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Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca, / mercé del popol tuo che si argomenta (v. 127 ss.), dove il possessivo Fiorenza mia indica l'appartenenza alla città in senso affettivo e politico, mentre ti tocca e popol tuo sembrano sottolineare il distacco dal popolo fiorentino. Un'ironia affilata, che sembra voler svegliare lo spirito della stessa città, invitarla alla ribellione contro i ghibellini e il papa, coloro che la occupano falsamente e senz'amore, quell'amore di cui Dante ha colmo il cuore. Addirittura egli scomoda un parallelo con Atene e Sparta, città eterne e fondate su saldi principi, mentre i principi e i governi di Firenze, che è ancor più grande, durano meno di un mese. Sembra colpevolizzare direttamente la città che si rende schiava nel tempo di coloro che non la meritano. Conclude il canto un accorato senso di dolore, un'immagine dell'inferma che non trova pace.
nel letto, ma cambia posizione continuamente perché la sua malattia è dentro, nelle leggi sbagliate, nell'errata cultura, nei regnanti che non hanno niente a cuore.
Canto XXX
Luogo: paradiso terrestre; personaggi: Beatrice.
Quando il settentrione del primo cielo, che né occaso mai seppe né ortone d'altra nebbia che di colpa velo, e che faceva là ciascuno accorto di suo dover, come 'l più basso face qual temon gira per venire a porto, fermo s'affisse: la gente verace, venuta prima tra 'l grifone ed esso, al carro volse sé come a sua pace; e un di loro, quasi da ciel messo, 'Veni, sponsa, de Libano' cantando gridò tre volte, e tutti li altri appresso. Quali i beati al novissimo bando sorgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando, cotali in su la divina basterna si levar cento, ad vocem tanti senis, ministri e messagger di vita etterna. Tutti dicean: 'Benedictus qui'
venis!’,e fior gittando e di sopra e dintorno,’Manibus, oh, date lilïa plenis!’.21Io vidi già nel cominciar del giornola parte orïental tutta rosata,e l’altro ciel di bel sereno addorno;24 136e la faccia del sol nascere ombrata,sì che per temperanza di vaporil’occhio la sostenea lunga fïata:27così dentro una nuvola di fioriche da le mani angeliche salivae ricadeva in giù dentro e di fori,30sovra candido vel cinta d’ulivadonna m’apparve, sotto verde mantovestita di color di fiamma viva.E lo spirito mio, che già cotantotempo era stato ch’a la sua presenzanon era di stupor, tremando, affranto,36sanza de li occhi aver più conoscenza,per occulta virtù che da lei mosse,d’antico amor sentì la gran potenza.39Tosto che ne la vista mi percossel’alta virtù che già m’avea trafittoprima ch’io fuor di püerizia fosse,42volsimi a la sinistra
col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quand'elli è afflitto, per dicere a Virgilio: 'Men che dramma di sangue m'è rimaso che non tremi: conosco i segni de l'antica fiamma'. Ma Virgilio n'avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die' mi; nè quantunque perdeo l'antica matre, valse a le guance nette di rugiada che, lagrimando, non tornasser atre." Dante, perchè Virgilio se ne vada, non pianger anco, non piangere ancora; chè pianger ti conven per altra spada". Quasi ammiraglio che in poppa e in prora viene a veder la gente che ministra per li altri legni, e a ben far l'incora; in su la sponda del carro sinistra, quando mi volsi al suon del nome mio, che di necessità qui si registra, vidi la donna che pria m'appario velata sotto l'angelica festa, drizzar li occhi ver' me di qua dal rio. Tuttoche 'l vel che le scendea di testa, cerchiato de le fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta, regalmente ne l'atto ancor proterva continuò come colui che dice e 'l più caldo parlar dietro reserva: "Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. Come degnasti d'accedere al monte? non sapei tu che qui è l'uom felice?". Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba, tanta vergogna mi gravò la fronte. Così la madre al figlio par superba, com'ella parve a me; perch' d'amaro sente il sapor de la pietade acerba. Ella si tacque; e li angeli cantaro di sùbito 'In te, Domine, speravi'; ma oltre 'pedes meos' non passaro. Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d'Italia si congela, soffiata e stretta da li venti schiavi, poi, liquefatta, in sé stessa trapela, pur che la terra che perde ombraspiri, sì che par foco fonder la candela; così fui sanza lagrime e sospiri anzi 'l cantar di quei che notan sempre dietro a le note de li etterni giri; ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre lor compartire a me, par che se detto avesser: 'Donna, perché sì lo stempre?', lo gel che m'era intorno al cor ristretto, spirito e acqua fessi, e con angoscia de la bocca e de li occhi uscì del petto. Ella, pur ferma in su la detta coscia del carro stando, a le sustanze pie volse le sue parole così poscia: "Voi vigilate ne l'etterno die, sì che notte né sonno a voi non fura passo che faccia il secol per sue vie; onde la mia risposta è con più cura che m'intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d'una misura. Non pur per ovra de le rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine secondo che le stelle son compagne, ma per larghezza di grazie
divine, che sì alti vapori hanno a lor piova, che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal ne la sua vita nova virtüalmente, ch’ogne abito destro fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro si fa ’l terren col mal seme e non cólto, quant’elli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto: mostrando li occhi giovanetti a lui, meco il menava in dritta parte vòlto.
Sì tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita, questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita, e bellezza e virtù cresciuta m’era, fu’ io a lui men cara e men gradita;
e volse i passi suoi per via non vera, immagini di ben seguendo false, che nulla promession rendono intera.
Né l’impetrare ispirazion mi valse, con le quali e in sogno e altrimenti lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
Tanto giù cadde, che
Come designato dal cielo, recita per tre volte il salmo di invocazione Veni, sponsa, de Libano (Cantico dei cantici, IV, 8) che gli altri ripetono in coro. Come i beati nel giorno del Giudizio universale risorgeranno dalle loro tombe, glorificando Dio per la resurrezione dei corpi, così dal carro divino un gran numero di angeli, ministri e messaggeri di vita eterna risponde all'invito di un venerando vecchio (ad vocem tanti senis). Tutti cantano "Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Matteo, XXI, 9), e spargendo fiori tutt'intorno e sopra il carro dicono "Oh! date gigli a piene mani!" (Eneide, VI, 883).
Apparizione di Beatrice (vv. 22-39)
Dante ha già visto altre volte, al sorgere del sole, la parte orientale del cielo diventare tutta rosa e l'altra di un bel colore celeste; la faccia dell'astro, leggermente offuscata dai vapori, gli ha permesso così di sostenerne la visione, e ora, ugualmente velata, vede apparire, dentro
la nuvola di fiori generata dagli angeli, Beatrice: la testa cinta da una corona di ramoscelli d'ulivo posta su di un velo bianco, vestita di rosso e avvolta in un verdemanto. Dante non ne distingue subito il volto, ma, per il misterioso potere che emana dalla donna, avverte nel suo cuore la potenza dell'antico amore. Scomparsa di Virgilio (vv. 40-54) Non appena gli occhi del poeta sono colpiti dalla grande forza d'amore che lo trafisse prima ancora di uscire dall'infanzia, egli si rivolge a Virgilio, come fa un bambino smarrito e confuso con la mamma, per comunicargli le sensazioni destate nel suo animo dalla visione, così a lungo attesa, di Beatrice. Ma il maestro, padre dolcissimo, dopo averlo guidato nella selva oscura e nel Purgatorio, ora è sparito e Dante non può fare a meno di piangere. Beatrice rimprovera Dante (vv. 55-81) Beatrice si rivolge a lui chiamandolo per nome e lo esorta a non disperarsi per la scomparsa di Virgilio, poiché trapoco piangerà per altri dolori. Come un ammiraglio che da poppa apre va a controllare i marinai che si muovono sulle altre navi, incitandoli a comportarsi bene, così, ritta sulla parte sinistra del carro, Beatrice rimprovera Dante rivolgendo lo sguardo verso di lui. Sebbene il suo volto non sia ancora visibile, perché coperto dal velo e coronato dai rami dell'albero caro a Minerva, sempre fiera nel suo atteggiamento regale, Beatrice continua a parlare come chi riserva alla fine del discorso le parole più dure e lo inv