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ANTARTIDE
Le pretese di sovranità sull'Antartide avanzate a vario titolo da 7 Stati sono attualmente congelate grazie al Trattato sull'Antartide, firmato a Washington nel 1959.
L'art.4 stabilisce che nessuna delle attività o degli atti posti in essere mentre il trattato è in vigore può costituire titolo per affermare, sostenere o negare una pretesa di sovranità territoriale o un diritto di sovranità.
La disposizione inoltre stabilisce che nel periodo di vigenza del trattato non dovrà essere avanzata alcuna nuova pretesa di sovranità o ampliamento di una pretesa preesistente.
Poiché il trattato non prevede un termine di durata, si può affermare che il regime giuridico sull'Antartide ha internazionalizzato la regione.
Attualmente fanno parte del trattato 45 paesi (tra cui l'Italia), di cui 27 hanno lo statuto di parti consultive, con diritto di voto, e i 18 restanti hanno lo statuto di parti contraenti.
senza diritto di voto.Il trattato è un accordo-quadro che pone i principi cardine della regolamentazione giuridica del territorio antartico e del regime di internazionalizzazione, ma non disciplina nel dettaglio le attività che possono essere svolte nella regione.
Il trattato di Washington stabilisce che l'Antartide debba essere utilizzata solo a scopi pacifici e quindi proibisce l'installazione di basi e fortificazione militari e test di qualsunque tipo di arma.
Sancisce anche il principio della libertà di ricerca scientifica a scopo pacifico e si propone di facilitare la cooperazione internazionale tra le parti.
Il trattato sull'Antartide ha costituito la base per l'assicurazione di ulteriori accordi multilaterali, che formano quello che è chiamato sistema del trattato antartico costituito da:
- Convenzione sulla protezione delle foche antartiche del 1978
- Convenzione per la protezione delle risorse marine viventi in Antartide del 1982
Stati sul proprio territorio, imponendoglil'obbligo di garantire agli individui sottoposti alla propria giurisdizione di non subire gravi violazioni dei loro diritti fondamentali.
1. I limiti all'utilizzazione del territorio
Il potere di imperio esclusivo di uno Stato sul proprio territorio non comporta che esso sia libero di utilizzarlo senza incontrare limiti; il diritto internazionale consuetudinario impone infatti un certo numero di obblighi predicati sul principio secondo cui la libertà di cui gode uno Stato non debba essere utilizzata a detrimento della libertà di cui parimenti beneficiano gli altri Stati.
Il materia di sovranità di uno Stato sul proprio territorio, questo principio si traduce nel divieto per gli Stati di utilizzare gli spazi sottoposti alla propria potestà di imperio in modo pregiudizievole ad altri Stati o in modo da causare danni alle aree non sottoposte alla giurisdizione di alcuno Stato.
Questa regola è stata proclamata
della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha stabilito che gli Stati hanno l'obbligo di vigilare sul rispetto dell'ambiente e di evitare attività che possano causare inquinamento transfrontaliero. Questo obbligo include anche la prevenzione e richiede una dovuta diligenza. Inoltre, esiste una norma che si applica ai rapporti tra Stati che condividono un fiume internazionale. Questa norma vieta a ciascuno Stato di utilizzare il fiume in modo tale da danneggiare gli altri Stati rivieraschi. Questa regola è stata enunciata nel 1983 dal tribunale di Rotterdam, quando un coltivatore olandese ha sostenuto che le miniere di potassio dell'Alsazia stavano danneggiando le sue coltivazioni versando una grande quantità di sale nel Reno. Entrambe queste norme sono state sottolineate dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972 e dalla Dichiarazione della conferenza di Rio sull'ambiente e lo sviluppo del 1992.sostenne che si era affermato un principio generale in virtù del quale“coloro che utilizzano un fiume internazionale e che si trovano a monte del fiume non possono più utilizzare le sue acque senza incontrare alcuna limitazione”.
2. Il trattamento degli stranieri e dei loro beni
L'appartenenza ad uno Stato è elemento essenziale per determinare l'ampiezza e la natura dei poteri/doveri e dei diritti/facoltà di uno Stato nei confronti degli individui che si trovino sul proprio territorio.
Lo Stato infatti ha obblighi specifici verso i propri cittadini ma incontra limiti particolari quanto al trattamento degli stranieri presenti sul proprio territorio e non nei confronti dei propri cittadini (es- non può imporre allo straniero di effettuare il servizio militare).
In linea di principio, uno Stato è libero di stabilire i criteri per determinare chi sia un proprio cittadino e chi invece no ma tale libertà non si traduce
automaticamente nel diritto di uno stato di far valere, a livello internazionale, le pretese giuridiche fondate sulla cittadinanza. Per esercitare questo diritto è infatti necessario che al rapporto di cittadinanza individuo-Stato corrisponda un legame effettivo di quell'individuo con lo Stato di cui ha la cittadinanza. In quest'ottica è più che dubbia la legittimità della c.d. passportization, cioè quella pratica mediante la quale le autorità della Federazione russa hanno indotto cittadini e residenti in altri Stati a richiedere un passaporto russo per poi invocare una qualche protezione da parte della Russia. Questa regola si applica anche alle persone giuridiche: come per gli individui, ogni Stato è libero di stabilire criteri per l'attribuzione della nazionalità alla società o agli enti. 2.2. Gli obblighi in materia di trattamento degli stranieri I cittadini stranieri che si trovano sul territorio di un determinato Stato sono soggetti a determinati obblighi in materia di trattamento.Stato devonobeneficiare di un particolare trattamento in virtù di alcune norme internazionali.In passato, il trattamento degli stranieri e dei loro beni ha dato luogo a regimi giuridiciseparati (come il regime delle capitolazioni). La ratio di questo complesso di norme stanel fatto che il cittadino straniero appartiene allo stato di cui ha la nazionalità, edunque la sua persona i suoi beni sono oggetto di un interesse internazionalmentericonosciuto.I limiti che uno Stato incontra all'esercizio della sovranità sul cittadino straniero che sitrovi sul proprio territorio si traducono anzitutto in obblighi di non facere.Generalmente, si tratta dell'obbligo di astenersi da comportamenti che possonocompromettere il vincolo di cittadinanza che lega lo straniero al proprio Stato didoveri di fedeltànazionalità e che egli esprime attraverso i c.d. .Più specificamente, lo Stato territoriale non può imporre allo stranierol'adempimento degli obblighi di natura p