dimensioni fondamentali dell’essere umano, insieme alla felicità e alla verità. Ecco le parole:
Prima Parola: “Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altri dèi di fronte a me.” Dio pronuncia una parola di auto-rivelazione: si
presenta come colui che è intervenuto nella storia del popolo d’Israele, liberandolo dalla schiavitù, stipulando un’alleanza, e
conducendolo verso una terra fertile e colma di beni. Tuttavia, la permanenza in quella terra era subordinata alla fedeltà del
popolo alle clausole dell’alleanza. Questa auto-definizione divina è una delle affermazioni più rivoluzionarie della storia umana:
introduce l’idea di un Dio unico, sovrano su tutto ciò che esiste, non soltanto Dio d’Israele, ma Dio di tutti gli uomini e di tutti i
popoli. che nasce proprio in Israele, in un contesto prevalentemente politeista. Prima ancora, però,
È l’origine del monoteismo,
vi era una forma di la convinzione dell’esistenza di più divinità, ma con l’adorazione esclusiva di una sola. Questa
monolatrismo:
prima Parola parla di una libertà sovrana: è il Signore, Adonai, che libera il suo popolo, ed è grazie alla sua esistenza che Israele
può esistere. Il comando di non avere altri dèi “di fronte” o “al posto” di lui si collega anche al divieto di fabbricare immagini: Dio
rifiuta di essere rappresentato con forme visibili da venerare, perché ogni immagine umana rischia di diventare un’illusione, un
idolo, e quindi una falsificazione. Le rappresentazioni di Gesù, nel cristianesimo, sono tentativi di rendere contemplabile
l’invisibile: colui nel quale Dio stesso ha preso una forma visibile. Ma questo non vale per Dio Padre, che resta irrappresentabile.
Un episodio significativo è quello del Quando Mosè scende dal monte Sinai, dopo quaranta giorni di dialogo con
vitello d’oro.
Dio, trova il popolo che ha costruito e sta adorando un vitello d’oro, fuso con l’oro a loro disposizione. È un tentativo di dare
un’immagine a Dio, riconoscendo sì che li ha liberati, ma piegando quella immagine al proprio desiderio e bisogno. È un caso
emblematico di idolatria: voler vedere subito, possedere, controllare Dio attraverso un’immagine visibile. Questa dinamica è
molto attuale: oggi, il vitello d’oro può rappresentare il sistema economico, dove il denaro è diventato fine e non mezzo,