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LE PROSE
Nel 1897 Pascoli pubblica lo scritto principale sulla propria poetica
“Il Fanciullino”.
Il testo è suddiviso in 20 brevi capitoli che sono una specie di
dialogo tra il poeta e la sua anima di fanciullino che sopravvive
accanto alla coscienza di uomo adulto e maturo.
Spesso questo fanciullino è soffocato e ignorato dal mondo esterno
degli adulti, ma se si risveglia allora ci fa sognare a occhi aperti, ci
fa scoprire il lato misterioso di ogni cosa, ci fa volare con la fantasia
verso mondi meravigliosi proprio come nel tempo dell’infanzia.
Il fanciullino osserva la realtà con una prospettiva rovesciata: le
cose grandi le vede piccole, le cose piccole le ingrandisce ed il suo
giudizio è molto diverso da quello degli uomini adulti perché è
estintivo ed intuitivo e non condizionato dalla cultura.
Il fanciullo non è una condizione anagrafica, ma una condizione
interiore: rappresenta la natura pura e ingenua, candida e
innocente che nella psicologia di un individuo può conservarsi
anche in età avanzata. L’individuo cresce e invecchia, ma il
fanciullino rimane sempre piccolo dentro di lui “piange e ride senza
perché”.
Chiunque riesca a conservarsi fanciullo può guardare la realtà con
stupore ed entusiasmo, sentire le voci segrete della natura che lo
commuovono e oltrepassare con la fantasia l'apparenza comune e
banale.
Le facoltà del fanciullino sono le stesse del sentimento poetico:
infatti per Pascoli il poeta è colui che, come il fanciullo, è in grado di
meravigliarsi ed intuire piuttosto che di ragionare.
Il poeta fanciullo rinuncia all'imitazione dei grandi scrittori del
passato, ma si ispira alle cose semplici e reali della natura.
Il poeta deve saper cogliere e descrivere le analogie e le
corrispondenze tra le cose semplici della natura.
Tra i simboli ricorrenti usati da Pascoli vi è quello del “nido”. Si
tratta sia di un’immagine reale che di una metafora:
Nido è la casa dove rifugiarsi per difendersi dalla malvagità
esterna;
Nido è la famiglia che ci difende dal mondo esterno;
Nido, per estensione, è la Patria, madre dei suoi figli.
La poetica del “nido”, pertanto, è il desiderio di Pascoli di ritornare
allo stato di fanciullo che è uno stato di sicurezza; è un modo di
mostrare la sua diffidenza verso il mondo esterno, volendo restare
chiuso e protetto nella cerchia dei familiari; è un modo di reagire
contro la civiltà industriale e borghese di fine Ottocento.
Legata al simbolo del nido è la figura della madre: la prima
custode dei riti e dei sentimenti di coloro che, vivi o morti,
appartengono al nido. Prolungamento del seno materno è la culla,
un’altra immagine di rifugio tranquillo e sicuro per il poeta.
Il male più grande per Pascoli è la dispersione del nido, quando si
deve lasciare la casa o quando muore un parente o quando
qualcuno si sposa. La vita stessa di Pascoli è la testimonianza di
questa incapacità di lasciare il nido e di vivere un’esistenza da
adulto.
Alla fine il nido pascoliano diventa un simbolo poetico
dell’inettitudine e dell’incapacità di vivere raffigurata da molti
scrittori del Novecento e le sue raccolte poetiche (Myricae ed i Canti
di Castelvecchio) raccontano il profondo disagio e la crisi
esistenziale dell’uomo di fine Ottocento.
Nell’ultimo capitolo del Fanciullino, Pascoli fa un bilancio conclusivo
sulla funzione della poesia che non deve avere finalità pratiche, ma
deve restare autonoma e separata e deve raccontarci la natura.
LO STILE E LE TECNICHE ESPRESSIVE
La poetica del fanciullino spinge Pascoli ad adottare uno stile
particolare:
in ambito fonico: ossia a livello del suono delle parole;
in ambito semantico: ossia a livello del significato delle
parole;
in ambito ritmico e metrico: ossia di struttura del verso;
in ambito sintattico: ossia di struttura del periodo;
in ambito retorico: ossia dell’uso delle figure retoriche.
Anche Pascoli come i maggiori poeti di primo Novecento voleva
costruire una sorte di “lingua speciale” per la poesia.
Sul piano fonico Pascoli fa largo uso dell’onomatopea ossia di parole
ed espressioni che riproducono un suono o un rumore particolare.
L’uso dell’onomatopea viene usato anche per creare suggestioni ed
evocazioni di realtà lontane, spesso percepite come ostili.
Il linguaggio usato è, a volte, raro e prezioso; a volte è molto
settoriale di qualche attività o mestiere, ricercando la massima
precisione; a volte è privo di grammatica, come quello dei bambini
o degli illetterati.
La metrica usata da Pascoli è quella tradizionale (il sonetto, la
terzina di endecasillabi danteschi) , però viene usata con ritmi del
tutto nuovi: spesso il verso è interrotto da punti esclamativi, da
puntini sospensivi, per simulare una voce fanciulla.
Anche la sintassi usata da Pascoli è collegata alla sua visione
soggettiva ed incerta della realtà: egli usa frasi ellittiche ossia
prive di soggetto o di verbo, ricorre alla coordinazione piuttosto che
alla subordinazione. I periodi sono brevissimi e si accavallano in
base all’analogia oppure a ciò che le parole suggeriscono.
Pascoli usa spesso l’analogia: i passaggi logici intermedi vengono
cancellati e così si accostano concetti che, apparentemente, non
hanno un nesso logico; il nesso è dato solo dall’immaginazione del
poeta.
Così come usa spesso la sinestesia che accosta parole e aggettivi
appartenenti a sfere sensoriali diverse e l’ossimoro ossia
un’associazione di parole ed aggettivi contrastanti.
LA GRANDE PROLETARIA SI E’ MOSSA
La grande proletaria si è mossa è un discorso pronunciato
da Giovanni Pascoli nel Novembre 1911 a Barga, in
occasione della campagna di Libia. E’ molto interessante
leggere le parole del poeta in riferimento a questo
avvenimento storico poichè svelano un Pascoli nazionalista
e fortemente interventista, difficile da conciliare con il
“socialista dell’umanità”, quale si definiva egli stesso.
Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come
un’esigenza necessaria alla sopravvivenza dei cittadini
italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati
oltremare e oltralpe, dopo anni di sfruttamento e ingiurie,
dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui
trarre il proprio sostentamento.
Inoltre l’Italia aveva bisogno di dimostrare il proprio
valore militare e la campagna di Libia sembrava
un’occasione ideale per potersi riscattare agli occhi
dell’Europa.
Pascoli cerca di descrivere la campagna di Libia come una
guerra difensiva e non di attacco. La Libia è descritta,
infatti, da Pascoli come un paese naturalmente favorevole
alla colonizzazione italiana, perchè vicina geograficamente
e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva