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La filosofia di Schopenhauer

Schopenhauer costruisce la propria filosofia intorno alla "cosa in sé", che viene dunque a delinearsi come un tentativo di descrivere quella cosa in sé per Kant inconoscibile sul piano teoretico. Ed è per questo motivo che la filosofia di Schopenhauer si colloca a metà strada tra l'arte e la scienza. La filosofia però è superiore alla scienza perché, a differenza di essa, sa cogliere la "cosa in sé", ma è anche superiore all'arte perché, oltre a cogliere la "cosa in sé", le dà una veste razionale. Si tratta di una volontà irrazionale, che non consiste nel seguire la legge morale dettata dalla ragione, ma piuttosto nel desiderare cibo e bevande, e per questo è corretto affermare che il corpo, più che avere desideri ed impulsi, è lui stesso la somma degli impulsi e dei desideri. La volontà, in un certo senso, può essere letta come

una sorta di desiderio mediato, poiché quando si vuole qualcosa è un modo mediato dall'intelletto per soddisfare i desideri irrazionali del corpo. Schopenhauer sostiene che dal momento che la mia volontà è uguale a quella di tutti gli altri uomini poiché sono a me simili, posso anche dire che gli animali, le piante e gli oggetti mi sono in qualche modo simili e che dunque, anche la loro essenza profonda è volontà, cosicché tutto il mondo è volontà. La grande novità è che questa volontà è radicalmente negativa. Fatte queste puntualizzazioni, è bene ricordare come Schopenhauer cerchi di stroncare subito possibili fraintendimenti della sua filosofia: quando egli dice che la volontà che ognuno scopre in sé è uguale in tutto il mondo, non intende dire che gli oggetti inanimati hanno un qualcosa di analogo in tutto e per tutto alla mia volontà, il fatto è che,

dice Schopenhauer, in assenza di una parola che possa designare questo principio che governa l'intera realtà, non resta che usare il nome della parte per nominare il tutto, vale a dire che quel principio, che nell'uomo si manifesta come volontà, lo chiameremo in generale "volontà" per indicarlo tanto negli animali quanto nelle cose, pur sapendo che non è la stessa cosa. Perciò anche gli animali, nel momento in cui tendono al cibo, hanno volontà e anche le piante quando si protendono per captare i raggi solari, perfino le cose quando, lasciate, cadono al suolo, rivelano una volontà. Il succo del discorso è che la volontà, principio negativo che permea la realtà, è una sola ed è la stessa e si esplica in modi diversi. Sorge spontaneo chiedersi come Schopenhauer possa affermare che la volontà sia una sola. Il filosofo risponde affermando che a far sì che una cosa sia se stessa enon le altre sono lo spazio, il tempo e i rapporti di causalità: posso infatti dire che il libro posato sul tavolo è se stesso poiché è in un tempo e in uno spazio diversi da quelli delle altre cose. Ma tale volontà, oltre ad essere una, è anche irrazionale: e con quest'affermazione Schopenhauer capovolge l'atteggiamento tipico della filosofia occidentale, atteggiamento che trova la sua massima espressione in Hegel e nella sua convinzione che la ragione costituisca l'essenza profonda della realtà, per cui gli elementi irrazionali altro non sarebbero se non manifestazioni indirette e accidentali della razionalità stessa. Per Schopenhauer è l'esatto opposto: l'essenza profonda della realtà è irrazionale e gli elementi di razionalità che ci sembra di poter cogliere non sono null'altro che manifestazioni esteriori. La volontà sfugge ad ogni razionalità, poiché nonvuole nulla che sia riconducibile alla ragione: vuole semplicemente vivere, esistere, e per far ciò cerca di utilizzare tutti gli strumenti possibili, tra cui l'intelletto e la ragione. In altri termini, gli istinti e gli organi di un animale sono espressione della volontà di vivere: le zanne e gli artigli delle tigri sono gli strumenti che la volontà usa nella tigre per esistere. E questa stessa volontà si manifesta diversamente a seconda dell'individuo in questione: nell'uomo, ad esempio, si manifesta nelle facoltà razionali, per cui ragione e intelletto sono gli strumenti da essa adottati per esistere. Un'altra importante considerazione: dal momento che solo razionalmente ci si possono porre degli obiettivi, ne consegue che la volontà, dal momento che è irrazionale e quindi priva di obiettivi, non può mai essere soddisfatta, e si configura pertanto come un continuo tentativo di affermarsi, tentativo presente anche nell'uomo.

il quale si pone degli obiettivi razionali ma, non appena li realizza, è preso dal desiderio di realizzarne di nuovi, quasi come se dietro questi obiettivi razionali si camuffasse la volontà irrazionale. Finchè non si è raggiunto l'obiettivo desiderato si soffre, quando lo si è raggiunto ci si annoia e ci si pone pertanto dei nuovi obiettivi. Occorre però fare una precisazione, altrimenti non si spiega come la volontà sia unica ma l'intelletto la veda molteplice: dobbiamo tener presente che l'intelletto stesso è, come ogni altra cosa, una manifestazione della volontà ed è, più precisamente, la volontà che grazie ad esso si illude, quasi come se vivesse uno sdoppiamento di personalità. In altri termini, il fatto che l'intelletto frammenti la volontà fa sì che, in un certo senso, la volontà sia per davvero frammentata e finisca per riconoscersi solo nelle sue manifestazioni.

quasi come se si scordasse di essere un tutto. Neconsegue che ciascuna manifestazione della volontà, non riuscendo a capire di essere solo una parte della volontà stessa, riconosce solo se stessa come volontà, mentre vede tutte le altre cose come strumenti per sopravvivere, non come altre manifestazioni della stessa volontà. La volontà, infatti, cerca di esistere in ogni singola manifestazione (dall'uomo alla pietra) e per vivere la volontà, ingannata dall'intelletto, lo fa a danno di tutte le altre manifestazioni, cosicché ogni manifestazione danneggia le altre per il solo fatto di essere venuta al mondo, infatti, per affermarsi, ogni ente lotta e aggredisce tutti gli altri ("gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici"). Da qui caturisce il pessimismo di Schopenhauer, che affonda le sue radici nell'idea che la volontà è profondamente sofferente (e questo vuol dire che

l'intero universo è sofferente) poiché non ha un obiettivo e si manifesta in tanti modi diversi che altro non sono se non illusioni. Si potrebbe uscire dalla condizione di dolore se si pensasse che la volontà è insita solo negli uomini e negli animali: basterebbe essere vegetariani, ma, poiché la volontà investe ogni realtà, anche chi mangia solo ortaggi è in lotta con la volontà. Il mondo è una lotta di tutto contro tutto, e la vita stessa di un uomo è una specie di lotta per tenere insieme tutti i "pezzi". Nemmeno con il suicidio si può uscire da questa situazione di dolore: eliminare noi stessi altro non è se non ritornare alla volontà, cosicché il suicidio non è una rinuncia alla volontà, ma ne è anzi un'affermazione più potente. La via d'uscita da questa situazione, dice Schopenhauer, consiste in un percorso di conoscenza che mifaccia capire che ciò che mi sembra altro rispetto a me in realtà non lo è. Schopenhauer dice che tre sono le cose da conoscere: 1) la sofferenza, 2) la causa della sofferenza, 3) le vie per uscirne. Dopo aver tratteggiato la sofferenza e le sue cause, resta ora da descrivere la via per uscirne: non può essere il suicidio, né il vegetarianismo e neanche la politica. Quest'ultima, infatti, non si occupa della condizione umana nello specifico, ma cerca solo di dare momentanei sollievi. Così si spiega perché Schopenhauer non nutrì mai grandi interessi per la politica (collocandosi però su posizioni conservatrici) e guardò sempre con sospetto il movimento socialista che stava allora nascendo. A questo punto si entra nel terzo libro, in cui si delinea una nuova forma di rappresentazione del mondo: l'estetica. Schopenhauer risulta, in quest'ambito, particolarmente influenzato dal pensiero di Platone e dalla suama solo una copia imperfetta e illusoria. Schopenhauer, invece, sostiene che l'arte è in grado di rivelare l'essenza delle idee attraverso la sua rappresentazione sensibile. L'artista, quindi, non imita l'idea, ma la interpreta e la esprime in modo unico e personale. In questo modo, l'opera d'arte diventa un mezzo per comunicare e condividere l'esperienza estetica con gli altri.ma del mondo sensibile (che dell'idea è pallida copia), cosicché l'opera d'arte è copia di una copia. Schopenhauer, dal canto suo, concepisce l'opera d'arte come rappresentazione dell'idea e non del mondo sensibile, accostandosi in questo modo ad Hegel e distanziandosi da Platone: resta ora da capire che cosa si debba intendere per "idea". Come si è detto, la realtà profonda è volontà e ciò che ci circonda ne è una manifestazione illusoria, e questa concezione schopenhaueriana secondo la quale, accanto ad una realtà profonda tendenzialmente unitaria, vi sia una realtà molteplice ed illusoria sa molto di platonico, pur essendo negativo il principio posto al vertice. Tuttavia, se per Platone la realtà era una piramide al cui vertice stava l'idea del Bene e più si scendeva e più la realtà tendeva a frantumarsi, per Schopenhauer, invece, al verticedella realtà c'è la volontà unitaria, alla base c'è la moltiplicazione indefinita e illusoria della volontà e a metà strada c'è una moltiplicazione parziale costituita dal mondo delle idee. Il discorso schopenhaueriano è interessante da analizzare.
Dettagli
Publisher
A.A. 2008-2009
7 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher luca d. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze Storiche Prof.