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Nel 403 a.c. viene ma sarà
debole e talvolta dispotica
Nel IV sec. a.c. è Tebe ad imporsi come nuova potenza egemone
Atene ridimensiona ulteriormente il suo peso politico con l’ascesa
Filippo II, battaglia di
di re di Macedonia che nel 338 a.c. nella
Cheronea sconfigge i tebani e gli ateniesi segnando l’inizio della
supremazia macedone sul mondo greco. Questa supremazia poi si
Alessandro, Magno
consoliderà con il figlio, detto (356-323 a.c.),
che creerà un vasto impero fino a Oriente
scena filosofica
Le figure che dominano la di questa epoca sono
legate profondamente alla vita politica della città di Atene. Sotto il
governo di Pericle la dimensione pubblica diviene il campo di una
competizione aperta a tutti, una grande partita in cui vince chi sa
comunicare. sofisti,
In questo contesto si diffonde la figura dei
maestri nell’uso del linguaggio e della comunicazione.
Con il declino di Pericle e della democrazia emerge la
consapevolezza che l’arte di comunicare e persuadere gli altri può
essere usata anche per ingannare e corrompere
I SOFISTI
Il termine sofista:
-dal greco sophistés: letteralmente sapiente
- Nella Grecia arcaica era sinonimo di saggio e alludeva ad un uomo esperto,
conoscitore di tecniche particolari e dotato di vasta cultura
- Nel V secolo a.C. cominciano ad essere chiamati sofisti quegli intellettuali che della
loro sapienza facevano una professione, insegnandola dietro compenso: fatto che nella
mentalità aristocratica appariva scandaloso
- Saranno soprattutto Aristotele e Platone a demonizzare culturalmente i sofisti,
giudicandoli falsi sapienti, interessati più ai soldi che alla verità. Marchiati, soprattutto
da Platone, come pseudo-filosofi, lo stesso termine diverrà sinonimo di cavillatore,
che conduce ragionamenti sottili, capziosi ma che sono solo in apparenza veri
- In realtà i sofisti furono dei sapienti, dei saggi, filosofi che nella Grecia del V sec. a.c.
, in particolare nelle poleis, insegnavano ai giovani ragazzi che insegnavano filosfia,
techinche di oratoria, l’ars retorica, insegnavano a parlare bene e a convincere.
Insegnavano a comunicare sostenendo le proprie tesi. Non erano cavillatori in mala
fede, fautori di ragionamenti capziosi. Erano saggi che mettevano al centro della
propria indagine l’uomo, la polica, l’uomo nella poleis.
-Non costituirono una scuola compatta. Si dividono due generazioni:
-
la prima generazione: Protagora, Gorgia, Prodico, Ippia, Antifonte
-
la seconda generazione: gli “eristi”.
Dal mondo della natura al mondo dell’uomo
I CARATTERI DELLA SOFISTICA
Dal mondo della natura al mondo dell’uomo: la sofistica si presenta
- movimento
come un piuttosto che una vera scuola di pensiero e con essa
svolta il
assistiamo ad una nuova, grande nella storia della filosofia:
mondo della natura cessa di essere l’oggetto principale dell’indagine
filosofica e il suo posto viene preso dal mondo dell’uomo. I sofisti
mettono al centro della loro riflessione l’uomo, la sua civiltà, la sua
cultura, le sue istituzioni, le sue attività, le sue azioni, abbandonando la
ricerca sul mondo fisico come non importante e non concludente. Questo
li differenzia chiaramente dai presocratici
- La democrazia rappresenta il presupposto e lo spazio operativo dei
sofisti: vivere attivamente in democrazia significa “partecipare ad
assemblee, prendervi la parola, far valere con un efficace discorso la propria
opinione”, sapersi esprimere bene, avere insomma l’arte della dialettica e
dell’eloquenza, della retorica. I sofisti si ritenevano sapienti nel senso
antico del termine, cioè nel senso di abili nell’attività tipicamente umana
del vivere insieme, capaci nelle competizioni civili: e questo insegnavano
dell’Atene del V secolo a.C.:
(È mutato il contesto storico - politico Atene era
uscita vittoriosa dallo scontro con i persiani, era entrata in crisi l’aristocrazia e la
potenza della borghesia cittadina si era accresciuta, i traffici e i commerci si
stavano espandendo ma soprattutto la democrazia si consolida sempre più: con
Pericle vive il suo periodo d’oro).
della dicotomia vero/falso:
-negazione quello che Platone vedeva come il limite
più grande della sofistica, e cioè la mancata tensione verso la verità, era invece
negavano
orgogliosamente rivendicato dai sofisti come un merito: essi, infatti,
che la distinzione tra vero e falso avesse valore assoluto, e ritenevano in
vero/falso
particolare che fosse priva di fondamento nelle cose. Alla dicotomia
bene/male
(in campo logico), e alle correlate dicotomie (in campo morale) e
giusto/ingiusto (in campo politico), sostituivano quella più pragmatica di
utile/dannoso. Essi cioè ritenevano che in se stesse le cose (sia gli oggetti
naturali, come gli uomini e i gatti, sia quelli artificiali, come i libri e le azioni
degli uomini) non sono vere o false, buone o malvagie, giuste o ingiuste, ma solo
utili o dannose per noi uomini
Il criterio dell’utile per noi e il relativismo:
- Per i sofisti, quando era
criterio dell’utile-per-noi
necessario prendere una decisione il funzionava
meglio dei presunti criteri del vero, del bene o del giusto. Dopo aver
stabilito come relative e non assolute le basi concettuali di un qualsiasi
sistema di valori, adottando il criterio dell’utile-per-noi, i sofisti
accettavano la possibilità che esistessero dei valori validi per tutti: il
valore oggettivo non era un qualcosa che si imponeva da se a tutti, ma
solo qualcosa su cui tutti (o quasi tutti) potevano convenire, una volta
accettato di con- dividere un determinato punto di vista.
relativismo valore solo
Il e una concezione filosofica che riconosce un
parziale e relativo, e quindi non oggettivo e universale, sia alla
conoscenza umana, sia ai principi e ai giudizi etici (nel primo caso si tratta
di “relativismo gnoseologico”, nel secondo di “relativismo morale”).
La negazione da parte dei sofisti dell’esistenza di una verità assoluta delle cose significa
in sostanza che non abbiamo dei criteri universali e necessari (cioè validi per tutti e
sempre) per poter distinguere il vero dal falso, o il bene dal male e il giusto dall’ingiusto
Ma le conseguenze più evidenti della negazione dell’esistenza di verità assolute e
universali sono date dalle critiche serrate che i sofisti rivolgono alle concezioni
tradizionali in materia di storia, politica e religione, e dall’avvio di una riflessione
linguaggio,
sistematica sul lo strumento più importante nella vita associata dell’uomo. La
politica e la religione tradizionali presupponevano, infatti, una comune visione della
realtà e della vita che si basava su una certa nozione di natura e di storia e su quelle
nozioni di vero, bene e giusto che i sofisti mettevano appunto in discussione. Per parte
sua il linguaggio, nella concezione tradizionale, aveva co- me sua funzione principale
quella di descrivere la realtà per come e, cioè di “dire il vero”. I sofisti, dunque,
metteranno in luce tutta l’ambiguità e la potenza della parola, in grado di affermare una
tesi e al tempo stesso il suo contrario, suggestionando e manipolando la mente e l’animo
degli uomini.
PROTAGORA
-Il più importante esponente della sofistica
-Originario di Abdera, soggiornò più volte ad Atene, da
dove dovette allontanarsi a causa delle sue idee in fatto
di religione
•
LA DOTTRINA DELL’UOMO-MISURA
-”l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono
in quanto sono, delle cose che non sono in quanto
non sono” = l’uomo è il METRO, cioè il criterio di
giudizio della realtà o della irrealtà delle cose, del loro
modo di essere
-interpretazioni su questa dottrina:
1) Interpretazione divenuta tradizionale e che risale a
Platone: intende per uomo, l’uomo singolo e per cose
gli oggetti percepiti tramite i sensi.
= le cose appaiono diversamente a seconda di chi le
percepisce e del suo stato fisico e psichico. Tante teste
e tante misure
2) Interpretazione che attribuisce alla parola “uomo” il
significato universale di “umanità” o “natura umana”
e alla parola “cose” il significato di realtà in generale”
= gli individui giudicano la realtà tramite parametri
comuni, tipici della specie razionale
3) Interpretazione che intende l’uomo quale gruppo
sociale e cose, i valori e gli ideali che ne stanno alla
base
= ogni uomo intenderebbe la realtà a partire dalla
mentalità del gruppo sociale di appartenenza
-forse è vera la combinazione di queste interpretazioni: l’uomo di Protagora è misura
delle cose a vari “livelli” della propria umanità: in primo luogo come singolo, poi
come comunità e infine come specie
= egli giudica la realtà a seconda della propria specifica conformazione psicofisica, a
seconda dei parametri della società in cui vive e a seconda della specie cui appartiene
-le cose non sono solo gli oggetti sensibili, ma anche i valori, i progetti di vita, la
realtà. L’uomo è misura delle cose con cui entra in rapporto
→ La posizione di Protagora è dunque una forma di:
• UMANISMO : l’uomo misura delle cose, giudice che afferma o nega la realtà
• FENOMENISMO : non si ha a che fare con la realtà così com’è ma con «fenomeni»,
ossia con la realtà quale appare a noi. Dal verbo greco pháinomai «appaio»
• RELATIVISMO: non esiste una verità assoluta, né dal punto di vista etico, né dal
punto di vista logico, né dal punto di vista gnoseologico
La disputa verbale e il criterio dell’utile
IL relativismo morale che caratterizza il pensiero di Protagora emerge con particolare
forza anche in uno scritto anonimo risalente probabilmente alla prima metà del IV
secolo a.c. intitolato Ragionamenti doppi (Dissói lógoi) IN questo testo ci si
propone di dimostrare che di una qualunque cosa si può dire che è buona o cattiva,
bella o brutta, giusta o ingiusta
“ Ragionamenti doppi intorno al bene e al male vengono sostenuti in Ellade da parte di coloro
che seguono la filosofia. Infatti gli uni dicono che altro è il bene, altro è il male; altri che bene e
male sono la stessa cosa, o che la stessa cosa sarebbe per lo stesso individuo ora bene ora male.
Quanto a me io abbraccio il punto di vista di questi ultimi e ne cercherò le prove nella