Inoltre, il riconoscimento di uno ius excludendi, invocabile erga omnes, rende l'invenzione
brevettata possibile oggetto di una circolazione negoziale, che consente al titolare di
estenderne lo sfruttamento e di massimizzarne i profitti, mediante l'utilizzazione indiretta
(in particolare tramite licenziatari: in campi e/o territori nei quali non sarebbe per lui
economicamente conveniente sfruttarla (o addirittura non sarebbe tout court possibile: si
pensi all'inventore sprovvisto di una struttura produttiva/commerciale, come nel caso di
invenzioni conseguite in ambiente universitario e al tempo stesso indirizza la soluzione
brevettata verso le imprese in grado di sfruttarla nel modo più efficiente.
D'altro canto, il «bene-invenzione» può essere offerto in garanzia (art. 140 c.p.i.) e diviene
quindi strumento di finanziamento dell'impresa, promuovendo, anche sotto questo aspetto,
una maggiore efficienza concorrenziale (+innovazione = + brevetti da offrire in garanzia =
+ finanziamenti da destinare a ulteriore innovazione).
Se questi sono gli obiettivi cui mira il sistema brevettuale, la sua fondamentale coerenza
con un'economia concorrenziale di mercato non sembra discutibile.
Appaiono quindi fuorvianti, e da respingere, le critiche, non di rado massimaliste e
ideologiche, che in passato sono state, e ancor oggi sono mosse al sistema dei brevetti in
quanto tale, fino a proporne la integrale soppressione, specie in occasione dell'apertura di
nuove frontiere del sapere e della tecnologia (si pensi al campo della biotecnologie.
Il vero è, piuttosto, che anche quello brevettuale, come ogni sistema complesso, è
fatalmente soggetto a imperfezioni funzionali, più o meno marcate, causate dal mutare dei
fenomeni economici, tecnologici, sociali che esso disciplina e/o con i quali interferisce.
Altro è tuttavia «adattare» il sistema alle mutate condizioni «ambientali», altro è eliminarlo,
con il rischio di gettare la proverbiale acqua sporca assieme al bambino.
E in questo senso, senza dubbio, molto vi è da fare.
Si pensi alla tendenziale «implosione» del sistema, specie in taluni settori (quelli ad
esempio delle information technologies o delle biotecnologie), ove la assai bassa soglia di
accesso alla brevettabilità causa un proliferare di brevetti (c.d. patent thicket)
il cui aggiramento da parte dei concorrenti, a causa del loro smisurato numero, implica
costi transattivi assai elevati e tali da ostacolare l’innovazione; o agli squilibri tra «nord» e
«sud» del mondo che in settori di vitale importanza per l'intera umanità possono essere
indotti o facilitati dalla protezione brevettuale; o agli effetti distorsivi della concorrenza
causati da un massivo accumulo di brevetti nelle mani di un solo soggetto dominante.
Ebbene, non v'è dubbio che in tutti questi casi, qualora i «correttivi» concorrenziali già
presenti all'interno del sistema stesso si rivelino insufficienti, occorra avvalersi di strumenti
esterni (in primis, ma non solo, l'intervento antitrust: v. infra Cap. V) idonei a ripristinare
condizioni di equilibrio concorrenziale e, non da ultimo, di equità sociale.
E in tale processo di adattamento del sistema, la «rotta» dovrà essere tracciata tenendo
ben fermo il principio secondo cui obiettivo della tutela brevettuale non è solo e tanto
quello di garantire le «pri-vate fortune» del titolare, quanto quello di «promote the Progress
of Science and the useful Arts», secondo le incisive parole del costituente americano (art.
1. Sec. 8.), nel rispetto di tutti gli altri diritti, di rango costituzionale, facenti capo all'intera
collettività.
2. La nozione di invenzione industriale brevettabile, le nuove tecnologie e i brevetti
speciali
2.1 La nozione d'invenzione industriale, le creazioni intellettuali non considerate come
invenzioni e i divieti di brevettazione
Per quanto non esista una nozione normativa di «invenzione», non si dubita che per
invenzione industriale si debba intendere la specifica soluzione di un dato problema
tecnico, riproducibile con risultati costanti ad opera di un esperto del ramo, mediante
un'attività meramente esecutiva degli insegnamenti forniti dal richiedente nella propria
domanda di brevetto.
È quindi qualificabile come invenzione, in primo luogo, solo un'ideazione che sia in grado
di risolvere in modo costante e ripetitivo (si badi: anche se in modo non ottimale, ché anzi
ogni invenzione è suscettibile di perfezionamenti) il problema tecnico che l'inventore si è
proposto di risolvere (ad esempio non è «invenzione» un procedimento che solo ad una
data temperatura, non esattamente individuata dall'inventore, consenta di conseguire
stabilmente il risultato utile, e che dunque, a temperature diverse, a volte funzioni e a volte
no).
D'altro canto, sono invenzioni «industriali» suscettibili di brevettazione solo quelle che
attengono al campo della tecnica («di ogni settore della tecnica»: art. 45, comma 1, c.p.i.,
in conformità all'art. 27 dell'Accordo internazionale stipulato nell'ambito
dell'Organizzazione mondiale del Commercio-WTO del 1995 e noto come Accordo TRIPs)
e che, oltre ad essere nuove ed implicare un'attività inventiva, «sono atte ad avere una
applicazione industriale».
Resta invece escluso dal campo della brevettazione tutto ciò che, pur essendo frutto di
creazione intellettuale umana, ancorché di elevatissimo livello, si collochi sul piano della
mera ideazione astratta, non suscettibile di un'immediata ricaduta applicativa pratica.
E così, non sono brevettabili (e neppure proteggibili mediante tutela d'autore, come si dirà
nel relativo capitolo) non soltanto una nuova teoria filosofica, economica o musicale, ma
neppure, come precisa il comma 2 dell'art. 45 c.p.i., «
a) le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;
b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali
ed i programmi per elaboratore;
c) le presentazioni di informazioni».
Questa esclusione, peraltro, riguarda soltanto dette creazioni intellettuali qualora esse
siano «considerate in quanto tali» (art. 45, comma 3, c.p.i.), vale a dire qualora le si voglia
brevettare nella loro astrattezza.
Al contrario - come già precisava alla metà del secolo scorso, in termini illuminanti, l'art.
2585 del codice civile può costituire oggetto di brevetto «l'applicazione tecnica di un
principio scientifico, purché essa dia immediati risultati industriali.
In quest'ultimo caso il brevetto è limitato ai soli risultati indicati dall'inventore» [e si veda
ora, in materia d'invenzioni biotecnologiche, l'art. 81 quater, comma 1, lett. d) c.p.c., che
condiziona la brevettazione di una sequenza di geni alla concreta indicazione della sua
applicazione industriale].
Una siffatta delimitazione dell'area della brevettabilità gioca un ruolo fondamentale
nell'assicurare la funzione di promozione e di stimolo dell'innovazione tecnica svolta dal
sistema brevettuale.
Concedere la protezione brevettuale, ad esempio, a un principio scientifico considerato
nella sua astrattezza, consentirebbe, infatti, allo scopritore brevettante di bloccarne ogni
applicazione pratica che venisse in seguito individuata da terzi.
Ed è ovvio come un siffatto «ipermonopolio» disincentiverebbe ogni concorrente dal
condurre ricerche che, traendo spunto da quel principio di base, fossero finalizzate a
produrre innovazione derivata; e avrebbe l'effetto di mortificare, anziché di promuovere, la
ricerca di nuove soluzioni tecniche.
Ciò detto, si deve sottolineare che la specifica applicazione tecnica di un principio
scientifico è brevettabile solo se essa implica un'attività inventiva (sul punto vedi $ 3.2); e
dunque non può essere brevettata qualora discenda in modo evidente da una conoscenza
teorica già di dominio pubblico.
A conclusioni diverse si deve invece pervenire nel caso di c.d. «scoperta-invenzione», nel
quale cioè l'inventore, scoperto un nuovo principio scientifico (in sé, come si è detto, non
brevettabile) ne individui al tempo stesso un'applicazione concreta.
L'art. 45, comma 4, lett. a), c.p.i vieta poi la brevettazione dei metodi per il trattamento
chirurgico, diagnostico o terapeutico del corpo umano o animale.
Questo divieto sembra poggiare sul difetto di riproducibilità seriale dell'invenzione sulla
base delle sole indicazioni fornite dall'inventore nella domanda di brevetto.
L'attuazione di tali metodi, difatti, a differenza di un processo produttivo industriale,
richiede un intervento umano di natura non meramente esecutiva e i cui risultati dipendono
dalle capacità del singolo medico.
Non pare invece che il divieto si giustifichi per ragioni etiche e in particolare per la
necessita di non ostacolare la libertà terapeutica dei sanitari nel curare l'uomo (ma anche
gli animali: il che apparirebbe comunque eccessivo), se sol si considera che tale libertà
resta pesantemente condizionata dalla brevettabilità degli strumenti e dei farmaci
occorrenti per la messa in pratica dei metodi stessi espressamente riconosciuta dall'art.
45, comma 5, c.p.i.; e dai quali dipende la stessa eseguibilità della metodica sanitaria
innovativa (si pensi alle macchine per la circolazione extracorporea del sangue negli
innovativi interventi a «cuore aperto», o l'uso di robots negli interventi di microchirurgia
cerebrale). Il divieto è comunque limitato al corpo umano o animale «vivo» e non si applica
neppure a sue «parti» isolate (un metodo per l'analisi del sangue, ad esempio).
Infine, il divieto di brevettazione di nuove varietà vegetali e di invenzioni biotecnologiche
[art. 45, commi 4, lett. b), e 5 c.p.i.] si spiega con l'esistenza della specifica tutela, ratione
materiae, di cui agli artt. 100 ss. e 81 bis ss. c.p.i.
su cui si vedano infra i §$ 2.4 e 2.6. Probabilmente ad analoghe ragioni è ispirato il divieto
di brevettazione di nuove razze animali, certo da non ricondurre a motivazioni etiche;
peraltro, a differenza delle varietà vegetali, non esiste per queste speciali innovazioni in
campo animale alcuna forma specifica di tutela. La «discriminazione» è confermata anche
dall'art. 27, comma 3, dei TRIPs, che consente agli stati membri di vietare la brevettazione
di vegetali e animali, ma impone l'adozione di una tutela brevettuale o sui generis solo per
le varietà vegetali.
L'esclu
 
                     
                                         
                                        