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EGIMI PROPRIETARI
la proprietà varia
a seconda proprietà privata
profilo qualitativo proprietà pubblica
Soggetto propr. individuale
profilo qualitativo propr. Collettiva
Proprietà come rapporto giuridico.
La dottrina tradizionale nega l’applicazione del concetto di rapporto giuridico alla proprietà.
L’obiezione principale addotta alla definizione di proprietà come rappaorto è
l’indeterminatezza dei soggetti titolari della situazione passiva.
Il Perlingieri sottolinea invece che il rilievo addotto dai tradizionalisti non è decisivo, in
quanto correlativamente ad un soggetto che è titolare di una situazione attiva di prorpietà, v’è
non un soggetto determinato ma la collettività, che si trova nella posizione di dover rispettare
la situazione e di non ingerirsi nella sfera del titolare.
Pertanto la proprietà è rapporto giuridico che si caratterizza:
sotto il profilo strutturale: come relazione tra la situazione del proprietario e quelle
che entrano in conflitto con questa e costituiscono centri di interessi antagonisti;
sotto il profilo funzionale: per il fatto che tra proprietario e vicini, tra proprietario e
terzi in generale, v’è non un rapporto di subordinazione dei secondi rispetto al primo, bensì
un rapporto di cooperazione; infatti il regolamento della proprietà talvolta dà prevalenza
all’interesse del proprietario, talaltra a quella di altri soggetti: si pensi alle immissioni (art.
844 cod. civ.) e ad altre attività che il vicino, nell’ambito della tolleranza, di una
cooperazione solidaristica, ha il diritto di compiere o per lo meno è autorizzato a compiere.
Poteri di godimento, di utilizzazione e di disposizione.
A norma dell’art. 832 cod. civ. «Il proprietario ha il diritto di godere e di disporre della cosa
in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti
dall’ordinamento giuridico».
Il «diritto di godere» e il «diritto di disporre» (non sono diritti autonomi bensí facoltà o
poteri insiti nella situazione proprietaria. Tuttavia vi sono ipotesi, come quella della vendita
di cosa altrui, nella quale la facoltà di disposizione del bene sembra staccata ed autonoma
completamente dalla titolarità del diritto di proprietà. Vi sono proprietà nelle quali sono
assenti certe forme di godimento e altre nelle quali manca una facoltà di disposizione;
disposizione e godimento, pur essendo caratteristiche normali della proprietà, non sono
essenziali e tipiche del diritto.
Il potere di godimento è concetto non univoco ed omogeneo, ma variabile,
contenutisticamente fungibile. V’è, ad esempio, una sostanziale diversità tra
a) i1 godimento della persona fisica: in tale ipotesi il godimento è strettamente
legato all’immediatezza della situazione con il soggetto fisico titolare;
b) il godimento di una persona giuridica: in tale ipotesi piú che di godimento si
tratta di «utilizzazione» del bene.
Il potere di disposizione non è un potere unitario e se ne devono cogliere i diversi
atteggiamenti che esso assume:
a) disposizione come atto negoziale (alienare il bene, costituire su di esso diritti
reali minori ecc.);
b) disposizione come atto materiale (trasferimento del bene da un luogo altro);
c) disposizione come scelta della destinazione da dare al bene.
Anche se il codice civile li richiama congiuntamente, tra il diritto di godimento e quello di
disposizione non esiste una correlazione necessaria. Vi sono infatti ipotesi nelle quali il
potere di disposizione spetta ad un soggetto, mentre il potere di godimento spetta ad altri
(c.d. proprietà formale e proprietà sostanziale: esempio il proprietario che ha dato in
usufrutto un bene ad un soggetto ha il solo potere edi disposizione, poiché il potere di
godimento sul bene spetterà al’usufruttuario).
Teoria dei limiti. Il legislatore, nell’attribuire al proprietario il «diritto di godere e disporre
delle cose in modo pieno ed esclusivo» aggiunge tuttavia che tali poteri debbono essere
esercitati «entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico». Il proprietario pertanto è titolare non soltanto di situazioni attive, come quelle di
godere e di disporre, ma è sottoposto anche ad obblighi di contenuto positivo, a
comportamenti i quali fanno ormai parte della definizione del diritto.
Sulla natura dei limiti al diritto di prorpietà, si discute molto:
la dottrina tradizionale ha sottolineato che i limiti e gli obblighi non fanno parte del
diritto di prorpietà, sono elementi esterni ad esso: essi, da questo punto di vista sarebbero
eccezionali, in quanto fanno eccezione alla assolutezza ed illimitatezza che come regola
caratterizza il diritto di proprietà;
Perlingieri, al contrario, non condivide tale tesi. La proprietà non è un diritto
soggettivo tout court. La proprietà è invece una situazione soggettiva complessa, laddove il
proprietario non è soltanto titolare di diritti, ma altresì di obblighi, oneri, vincoli, limiti ecc.
Dunque i limiti non sono elementi esterni al diritto, un posterius rispetto ad esso: la proprietà
non nasce libera da vincoli, i limiti sono interni al diritto nel senso che nascono col diritto e
Tra i limiti si pensi ad esempio:
casi in cui la legge stabilisce una pianificazione coercitiva (piani regolatori: art.
869 cod. civ.; artt. 7-17, 1.17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni);
limitazioni per interessi pubblici o individuali: espropriabilità per pubblico
interesse, già prevista dall’art. 834 cod. civ., richiamata dall’art. 42, comma 3, della
Costituzione; la requisibilità per gravi ed urgenti necessità pubbliche (art. 835 cod. civ.)
gli ammassi (art. 837 cod. civ.), e la confisca possono essere considerati limiti
nell’interesse pubblico ai poteri di disposizione e di godimento del proprietario (artt. 240,
722, 733 cod. pen.).
limitazioni che realizzano interessi individuali: il divieto di opporsi a talune
attività di terzi che il proprietario non ha interesse apprezzabile ad escludere (art. 840,
comma 2, cod. civ.).
Funzione sociale della proprietà
A norma dell’art. 42, comma 2, cost. «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne
la funzione sociale e di renderla accessible a tutti».
Secondo la dottrina tradizionale «la funzione sociale della proprietà è un limite esterno al
diritto di proprietà, è estraneo cioè rispetto alla struttura stessa della proprietà».
Il Perlingieri critica l’impostazione tradizionale sostenendo invece:
a) i limiti, in generale non sono mai profili esterni alla situazione, ma
costituiscono uno dei contenuti più pregnanti della stessa;
b) la funzione sociale, non è un elemento esterno al diritto di proprietà, essa
entra nel contenuto interno del diritto;
c) la funzione sociale non si identifica né con i limiti né con i vincoli al diritto
di proprietà, essa ha una sua autonomia rispetto ad essi;
d) se si identificasse con i limiti, essa rappresenterebbe una nozione di tipo
soltanto negativo, volta soltanto a comprimere i poteri proprietari;
e) essa è invece nozione di tipo positivo, anzi è possibile sostenere che
costituisce il presupposto, la giustificazione giuridica dei limiti e dei vincoli
al diritto di proprietà;
f) gli artt. 41, comma 2, 42 e 44 cost. attribuiscono alla funzione sociale non il
valore di una espressione riassuntiva (sintetica della teoria dei limiti che
caratterizzano la disciplina della proprietà), bensì un’efficacia dirompente,
nel senso che la funzione sociale è necessaria per l’individuazione del
contenuto della situazione giuridica soggettiva proprietaria;
g) in un sistema ispirato alla solidarietà politica, economica e sociale e al pieno
sviluppo della persona (art. 2 cost.) il contenuto della funzione sociale
assume un ruolo di tipo promozionale, nel senso che la disciplina delle forme
proprietarie e le loro interpretazioni dovranno essere attuate per garantire e
per promuovere i valori sul quali si fonda l’ordinamento.
h) la funzione sociale diviene «la ragione stessa per la quale il diritto di
proprietà è stato attribuito ad un certo soggetto», un criterio di azione per il
legislatore e di individuazione della normativa da applicare per l’interprete;
i) la funzione sociale non è soltanto espressione di un’esigenza produttivistica,
ma è soprattutto espressione di un’esigenza di economia nazionale e di
redditività, strumento cioè per poter meglio realizzare «equi rapporti sociali»
(art. 44 cost.) e «la personalità dei cittadini» in campo patrimoniale;
L’obiezione più comune rivolta alla concezione del Perlingieri consiste nel rimproverare alla
nozione di funzione sociale un’eccessiva vaghezza che ne vanificherebbe la portata: le
situazioni concrete dovrebbero necessariamente trovare una regolamentazione specifica.
Secondo il Perlingieri, l’obiezione si supera facilmente se si pensa che esistono nell’attuale
ordinamento giuridico moltissime nozioni vaghe (esempio le clausole generali quali la
correttezza, buone fede, diligenza, sono nozioni vaghe ma certamente utili), ma soprattutto in
certi periodi di trasformazione sono state proprio queste nozioni a dare il metro dalla
capacità di trasformazione di un’ordinamento.
Dunque secondo il Perlingieri la funzione sociale, intesa quale titolo giustificativo, causa
dell'attribuzione della proprietà, può essere espressa sotto diversi profili:
come ratio legittimante l’intervento ed il controllo del legislatore: tali
interventi legislativi devono essere sottoposti comunque ad un controllo di conformità
costituzionale. La funzione sociale quindi rappresenta un essenziale punto di riferimento in
sede di controllo di legittimità della legge ordinaria. Mediante il giudizio di conformità della
legge ordinaria alla funzione sociale si realizza il controllo di legittimità costituzionale che
tende a verificare se l’organo legislativo, nel compiere una valutazione dei fini di utilità
generale e dei mezzi per realizzarli, non sia stato orientato «da criteri illogici, arbitrari e
contraddittori» o che i mezzi predisposti siano «assolutamente inidonei o contrastanti con lo
scopo che essa doveva conseguire» o idonei a r