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LP; spesso facevano degli Extended Play, erano una via di mezzo tra il singolo e l'LP,
duravano molto di meno. I costi della registrazione imponevano spesso di registrare
la musica di notte, perché gli studi di registrazione costavano molto meno ed erano
liberi. Difficilmente un musicista poteva vivere solo di Jazz in quegli anni, erano
pochi quelli che ci riuscivano: in genere i musicisti di Jazz abbinavano a questa
attività quella di arrangiatori per i musicisti di musica leggera, per il Festival di
Sanremo, per le grandi case discografiche, per le quali scrivevano arrangiamenti di
qualità. Questa era un'attività che consentiva di sopperire al proprio lavoro.
Incominciavano a nascere i locali: Milano, tra gli anni '50 e la prima metà degli anni
'60, vede il fiorire di luoghi dove si fa anche Jazz. Ad esempio c'erano locali dove si
faceva Jazz di impronta New Orleans, tipo la Aretusa, c'erano locali come il Santa
Tecla che era una via di mezzo, poi c'erano locali come la Taverna Messicana (di
fronte al Teatro dal Verme), che era un ristorante (piuttosto brutto) in cui dopo una
certa ora si faceva Jazz ed aveva come un gruppo di casa la formazione più famosa
dell'Italia anni '50 e inizio '60: il gruppo di Gianni Basso ed Oscar Valdambrini. I
musicisti che passavano da Milano per fare dei concerti o partecipare ai festival, lì
potevano andare a fare delle Jam afterhours: ci sono stati Billie Holiday, il Modern
Jazz Quartet, è sceso ma non ha suonato anche Coltrane. Nel 1963-1964 il Teatro
dell'Arte fece una serie di concerti. Il Teatro dell'Arte non era come siamo abituati a
vederlo oggi, era tutto in legno bellissimo (aneddoto di Franco che racconta di aver
visto degli spettacoli meravigliosi di musica contemporanea e teatro musicale). Il
Teatro dell'Arte ospitava il quintetto di Miles, il quartetto di Coltrane, il quintetto di
Mingus nella famosa tourneè europea. Il Lirico si apriva a grandi concerti: è venuto
diverse volte Ellington, ha fatto dei concerti memorabili in quegli anni, una volta
veniva Ella Fitzgerald, in un'altra occasione è stato ripreso uno spezzone dalla TV
italiana con Gassman che recita Shakespeare mentre Ellington lo accompagna al
piano. Dal 1962 Intra ha inventato il cabaret, ha inventato il Derby Club, che per tre
anni ospitava Jazz sempre, anche con musicisti stranieri importanti. Poi ha aperto un
altro locale in Corso Vittorio Emanuele per un anno: ci ha suonato Tristano. Non è
che fossero programmazioni da poco, e c'era sempre il Jazz. Al Derby ci andava tutta
l'intelligentia milanese, era un locale che riuniva anche chi non era appassionato di
questa musica. Ci andava magari per altro ma anche per sentire Jazz. I concerti erano
spesso sold out, non è vero che non ci fosse un'attività interessante. C'è da dire che,
nonostante tutto, Arrigo Polillo, prima caporedattore poi direttore di “Musica Jazz”,
mettendoci anche molti soldi di tasca sua insieme ad un altro redattore, Pino Maffreo
(?), organizzava concerti, festival e incontri importanti a Milano.
La stessa cosa avveniva in parte a Roma, che però era molto più concentrata sul
cinema. C'erano però anche lì dei locali come “La Rupe Tarpea” e “Il Covo del
Piccione” (Franco non è sicuro di questo nome, dice che Tomelleri li conosce bene),
dove si faceva sempre Jazz. Contrariamente a Milano, Roma, essendo una città
internazionale, ospitava anche musicisti che venivano per un periodo di tempo a
risiedere in Italia (es. Gato Barbieri, che è stato in Italia un paio d'anni nei primi anni
'60, Steve Lacy e altri musicisti americani di passaggio che si fermavano). Mentre al
nord c'erano le case discografiche straniere che avevano qui delle sedi e
ripubblicavano e ristampavano dischi. Non è che arrivava il disco dagli Stati Uniti e
pubblicavano quello, prima si rifaceva la grafica per un'edizione italiana, così come
in Francia rifacevano la grafica per l'edizione francese. Erano grafiche straordinarie
quelle delle etichette tipo la “Celson Hi-Fi Records” e la “His Master's Voice”
(Franco questa estate presenta una mostra a Iseo di queste copertine anni '50). Metà
sono di Guido Crepax (famoso autore di Valentina) o comunque straordinariamente
creative, più belle di quelle americane.
Nel panorama del Jazz non è che non succedesse niente, certamente non c'era la
scena, il denaro, le scuole, che ci sono oggi: non esisteva una didattica del Jazz,
perché non esistevano scuole. In Italia abbiamo avuto un gravissimo ritardo (e noi
tuttora, almeno nelle strutture).
Oggi il Jazz in televisione non lo vediamo neanche se piangiamo, a meno di qualche
programma su Rai 5 in orari non fantastici, ma all'epoca il musicista di Jazz poteva
partecipare a programmi in prima serata. Ad esempio Franco Cerri faceva delle
trasmissioni negli anni '60 (“Di Jazz in Jazz”, “Chitarra Amore Mio”) dove poteva
invitare alle dieci di sera in studio musicisti che passavano da Milano (Gillespie, Phil
Woods, etc...) e il pubblico assisteva a queste cose. A “Studio Uno”, che è stata una
trasmissione eccezionale che per un certo periodo conduceva anche Mina, Cerri era
ospite come tanti altri jazzisti. C'era 1 canale solo e guardavano tutti quello. Magari
non tutte le settimane, magari solo 1 pezzo, ma Studio Uno ospitava il Jazz. La
musica che proponeva era tutta arrangiata in maniera incredibile da arrangiatori come
Gianni Ferrio e Armando Trovajoli. Ora ce ne sono 150 e fanno tutti la stessa
spazzatura (trash TV). C'erano molti meno musicisti, molti meno posti, molti meno
festival, ma quello che c'era e l'ambiente che si era creato era sicuramente di una
qualità nettamente superiore rispetto a quella di oggi e lo era anche nei rapporti
interculturali, che sono la base dello sviluppo di un'arte in un paese. Se non ci sono
questi rapporti non c'è niente. Provincialismo da una parte, ma dall'altra un'apertura
completamente diversa. Tra i pittori del Gruppo '63 c'era Giancarlo Cazzaniga che
dipingeva musicisti di Jazz. I suoi “Jazzisti” sono una pagina di un certo rilievo nela
pittura italiana degli anni '60, a dimostrazione di un periodo storico straordinario in
tutto, mica come adesso. Se restiamo solo alla musica, Berio, Castiglioni, Donatoni,
etc...I grandi compositori del secondo '900 italiano sono tutti di quel periodo e quasi
tutti nell'orbita tra Milano e Venezia. La pittura, l'arte povera (Merz, Paolini,
Michelangelo Pistoia, etc..). Andavi alla Triennale di Venezia ed era un periodo
straordinario, ti lustravi gli occhi, mica come adesso che l'80% sono video che si
potrebbero mettere direttamente in spazzatura e l'altro 20% sembrano le
riproposizioni dell'Ikea. Siamo nati nel periodo sbagliato per queste cose purtroppo.
Dal punto di vista Jazzistico, si guarda o alla linea europea che Gaslini stava
inaugurando (pochi, solo Intra l'ha fatto negli anni '50), oppure si guardava
improvvisamente e molto di più sia a certe tendenze tra Tristano e Konitz, più o meno
assimiliate, sia soprattutto al Jazz della Costa Occidentale, in particolare al Quartetto
di Mulligan e ai gruppi di Shorty Rodgers, a quelle formazioni più brillanti e
contrappuntistiche che abbiamo ascoltato l'anno scorso (vedi West Coast). E tra questi
gruppi, la palma del gruppo di riferimento va al gruppo di Basso e Valdambrini, che
tra l'altro vincevano ripetutamente quella che fu in radio la “Coppa del Jazz” all'inizio
degli anni '60: c'era la giuria, ogni città italiana faceva uno spettacolo radiofonico coi
musicisti, si votava e alla fine c'erano i vincitori. Partecipavano al concorso tutti i
grandi musicisti di Jazz del tempo, non era il contest degli studenti.
Ascoltiamo un gruppo romano che partecipò al “Salon du Jazz” di Parigi, alla Salle
Pleyel, nel 1952, guidato dal trombettista Nunzio Rotondo. È stato il primo
trombettista italiano a guardare alla tradizione di Davis, in particolare al Davis di
Birth Of The Cool, anzi è stato lui in Italia a rendere pubblici e a far circolare in Italia
alcuni brani di Birth Of The Cool prima di chiunque altro. Era “il Rava” di quel
periodo (degli anni '50 e '60), come creatività e come modo di suonare. L'altro era
Valdambrini: più trombettista, più professionista, più arrangiatore, guardava
perfettamente a Chet Baker, ma Nunzio Rotondo aveva quella creatività particolare
che lo faceva emergere dal punto di vista creativo nell'ambito dei musicisti italiani.
Rotondo negli anni '70 era riuscito, tramite le sue amicizie, a farsi trasmettere la
musica tutto il giorno. Negli anni '70 la televisione (unico canale) non trasmetteva per
24 ore, trasmetteva per un certo numero di ore e per le altre ore c'era monoscopio (il
logo), che era una sorta di filodiffusione: faceva andare musica continuamente, quasi
sempre musica classica o Jazz. Rotondo aveva musica sua firmata da lui che andava
per un'ora-un'ora e mezza-due ore al giorno e all'epoca SIAE e televisione erano
d'accordo per cui sia la musica in video sia la musica in monoscopio venivano pagate
allo stesso modo, con il risultato che negli anni '80 Rotondo aveva una villa
sull'Appia Antica ed era diventato miliardario. Negli anni '60 e '70 coi diritti d'autore
se ne facevano di tutti i colori in Italia, comprese le traduzioni dei pezzi stranieri, che
venivano depositate, davano diritto ad una certa percentuale SIAE, ma non solo con
dei pezzi che non erano mai tradotti (venivano eseguiti in una fantomatica
traduzione), ma sempre: ad esempio io traduco Michelle dei Beatles, ogni volta che
passa in radio anche in inglese mi prendo 1/24 di SIAE (o qualcosa del genere). Poi
hanno chiuso perché era diventata una corsa alla traduzione (es. Bruno Lauzi ha
guadagnato di più traducendo che coi suoi pezzi, ci si era ridotti a fare operazioni del
genere). Col monoscopio si poteva diventare quasi miliardari.
Ascoltiamo “Move”, o meglio il disco da come titolo “Move” di Denzil Best, invece
questa è sicuramente un'altra composizione, ma non sapendo qual era hanno messo
questo titolo, potrebbe essere una composizione dello stesso Rotondo. Qui ci sono
musicisti romani come Gil Cuppini, immancabile alla batteria, un sassofonista
contralto, Franco Raffaelli, che sembra un embolo di Lee Konitz, suona
magnificamente, e poi non si è mai più sentito nulla. Li presentano anche all'inizio
del concerto. Era un tristaniano. Sbagliano il nome di Cuppini, lo chiamano Gabriele
al posto di Gilberto. Molto davisiano, ma con un suo