All’art. 3 del decreto legislativo citato si fa obbligo che gli atti (ricorso, sentenza e atti delle
parti), debbano essere redatti in modo chiaro e sintetico. L’arti. 7 del decreto legislativo
citato fissa la giurisdizione del giudice amministravo quando si faccia questione di interessi
legittimi. Il soggetto che ha emesso l’atto di diniego di cui si dice nella traccia, risulta di
tutta evidenza una Pubblica Amministrazione, e come tale, quale organo amministrativo
sottoposto ai principi della legge sul procedimento amministrativo, che è la legge n.
241/1990 e successive modificazioni.
L’art. 8 del C. di procedura in materia di giudizi amministrativi, che è la legge n. 104 del
2010 sopracitata, chiarisce che il giudice amministrativo conosce anche le questioni
incidentali e pregiudiziali, la cui soluzione sia necessaria per pronunciare la questione
principale portata in giudizio dal ricorso.
L’art. 133 lettera a) del codice di procedura amministrativa, regola anche la devoluzione del
giudizio amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Tra le materie della giurisdizione esclusiva, figura anche al numero 1 della lettera a) dell’art.
133 l’obbligo del rispetto dell’art. 3, primo e terzo comma della legge 241/1990 e
successive modificazioni; viene cioè normato per quel che nel caso prospettato può risultare
rilevante, il generale principio dell’obbligo di motivazione sul provvedimento
amministrativo emesso dalla Pubblica Amministrazione. Appare così in modo letterale ed
incontestabile come ogni provvedimento amministrativo debba essere motivato e che la
motivazione debba indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’Amministrazione, notificata al cittadino.
Per il caso di specie, appare evidente che la motivazione del provvedimento non possa
poggiare né sul rapporto informativo trasmesso dalla Questura di Alfa, in quanto riguarda
infondate questioni di carattere penale che non attestano in effetti alcuna prova di
intervenuta condanna nella sede penale; né peraltro può ritenersi rilevante e fondata la
sussistenza di una sanzione amministrativa connessa alla violazione dell’art. 186, comma 2
lettera a) del Codice della strada, in quanto in quel caso, la sanzione ha solo un puro rilievo
amministrativo, peraltro ammesso anche in sede di provvedimento di diniego da parte dello
stesso Ministero dell’Interno.
Infine, la motivazione che riguarda la persona del richiedente come soggetto, che “denota
un’insensibilità al rispetto del Codice delle norme della strada, che è stata causa soprattutto
negli ultimi anni, di un numero enorme di incidenti stradali che mettono a rischio
l’incolumità delle presone”, risulta del tutto illegittima e fuorviante in quanto non è in alcun
modo conferente con i veri presupposti soggettivi, sottesi al provvedimento di diniego della
domanda di concessione della cittadinanza italiana.
Risulta a tale riguardo che l’art. 9 lettera f) della legge n. 91/1992 sia determinante per
l’individuazione del vero presupposto di legge previsto per la concessione della cittadinanza
italiana che è quello di essere stati legalmente residenti nel territorio della Repubblica
italiana da almeno dieci anni.
Questo dato non risulta contestato da parte del Ministero degli Interni; pertanto, il
provvedimento risulta illegittimo per aver totalmente disatteso gli elementi essenziali su cui
l’atto di diniego doveva trovare la sua motivazione.
Concludendo, si può dire che il provvedimento di diniego di data 21/09/2024 del Ministero
degli Interni debba essere annullato dal TAR competente per territorio, stante l’assoluta
fuorviante motivazione, eccesso di potere e violazione di legge.
Soluzione
Tutela di Caio sul piano sostanziale e procedurale, avverso il provvedimento di diniego
della cittadinanza italiana da parte del Ministero dell’Interno.
Nell’ottica della tutela degli interessi legittimi di Caio, appare contestabile il provvedimento
emanato dal Ministero dell’Interno nello svolgimento della sua funzione amministrativa.
Tale contestazione si basa sui seguenti punti:
I. L’azione intrapresa dal Ministero dell’Interno non ha rispettato il termine temporale
di definizione del procedimento, previsto all’art. 9 ter della legge n. 91/1992,
aggiornata dal d.l. n. 130/2020. Da quest’ultimo aggiornamento, infatti, il termine è
stato abbreviato a 24 mesi, prorogabile fino al massimo di 36 mesi dalla data di
presentazione della domanda. Nel caso di specie, la decisione è stata presa ben oltre
il termine massimo di 24 mesi a partire dalla data di istanza di Caio. Inoltre, anche
ammesso che ci siano stati particolari ritardi giustificabili o proroghe specifiche nel
processo, il termine massimo per la decisione di 36 mesi è altrettanto stato
oltrepassato.
La violazione dei termini per l'emanazione di un provvedimento può rendere il
provvedimento stesso impugnabile davanti al Tribunale Amministrativo Regionale
(TAR). Nel caso di specie si potrà validamente contestare il ritardo come esempio di
inefficienza o irragionevolezza nell'esercizio delle funzioni amministrative. Il ritardo
di oltre tre anni per un provvedimento che generalmente dovrebbe essere concluso
entro 24 mesi potrebbe non solo fornire un solido fondamento per un'impugnazione,
ma anche sollevare questioni riguardanti la necessità di una risposta più tempestiva e
attenta alle esigenze dei richiedenti da parte dell'amministrazione.
La stessa legge amministrativa obbliga, ai sensi dell’art. 2 della l. 241/1990, la
pubblica amministrazione a concludere il procedimento con l’adozione di un
provvedimento espresso, quando il procedimento sia conseguito ad un’istanza; e in
particolare all’art. 2 bis, comma 1, della stessa norma, è stabilito che le “pubbliche
amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in
conseguenza dell’inosservanza, dolosa o colposa, del temine di conclusione del
procedimento”, inoltre al comma 1-bis è previsto che “fatto salvo quanto previsto dal
comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici,
in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di
parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un
indennizzo per il mero ritardo (…)”.
È infatti pensabile che il ritardo ingiustificato nella conclusione del procedimento, da
parte della Ministero dell’Interno, potrebbe aver cagionato danni o pregiudizi, sia
economici che giuridici, al ricorrente Caio. In tal caso la pubblica amministrazione in
questione potrebbe rispondere dei danni con un indennizzo.
II. Le ragioni addotte dal Ministero nella motivazione del provvedimento non appaiono
sufficientemente fondate per determinare il diniego dell’istanza di Caio.
Circa il primo motivo che correda il provvedimento del Ministero è da ritenersi privo
di fondatezza, in quanto Caio non è mai stato condannato in sede penale.
La l. 91/1992 stabilisce i criteri per la concessione della cittadinanza, e in particolare
l’art. 6 elenca le cause ostative all’acquisto della cittadinanza; al comma 1 lett. a), b),
c) prevede che determinate condanne penali oppure la sussistenza di comprovati
motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica comportino il diniego dell’istanza
all’acquisto della cittadinanza. Nella fattispecie in esame, Caio non è mai stato
condannato a nessuno dei reati in questione, pertanto tali motivi non possono essere
rilevanti nel determinare se l’istanza di Caio debba essere accolta o meno.
L’art. 8 della stessa normativa, prescrive che il Ministro dell’Interno respinge con
decreto motivato, l’istanza di parte, ove sussistano le cause ostative previste nell’art.
6; appare perciò evidente come la motivazione del provvedimento di diniego in
esame non abbia seguito la logica giuridica e coerenza applicativa della normativa
che sta alla base.
Con riguardo alla seconda motivazione dell’amministrazione pubblica, si deve
altrettanto concludere che, l’illecito amministrativo commesso da Caio in data
17.05.2017, il quale sebbene non abbia rilevanza penale, secondo l’argomentazione
della pubblica amministrazione denoterebbe “un’insensibilità al rispetto delle norme
del codice della strada, che è stata causa, soprattutto negli ultimi anni, di un numero
enorme di incidenti stradali che mettono a rischio l’incolumità delle persone”, non
possa essere un valido motivo che comporta il diniego dell’istanza.
Innanzitutto, la pubblica amministrazione sembra voler generalizzare una singola
condotta sbagliata di Caio e delineare un “atteggiamento insensibile” alle regole del
Codice della Strada, in favore della tesi preclusiva della concessione della
cittadinanza. L’argomentazione prosegue addirittura fino a voler sottintendere che
Caio con tale “atteggiamento” possa causare incidenti stradali ed essere in tal modo,
un soggetto pericoloso per l’incolumità delle persone.
Il provvedimento dell’amministrazione pubblica appare dunque gravemente
compromesso da violazione di legge, carenza motivazionale, eccesso di potere e
illogicità manifesta, tali da mettere in dubbio la legittimità della decisione e la
correttezza del procedimento amministrativo.
Nello specifico, la violazione di legge è motivata dal fatto che la decisione della
pubblica amministrazione non è fondata su un precetto normativo, quale quello
fissato all’art. 6 o all’art. 8 della normativa sopra citata, risultando invece una mera
motivazione avulsa dal dettato di tali norme e quindi in piena violazione rispetto a
quanto in esse previsto.
Il decreto negativo non poi è sufficientemente motivato. La carenza di motivazione si
verifica quando le ragioni di un provvedimento non sono chiaramente spiegate, o
sono insufficienti o non pertinenti alla decisione presa. Nel caso di Caio si presentano
errori di valutazione dei fatti, inoltre essendo le condanne penali insussistenti, il
provvedimento non risulta soltanto erroneo ma anche del tutto immotivato. La legge
n. 91/1992 richiede che non vi siano condanne penali gravi per la concessione della
cittadinanza; quindi, il rifiuto basato su tale presupposto è infondato. Ciò denota in
parallelo anche una carenza istruttoria.
Il Ministero ha poi utilizzato criteri non pertenenti all’istanza da valutare; ha infatti
considerato precedenti penali che non hanno portato a condanne definitive e ha dato
eccessivo peso ad una sanzione amministrativa minore. Questa valutazione si
discosta dai relativi specifici requisiti per la concessione della ci
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Caso 3 dell'esercitazione di Diritto amministrativo
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Caso dell'esercitazione di Diritto amministrativo
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Caso 5 dell'esercitazione di Diritto amministrativo
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