Il lavoro si propone di definire il maltrattamento, dai primi studi, fino alle linee guida più recenti, evidenziando le varie tipologie di maltrattamento e le conseguenze psicofisiche che ne conseguono. Si sono messe in luce le numerose interazioni tra le diverse variabili che possono diventare al contempo, facilitatori di maltrattamento o elementi di protezione. Nonostante la difficoltà di reperire i dati statistici, la tesi punta a evidenziare ciò che si conosce sulle dimensioni del fenomeno del maltrattamento sui bambini disabili. In particolare l’accento è posto sulla situazione in Italia, paese in cui vi sono ancora molteplici lacune, sia a livello legislativo che di raccolta dati, rispetto a questo fenomeno.
L’elaborato si sofferma anche sul termine disabilità e sull’evoluzione del suo significato, partendo dalla prima classificazione, nel 1981 dell’ICIDH, fino alla più recente dell’ICF, di cui sono descritte caratteristiche, finalità e livelli di intervento ad esso connessi; in particolare, la trattazione dell’ICFCY, strumento di classificazione specifico, che descrive il funzionamento della disabilità e della salute del bambino e dell’adolescente disabile, punta a mettere in luce i diritti sociali e scolastici dei minori disabili.
Legato al tema del maltrattamento sui disabili e ai contesti in cui esso è più frequente, vi è la trattazione del concetto di resilienza, ossia della capacità degli esseri umani e di alcuni, in particolare modo, di saper trasformare un evento critico e potenzialmente destabilizzante, come è un maltrattamento, in un motore di ricerca personale, che permette di riorganizzare positivamente la propria esistenza.
Questa nuova prospettiva diventa pertanto fondamentale in qualsiasi intervento preventivo, sia all’interno della famiglia, che nella scuola, nei centri di recupero, nella vita sociale del bambino disabile. Oggi la clinica può contare su alcune tecniche specifiche, a cui il lavoro fa riferimento, al fine di costruire percorsi di resilienza basati sulle relazioni interpersonali e reti di sostegno che favoriscano il senso di sicurezza interno e una buona stima di sé.
L’attenzione punta non solo al soggetto maltrattato, ma anche alle cause del maltrattamento stesso. In quest’ottica il lavoro affronta il fenomeno del burnout del caregiver, riconosciuto ormai come patologia da “rischio emergente” che può colpire genitori, educatori, medici e insegnanti, si assiste ad un totale disinvestimento emotivo, con il conseguente rischio di assunzione di atteggiamenti violenti nei confronti dei bambini a cui sono rivolte le cure.
Il lavoro si conclude con un’ampia riflessione sull’importanza di approntare un’efficace prevenzione del burnout, attraverso una costante formazione professionale e di sostegno familiare, che aiuti ad anticipare atteggiamenti violenti sui bambini disabili. Viene data così, una collocazione primaria alla famiglia e al percorso che essa affronta nell’accogliere e comprendere la disabilità del proprio figlio, analizzando degli specifici modelli di prevenzione, come l’educazione familiare, l’home visiting, il respite care, i gruppi di auto mutuo aiuto, considerati fondamentali fattori esterni di sostegno per il nucleo familiare. Anche la scuola ha un ruolo centrale nella prevenzione del maltrattamento. Viene, quindi rimarcato che, nonostante i pochi dati epidemiologici, l’unico modo per evitare il fenomeno del maltrattamento è la prevenzione, di cui l’intera società si deve far carico sostenendo le famiglie, la comunità, la scuola, i centri di recupero, gli ospedali, le parrocchie coltivando insieme una idea di cambiamento.
Il lavoro si chiude con una riflessione sul ruolo dello psicologo clinico. Il suo intervento nell’ambito della disabilità deve considerare la necessità di fornire risposte multidisciplinari, biologiche, sociali, psichiche proiettate allo sviluppo del bambino disabile verso modalità che siano più funzionali alla sua condizione di salute e al suo contesto di vita.
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