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Riassunto – La scelta di campo dell’Italia

Alla fine degli anni Quaranta, l’Italia scelse di schierarsi con l’Occidente, superando il

neutralismo di alcuni esponenti della DC. Grazie anche agli aiuti del Piano Marshall, nel

1949 aderì alla NATO, nonostante l’opposizione delle sinistre. Successivamente, il paese

ottenne la riabilitazione internazionale con l’ingresso nell’ONU nel 1955 e la partecipazione

alla fondazione della Comunità Economica Europea (CEE) nel 1957.

Negli anni Cinquanta l’Italia sviluppò una diplomazia autonoma, stringendo relazioni con

paesi nordafricani e asiatici, favorendo così l’espansione dell’ENI guidato da Enrico Mattei,

che competette con le grandi multinazionali petrolifere. Questa politica estera, chiamata

“neo-atlantismo”, combinava il legame con gli USA con una certa autonomia verso i paesi

arabi, sostenuta da Amintore Fanfani e dalla sinistra della DC, suscitando però

preoccupazioni negli Stati Uniti.

Riassunto – Il miracolo economico italiano

Negli anni Cinquanta l’Italia visse un periodo di crescita straordinaria, trasformandosi da

paese rurale a società industriale. Questo boom economico fu favorito dall’inserimento nella

ripresa internazionale, dalla partecipazione al Mercato Comune Europeo, dal sostegno

statale alle imprese e dall’energia disponibile. Anche la manodopera a basso costo e la

riduzione delle tariffe doganali contribuirono alla crescita.

L’industrializzazione si concentrò su settori come autoveicoli, meccanica di precisione e

materie plastiche, con grandi imprese private (FIAT, Edison) affiancate da importanti aziende

pubbliche come l’IRI e l’ENI. La Costituzione italiana, pur tutelando l’iniziativa privata,

prevedeva un forte intervento statale per l’interesse collettivo.

Tuttavia, il miracolo economico mostrò forti disuguaglianze regionali: il Nord si industrializzò

rapidamente, mentre il Sud rimase arretrato. Il fallimento della Cassa per il Mezzogiorno

portò a una massiccia migrazione interna dal Sud al Nord, causando spopolamento delle

campagne meridionali e problemi di integrazione nelle città settentrionali.

Riassunto – La stagione del centrosinistra

Negli anni ’50, con le difficoltà del centrismo evidenti dopo le elezioni del 1953, Amintore

Fanfani avviò il progetto politico del centrosinistra, che puntava a coinvolgere

progressivamente i socialisti nel governo, distanziandoli dal PCI. Durante la seconda

legislatura (1953-1958) si preparò a lungo questa svolta, mentre i governi DC alternavano

riformisti come Fanfani e conservatori come Scelba, senza però realizzare riforme

significative. Nel 1954, un successo importante fu il ritorno di Trieste all’Italia.

La terza legislatura iniziò in continuità, ma nel 1960 il governo monocolore DC guidato da

Tambroni ottenne la fiducia grazie all’appoggio del partito neofascista MSI. Ciò provocò

proteste violente in diverse città, in particolare a Reggio Emilia, dove morirono cinque

persone. A causa della pressione popolare Tambroni si dimise dopo quattro mesi.

Nel 1960 Fanfani formò un nuovo governo con un programma gradito ai socialisti, che

votarono con astensione, aprendo la strada al centrosinistra. Anche l’ascesa di papa

Giovanni XXIII nel 1958, e il Concilio Vaticano II del 1962, contribuirono a creare un clima

favorevole di rinnovamento sociale e politico.

Riassunto – L’avvio del centrosinistra

L’apertura al centrosinistra, approvata anche dagli Stati Uniti, divenne l’unica via per

governare il complesso scenario politico italiano. Il progetto aveva due obiettivi principali:

modernizzare lo Stato secondo le nuove esigenze economiche e ampliare il consenso verso

le istituzioni.

Il primo governo di centrosinistra (1962-1963) fu formato da DC, PRI e PSDI, con l’appoggio

esterno del PSI. In questo periodo furono attuate due importanti riforme:

​ •​ La nazionalizzazione dell’energia elettrica, con la creazione dell’ENEL;

​ •​ L’istituzione della scuola media unificata, che portò l’obbligo scolastico a 14

anni e superò la distinzione tra istruzione generale e professionale.

Nel 1963 iniziò la fase del centrosinistra organico, con la partecipazione diretta del PSI al

governo. Fino al 1968 i governi furono guidati da Aldo Moro, con Pietro Nenni

vicepresidente. Tuttavia, rispetto alla fase iniziale più riformista, con Moro prevalse l’obiettivo

della stabilità politica.

Riassunto – Il fallimento del centrosinistra

A partire dal 1963, il centrosinistra entrò in una fase di immobilismo politico causato dal

rallentamento dell’economia e dall’opposizione della destra democristiana. L’Italia iniziava a

entrare in una fase recessiva, che avrebbe segnato gli anni Settanta.

Nel 1964 emerse un tentativo eversivo, noto come “piano Solo”, organizzato dal generale

Giovanni De Lorenzo con l’intento di attuare un colpo di Stato militare, mai realizzato ma

confermato da un’inchiesta parlamentare nel 1968.

Inoltre, il crescente uso clientelare della spesa pubblica e la nascita di rapporti illeciti tra

partiti, burocrazia e interessi privati alimentarono fenomeni di corruzione, contribuendo al

fallimento definitivo dell’esperienza del centrosinistra.

Riassunto – Il nuovo orientamento del PCI e le elezioni del 1968

Durante l’isolamento politico dovuto all’alleanza tra DC e PSI, il PCI riformulò la propria

strategia proponendo una “via italiana al socialismo”, cioè una transizione al socialismo

attraverso riforme democratiche e nel rispetto del Parlamento e del pluralismo, in linea con

l’URSS.

Alle elezioni politiche del maggio 1968, sia PCI che DC ottennero un aumento dei consensi,

segnando una polarizzazione dell’elettorato tra i due grandi partiti, mentre i socialisti

subirono un netto calo.

Riassunto – Il Sessantotto in Italia

Alla fine degli anni ’60, in un clima di sfiducia verso i governi di centrosinistra (guidati da

Moro, Rumor e Colombo), esplose in Italia una forte mobilitazione studentesca, innescata da

frustrazione sociale e insoddisfazione politica.

Il movimento del Sessantotto, nato tra fine 1967 e inizio 1968, fu guidato da giovani

universitari che non avevano vissuto la guerra e cresciuti in un contesto di scolarizzazione di

massa. In Italia, la protesta assunse un carattere ideologico, marxista e antiborghese.

Le proteste iniziarono in atenei come Torino, Milano, Trento e Roma, con occupazioni,

assemblee e “contro-corsi”, estendendosi poi alle scuole superiori. Le rivendicazioni non si

limitarono all’ambito accademico (contro autoritarismo e selezione scolastica), ma si

estesero a rapporti sociali e familiari, portando a una trasformazione culturale in senso

libertario, soprattutto nei costumi e nella vita privata.

Riassunto – L’“autunno caldo”

Tra il 1968 e il 1969, la protesta studentesca si unì a quella operaia, dando vita a una

stagione di forti lotte sindacali e sociali, ispirate a ideali egualitari e anticapitalisti.

Il momento culminante fu l’“autunno caldo” del 1969, quando un milione e mezzo di

metalmeccanici scioperarono per il rinnovo dei contratti. Oltre alle rivendicazioni salariali, si

chiedevano anche consigli di fabbrica, una nuova organizzazione del lavoro e migliori

condizioni ambientali. I sindacati CGIL, CISL e UIL riuscirono a guidare la protesta in modo

costruttivo, ottenendo aumenti salariali e importanti riforme.

Il risultato più significativo fu lo Statuto dei lavoratori (1970), che garantì diritti sindacali,

tutele per i lavoratori e agevolazioni per i lavoratori studenti. Iniziò così una fase di forte

influenza dei sindacati nella vita politica e sociale.

In parallelo, nacquero i movimenti extraparlamentari di estrema sinistra (es. Potere Operaio,

Lotta Continua, Avanguardia Operaia), in rottura con i partiti tradizionali, accusati di

burocratizzazione e conformismo al sistema.

Riassunto – L’ultima ondata di riforme e l’inizio degli “anni di piombo”

Dopo le elezioni del 1968 e le proteste sociali, il governo varò alcune riforme importanti ma

non organiche: nel 1970 furono liberalizzati gli accessi universitari, istituite le regioni con

giunte e assemblee elettive e, su iniziativa della sinistra, venne approvata la legge sul

divorzio, nonostante l’opposizione della DC.

Questi provvedimenti avvennero però in un clima di instabilità politica e crescente tensione

sociale. In questo contesto emersero gruppi neofascisti che tentarono di destabilizzare lo

Stato. Il 12 dicembre 1969 una bomba esplose a Milano, nella Banca Nazionale

dell’Agricoltura: fu la strage di piazza Fontana (17 morti, oltre 100 feriti), che segnò l’inizio

degli “anni di piombo” e della strategia della tensione.

Inizialmente fu seguita una pista anarchica, ma in seguito emerse la responsabilità

dell’estrema destra, intenzionata a creare un clima di paura per spingere lo Stato verso

svolte autoritarie, mettendo a rischio la democrazia.

Riassunto – Il pericolo sovversivo neofascista e la crisi politica degli anni ’70

Nel 1970 si ripresentò il pericolo del sovversivismo neofascista con la rivolta di Reggio

Calabria, scoppiata per la mancata nomina della città a capoluogo regionale. Le proteste,

guidate dal MSI, rischiarono di trasformarsi in un’insurrezione, richiedendo l’intervento

militare.

A Roma, per rassicurare i moderati preoccupati dalle tensioni sociali, fu formato un governo

centrista guidato da Giulio Andreotti (DC, PSDI, PLI). Nel 1973 si tornò formalmente al

centrosinistra, ma ormai privo di contenuti concreti.

Intanto cresceva l’indignazione popolare per gli scandali politici: nel 1974 emerse un caso di

tangenti da parte di compagnie petrolifere verso i partiti di governo. Il Parlamento reagì con

una legge sul finanziamento pubblico dei partiti, che però non migliorò il clima politico né

fermò la corruzione.

Riassunto – Le trasformazioni politiche e sociali degli anni Settanta

Gli anni Settanta si aprirono con governi deboli e una profonda crisi morale, ma furono

segnati da importanti riforme:

​ •​ 1974: il referendum sul divorzio confermò la legge del 1970, con il 60% di voti

contrari all’abrogazione.

​ •​ 1975: il nuovo diritto di famiglia sancì la parità tra coniugi e abolì la distinzione

tra figli legittimi e naturali. Inoltre fu abbassata la maggiore età da 21 a 18 anni.

​ •​ 1978: venne approvata la legge sull’aborto, che legalizzava l’interruzione

volontaria della gravidanza e istituiva i consulto

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

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