Rinascimento
Il diritto amministrativo iniziò a configurarsi come un corpo di norme destinate a regolamentare l'autorità pubblica in modo coerente, anche se ancora frammentato in molteplici giurisdizioni.
L'età napoleonica e il codice civile del 1804
Un punto di svolta importante per il diritto amministrativo in Italia si ebbe con l'arrivo di Napoleone e la diffusione dei codici napoleonici. Tra il 1805 e il 1814, le regioni italiane sotto il dominio napoleonico adottarono il modello amministrativo francese, che introdusse concetti chiave, come la separazione tra potere legislativo e potere amministrativo e la nascita di un sistema burocratico professionale.
L'influenza del Code Civil del 1804 e della riforma napoleonica fu significativa: l'amministrazione pubblica divenne più uniforme e centralizzata, mentre la distinzione tra diritto privato e diritto pubblico fu formalizzata. Anche il Consiglio di Stato, istituito in Francia, servì come modello per la gestione dei conflitti tra cittadini e amministrazione.
Il periodo postunitario e il consolidamento del diritto amministrativo (1861-1900)
Con l'unificazione d'Italia nel 1861, si pose la questione della costruzione di uno Stato unitario, con un'amministrazione pubblica centralizzata e uniforme. Il modello amministrativo piemontese, ispirato a sua volta al sistema francese, fu esteso a tutto il territorio nazionale.
Durante questo periodo, vennero istituiti organi amministrativi come le prefetture, con il prefetto che rappresentava il potere centrale nei territori. Anche il Consiglio di Stato italiano, fondato nel 1831 dal Re di Sardegna Carlo Alberto, acquisì un ruolo di rilievo, svolgendo funzioni di consulenza giuridica per il governo e di giurisdizione sui conflitti amministrativi.
Nel 1865, con la Legge del Contenzioso Amministrativo, il diritto amministrativo ottenne un fondamento giuridico autonomo. Questa legge stabiliva che le controversie tra amministrazione e cittadini venissero risolte dal Consiglio di Stato, confermando l'autonomia della giurisdizione amministrativa rispetto a quella civile.
Il periodo liberale e la crescita della burocrazia statale (1900-1922)
All'inizio del Novecento, l'Italia era impegnata nella modernizzazione dello Stato e della pubblica amministrazione. Durante il periodo liberale, crebbe l'importanza della burocrazia e delle funzioni amministrative per garantire il buon funzionamento dei servizi pubblici e la gestione dell'economia.
Nel 1907 fu istituita la Corte dei Conti, con la funzione di vigilare sulle spese dello Stato e sull'operato della pubblica amministrazione. La creazione di questo organo evidenziò l'esigenza di controllo sugli atti amministrativi e sulla gestione finanziaria.
Allo stesso tempo, il Consiglio di Stato ampliò le sue funzioni giurisdizionali e di controllo sugli atti amministrativi, sviluppando una serie di principi giuridici, come quello di imparzialità e trasparenza nell'azione amministrativa, che diventeranno capisaldi del diritto amministrativo moderno.
L'era fascista e la centralizzazione amministrativa (1922-1943)
Con l'avvento del fascismo, il diritto amministrativo subì una profonda trasformazione. Il regime di Mussolini mirò a centralizzare ulteriormente i poteri dello Stato e ad accentrare il controllo sulla pubblica amministrazione, riducendo l'autonomia degli enti locali e dei funzionari pubblici.
Nel 1925 venne creata la figura del Segretario del Partito Nazionale Fascista, che assumeva un ruolo di controllo sull'amministrazione. Inoltre, la pubblica amministrazione fu posta sotto un controllo stretto del governo centrale, eliminando di fatto la separazione tra Stato e Partito. L'imparzialità della funzione pubblica fu compromessa, poiché i funzionari dovevano essere fedeli al regime.
Le riforme fasciste portarono anche alla creazione di enti pubblici economici, come l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), un ente economico che fu incaricato della gestione delle attività economiche di interesse nazionale.
Il secondo dopoguerra e la costituzione repubblicana (1948)
La fine della Seconda Guerra Mondiale e la nascita della Repubblica Italiana portarono a una nuova era per il diritto amministrativo italiano. La Costituzione del 1948 segnò una svolta significativa, introducendo principi democratici e di legalità nell'ordinamento giuridico italiano.
La Costituzione repubblicana attribuì un ruolo centrale alla tutela dei diritti fondamentali e stabilì principi basilari, come il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97), la trasparenza e l'accesso ai documenti amministrativi, e la giustiziabilità degli atti amministrativi. Questi principi servirono da base per lo sviluppo di un diritto amministrativo moderno, volto a garantire i diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.
Il Consiglio di Stato continuò a svolgere un ruolo fondamentale, ampliando le sue funzioni e garantendo una tutela efficace contro gli abusi dell'amministrazione. La Corte Costituzionale, istituita nel 1956, divenne l'organo deputato a garantire la conformità delle leggi al dettato costituzionale, inclusa la normativa amministrativa.
La riforma degli anni '90 e la nuova amministrazione pubblica
Negli anni '90, l'Italia attuò una serie di riforme amministrative ispirate al modello anglosassone di New Public Management, che miravano a rendere la pubblica amministrazione più efficiente e orientata al servizio ai cittadini. La riforma Bassanini (1997) fu uno dei pilastri di questo periodo, con l'obiettivo di semplificare l'apparato burocratico e di devolvere maggiori competenze agli enti locali.
Vennero introdotti principi di efficienza, efficacia e trasparenza, con l'obiettivo di avvicinare l'amministrazione ai cittadini e migliorare la qualità dei servizi pubblici. Il diritto di accesso agli atti amministrativi fu ampliato, e si rafforzò la responsabilità dei funzionari pubblici.
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