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Lorenzo de' Medici, ma anche un qualunque altro sovrano) e gli fornisce precetti sul modo migliore di governare e

di mantenersi saldo al potere, con un linguaggio spesso crudo e privo di infingimenti retorici o ipocrisie. Grande

attenzione è infine tributata al problema delle milizie mercenarie, fonte secondo Machiavelli della crisi politica

dell'Italia nel XVI sec. e da sostituire con milizie cittadine guidate dal principe in persona, benché in questo

Machiavelli dimostri alcuni limiti nella sua capacità di interpretare i cambiamenti sociali e politici della sua epoca,

specie l'evoluzione delle armi da fuoco e delle artiglierie.

I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

Statua di N. Machiavelli agli Uffizi

L'altro grande trattato di argomento storico-politico di Machiavelli nacque negli anni intorno al 1516-17, quando

lo scrittore (terminato il confino all'Albergaccio) frequentava i giardini di Palazzo Rucellai a Firenze, i cosiddetti "Orti

Oricellari" dove un circolo di intellettuali si raccoglieva intorno a Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti e coltivava

malcelate simpatie repubblicane: l'opera si intitola Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e si configura come una

serie di riflessioni sui primi dieci volumi degli Ab Urbe condita libri del grande storico latino, che l'autore

del Principe aveva letto con interesse e che cita indirettamente in molte altre opere. Il trattato, diviso in tre libri,

non ha la struttura salda e unitaria del Principe e presenta una serie di divagazioni dedicate al tema

delle repubbliche, così come la precedente opera si occupava delle monarchie; costante è il raffronto tra gli Stati

moderni e l'esempio dell'antica Roma, orientamento che porta l'autore a più di una forzatura e che sarà oggetto di

critiche da parte dell'amico Guicciardini, che scriverà anche un'operetta (le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del

Machiavelli) con la quale confuterà molte delle opinioni espresse da Machiavelli nel suo testo.

Nonostante il carattere per lo più disorganico, i Discorsi affrontano comunque alcuni nuclei tematici in cui si ritrovano

molti capisaldi del pensiero dell'autore, ovvero la politica interna e l'organizzazione delle repubbliche (I libro), la

politica estera e militare (II libro), l'analisi di alcune figure di grandi personaggi dell'antica Roma (III libro).

Riguardo alla politica interna Machiavelli analizza le dinamiche sociali dell'antica repubblica romana e individua il

conflitto fondamentale tra patrizi e plebei, da lui paragonato a quello tra aristocrazia e popolo minuto nella Firenze

del XIV-XV sec. e che fu risolto a Roma con una redistribuzione dei poteri che fu causa di progresso per lo Stato;

nel conflitto tra nobili e popolo afferma che il secondo non vuol essere oppresso, quindi è difficile per un sovrano

regnare senza l'appoggio popolare, per cui viene respinta l'idea di una monarchia assoluta (è lo stesso concetto

espresso in alcuni capitoli del Principe). Fondamentale per lui anche il ruolo della religione a Roma, dove essa era

vista come vincolo politico e civile, dunque come efficace instrumentum regni, laddove nel mondo medievale il

Cristianesimo allentò la coesione sociale dei Romani e fu la radice prima dello sfaldarsi dell'Impero; la religione deve

poi affiancarsi all'attività legislativa, poiché solo la legge può garantire l'ordine sociale ed evitare lo scivolamento

nell'anarchia (egli cita le figure di Romolo e Numa Pompilio come legislatori d'eccezione).

Riguardo alla politica estera la sua attenzione va alle conquiste degli antichi Romani e in particolare

all'organizzazione del loro esercito, che in età repubblicana era formato da cittadini-soldati e capeggiato da

funzionari dello Stato: è evidente che tale modello militare viene esaltato contro quello delle

soldatesche mercenarie del mondo moderno, che lui critica in quanto le considera inaffidabili e causa prima del

declino politico dell'Italia del Cinquecento (la visione è comunque viziata da errori di valutazione, a cominciare dal

paragone tra la Roma antica, città piccola e poco popolata, e gli Stati moderni assai più grandi e in cui il modello

romano è del tutto inapplicabile). Grande attenzione è riservata al rapporto virtù-fortuna, ripreso anche nel cap.

XXV del Principe, con l'affermare che le conquiste di Roma furono dovute più alle virtù militari di consoli e soldati

che non al caso e tale tema si collega anche al contenuto del terzo libro, in cui vengono esaminate alcune importanti

figure di personaggi romani (Furio Camillo, i Fabi, Attilio Regolo...) additati come modelli da imitare da parte dei

moderni. Interessante anche la riflessione circa le teorie dello storico greco Polibio (vissuto a Roma nel II sec. a.C.)

e già oggetto di trattazione da parte di Cicerone, secondo il quale uno Stato può assumere la forma di monarchia,

aristocrazia o democrazia (intesa come repubblica popolare), ma è destinato a degenerare in tirannide, oligarchia,

oclocrazia (dominio della massa), per cui un buon compromesso è proprio la Repubblica di Roma che compendiava

tutti e tre i poteri, quello monarchico dei consoli, quello aristocratico del senato, quello popolare dei comizi. È

evidente che Machiavelli estende tale considerazione al mondo moderno, in particolare al caso di Firenze che aveva

sperimentato sia la forma repubblicana che quella monarchica sotto i Medici e l'autore sembra propendere per la

prima, ovvero per un regime in cui il potere del popolo è bilanciato dall'azione correttiva dell'aristocrazia (non c'è

dubbio che tale orientamento sia stato influenzato almeno in parte dalle discussioni degli Orti Oricellari, in cui come

detto si radunavano intellettuali di simpatie repubblicane tollerati dai Medici). Il trattato, stampato postumo nel

1531, è dedicato a Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti.

I dialoghi Dell'arte della guerra La battaglia di Pavia del 1525 (anon.

fiammingo XVI sec)

Machiavelli dedicò al problema delle milizie e della guerra molte pagine delle sue opere principali e nel 1519-20

scrisse un trattato centrato proprio su questo argomento intitolato De re militari e noto anche come dialogo (o

discorso) Dell'arte della guerra, strutturato in 7 libri e in forma di dialogo come i principali trattati del

Rinascimento: l'autore immagina che vari interlocutori reali (tra cui il nobile condottiero Fabrizio Colonna,

protagonista e portavoce delle sue tesi, Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti) discutano di vari aspetti delle

tecniche con cui combattere le guerre e contrappongano vari pareri, sul modello del dialogo ciceroniano assai imitato

nel Cinquecento (l'autore immagina che la discussione avvenga nel 1516 presso gli Orti Oricellari, l'ambiente in

cui erano nati anche i Discorsi). Machiavelli si ispira in modo evidente alle descrizioni della storiografia di Livio già

commentata nei Discorsi e l'idea di fondo è la condanna delle soldatesche mercenarie, inadatte per lui a difendere

efficacemente uno Stato, mentre l'esercito deve essere formato da cittadini-soldati arruolati direttamente tra la

popolazione come lui stesso aveva cercato di fare a Firenze qualche anno prima. Tali tesi sono sostenute con passione

da Fabrizio, l'interlocutore principale del dialogo, e si rifanno in modo trasparente alla descrizione

dell'antica Repubblica di Roma contenuta nell'opera di Tito Livio in cui l'esercito era appunto formato da cittadini

comandati da consoli, dunque con una compattezza che secondo l'autore consentì ai Romani di compiere

impressionanti conquiste (idee analoghe sono espresse anche in vari altri scritti, inclusi i capp. XII-XIV del Principe).

L'opera è interessante in quanto mostra il grande interesse dell'autore per le questioni relative all'organizzazione

degli eserciti che per lui dipendono non solo da aspetti tecnico-militari ma soprattutto politici, poiché delle milizie

efficienti consentono allo Stato di sopravvivere e di mantenersi saldo, mentre proprio la debolezza militare dei primi

anni del XVI sec. aveva causato il declino degli Stati italiani e la discesa nel nostro Paese di eserciti stranieri, come

quello francese, spagnolo e svizzero. Da questo punto di vista, anzi, il protagonista Fabrizio Colonna rivolge un

appassionato appello ai giovani italiani affinché si impegnino per il riscatto morale e militare del Paese, con un

atteggiamento "visionario" che ricorda molto il cap. finale del Principe in cui l'autore invoca utopisticamente

l'intervento dei Medici per restituire all'Italia la libertà dallo straniero. Il trattato mostra ovviamente anche alcuni

limiti e il principale fra essi è la sottovalutazione della portata delle artiglierie e delle armi da fuoco nelle guerre del

Cinquecento, che Machiavelli considera fondamentali solo nell'assedio delle città, mentre per il resto pare ancora

legato a una visione dei conflitti molto "antica" e più simile a quella mostrata da Livio nelle sue narrazioni, ovviamente

in un contesto storico-politico del tutto diverso da quello del Rinascimento (l'autore è peraltro consapevole del declino

della cavalleria negli eserciti del XVI sec., in modo analogo a quanto mostrato da Ariosto in varie parti della sua

opera).

Le Istorie fiorentine Clemente VII (ritr. di S. Del Piombo, 1531)

Il riavvicinamento ai Medici avvenuto a partire dal 1519-20 vide Machiavelli ottenere alcuni incarichi pubblici di

scarsa importanza e il suo impegno nella composizione delle Istorie fiorentinecommissionate dalla famiglia signorile,

allo scopo di nobilitare le origini della città e accrescere il prestigio della casata: l'autore si dedicò all'opera tra il

1520 e il 1525, presentando ufficialmente il lavoro a Roma a papa Clemente VII, l'ex-cardinale Giulio de' Medici

(non c'è dubbio che lo scritto rientri nella letteratura di carattere encomiastico del Rinascimento, anche se

Machiavelli non era uno stipendiato della corte medicea). Il trattato è diviso in 8 libri, di cui i primi quattro

ricostruiscono la storia di Firenze dal 476, anno della caduta dell'Impero Romano d'Occidente, sino al 1434, quando

Cosimo il Vecchio prese il potere in città, mentre i successivi quattro coprono il periodo che va sino al 1492, anno

della morte di Lorenzo il Magnifico (la trattazione dei libri V-VIII è assai più dettagliata in quanto ha per oggetto

il periodo storico più vicino all'autore, assai più ricco di fonti rispetto a quello medievale e in parte conosciuto dallo

stesso Machiavelli). L'opera è un trattato storiografico che tuttavia non si pone come scopo principale la

ricostruzione del passato su basi "scientifiche" secondo i criteri moderni, ma piuttosto la celebrazione della famiglia

dei Medici e del suo successo nel porre fine

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
20 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher 7g7rw3 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Inglese Giorgio.