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GC.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il
licenziamento collettivo per riduzione di personale
l58.
L’art. 3, legge n. 604 del 1966 prevede, oltre al giustificato motivo soggettivo, il
licenziamento, con preavviso, per giustificato motivo oggettivo (GMO) originato da ragioni
tecniche, organizzative, produttive, per l’organizzazione del lavoro e per il regolare
funzionamento dell’organizzazione del lavoro. Questo licenziamento, detto anche
“tecnologico”, si caratterizza per la soppressione del posto di lavoro originariamente
occupato dal dipendente, a seguito di una scelta organizzativo-gestionale operata
dall’imprenditore. La giurisprudenza formatasi, anche di recente, sul licenziamento per
GMO ha individuato due presupposti indefettibili di legittimità dello stesso. Anzitutto
occorre che la scelta datoriale di soppressione del posto di lavoro costituisca una
extrema ratio per l’imprenditore ossia che si caratterizzi per la necessarietà ed inevitabilità
della stessa. Poi occorre che il datore di lavoro fornisca la prova di aver assolto
all’obbligo di repêchage ossia alla verifica della non ulteriore utilizzabilità del dipendente
in mansioni comprese nel proprio livello di inquadramento ai sensi dell’art. 2103 c.c.
Allorché il licenziamento per GMO riguardi una pluralità di lavoratori potrà restare
fondamentalmente un atto di recesso individuale-plurimo oppure trasformarsi in un
licenziamento collettivo per riduzione di personale ove ne ricorrano le condizioni legali di
cui agli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223 del 1991. Tale legge contiene, infatti, la nozione di
legge (per la prima volta nel nostro ordinamento) di licenziamento collettivo che ricorre
quando, per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro (elemento qualitativo) il
datore di lavoro ponga in essere almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni (elemento
quantitativo), in una unità produttive con più di 15 dipendenti.
Il licenziamento per eccessiva morbilità e per scarso
rendimento l59.
La pressante problematica relativa al c.d. licenziamento per eccessiva morbilità ha subito
negli ultimi anni una considerevole battuta di arresto in ragione del fatto che la gran parte
dei CCNL hanno espressamente regolamentato, accanto al c.d. comporto secco anche il
c.d. comporto frazionato o per sommatoria, con la previsione di un arco temporale di
riferimento all’interno del quale le più assenze possono sommarsi come se si trattasse di
un unico episodio morboso ai fini dell’applicabilità dell’art. 2110 c.c. Anche il c.d.
si fonda naturalisticamente una scarsa o
licenziamento per scarso rendimento
qualitativamente scadente produttività del lavoratore, con la conseguenza che tale istituto
può essere ascritto a mancanze di tipo soggettivo oppure oggettivo. Avremo quindi uno
scarso rendimento legittimante il licenziamento per GMS allorché il dipendente, con
reiterate disattenzioni o noncuranze, dolose o colpose, commetta un’infrazione
disciplinare, rendendo la sua prestazione, in tutto o in parte, inservibile o inutilizzabile per
il datore di lavoro. Avremo invece uno scarso rendimento legittimante il licenziamento per
GMO quando le noncuranze e le disattenzioni del lavoratore non denotino una colpa del
lavoratore bensì una sua palese inidoneità professionale allo svolgimento delle mansioni
affidategli.
Intimazione del licenziamento, termini di
impugnazione, vizi formali, e procedurali l60.
sappiamo che il licenziamento (come anche le dimissioni) costituisce, sotto il profilo
civilistico, un negozio giuridico unilaterale (art. 1324 c.c.) e recettizio (art. 1335 c.c.)
produttivo dei propri effetti allo scadere del periodo di preavviso (art. 2118 c.c.), salva la
giusta causa (art. 2119 c.c.) o licenziamento in tronco, anche se, nella pratica, il datore
attribuisce sempre al recesso effetto immediato. La giurisprudenza è al fine di evitare
abusi da parte del lavoratore che potrebbe essere indotto a procrastinare la cessazione
del rapporto, sospendendo il decorso del preavviso con malattie, infortuni, gravidanze,
cariche politiche o sindacali, etc. 2, legge n. 108/1990 come modificato dal d.lgs. n.
23/2015), a pena di nullità, e deve contenere la contestuale esposizione dei motivi di
recesso. Trattandosi di un atto recettizio (art. 1335 c.c.) produrrà i propri effetti al
momento cui entra nella sfera di conoscibilità del destinarlo (residenza, dimora, domicilio
o altro luogo), salvo che costui non provi di essere stato, senza sua colpa,
nell’impossibilità di averne notizia. Dalla data di ricezione del licenziamento sul lavoratore
grava un doppio termine decadenziale (art. 6, legge n. 604/1966 come modificato dall’art.
32, comma 5, legge 183/2010): dovrà impugnare il licenziamento in via stragiudiziale (con
raccomandata AR o PEC) nei confronti del datore di lavoro entro 60 gg. dalla ricezione
dell’atto di recesso; poi dovrà depositare entro i successivi 180 gg., presso il Tribunale
competente, Sezione Lavoro, il ricorso giudiziario ordinario ex art. 414 c.p.c., oppure il
ricorso c.d. Fornero ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012, o infine il ricorso cautelare ex
art. 700 c.p.c. Il mancato rispetto anche di uno solo dei predetti termini condurrà ad una
improcedibilità dell’impugnazione del licenziamento.
La disciplina del licenziamento per i lavoratori assunti
prima del 7 marzo 2015. L61
Prima dell’entrata in vigore della c.d. Riforma Fornero (legge n. 92/2012) e del contratto a
tutele crescenti c.d. Jobs act, la disciplina sanzionatoria sui licenziamenti si presentava
ormai da anni consolidata e molto meno incerta e frastagliata rispetto a quella attuale.
Anzitutto veniva operata una summa diviso tra la c.d. tutela obbligatoria debole (art. 8,
legge n. 604/1966) e la c.d. tutela reale forte (art. 18 SL) del posto lavoro. La tutela reale
trovava indifferenziatamente applicazione ai licenziamenti (nulli, annullabili o inefficaci)
intimati a lavoratori occupati in unità produttive con più di 15 dipendenti, ovvero con più
di 15 addetti a livello endocomunale (sommando gli occupati nelle varie unità produttive
più piccole dello stesso comune del medesimo datore di lavoro) o, infine, più di 60
lavoratori a livello nazionale In questi casi, ogni tipo di vizio che inficiasse il licenziamento
(nullità, annullabilità o inefficacia) dava luogo all’applicazione dell’art. 18 SL (vecchio
testo) ossia alla reintegrazione nel posto di lavoro. Di Contro, ai sensi dell’art. 18 SL il
lavoratore reintegrato, in forza di un provvedimento giudiziale (sentenza oppure
ordinanza), ottiene la ricostituzione ope iudicis del pregresso rapporto di lavoro, dalla data
del licenziamento viziato fino a quella di effettiva riammissione in servizio; per il pre-
sentenza il lavoratore ha diritto ad un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni
globali di fatto e contribuzioni previdenziali ed assicurative maturate e non percepite ante
tempus,(con un minimo di 5 mensilità), mentre dalla data della sentenza in poi ha diritto
alla normale retribuzione e contribuzione essendo stato ricostituito il normale sinallagma
contrattuale. Se il datore di lavoro non dovesse riprendere in servizio il dipendente
reintegrato a quest’ultimo spetterà la normale retribuzione e contribuzione secondo i
principi sulla mora accipiendi di cui all’art. 1206 c.c.
La nuova disciplina dei licenziamenti per i lavoratori
assunti dopo il 7 marzo 2015 l62.
Con la più recente riforma in materia di licenziamenti c.d. Jobs act d.lgs. n. 23/2015,
applicabile ai rapporti di lavoro dei nuovi assunti dopo il 7 marzo 2015, si restringono
ancor più le tutele dei lavoratori contro il licenziamento illegittimo. Anzitutto, possono
accedere alla tradizionale reintegrazione nel posto di lavoro solo le seguenti situazioni:
licenziamento verbale, discriminatorio, per causa di matrimonio, della lavoratrice
gestante, per motivo illecito unico e determinante; resta il limite minimo delle 5 mensilità
dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR così come l’opzione alternativa alla
riammissione in servizio di 15 mensilità; nel caso di licenziamento illegittimo nel senso
deprivo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo ed oggettivo opera sempre la
tutela indennitaria: il giudice dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento e al
lavoratore è riconosciuta una indennità risarcitoria da 4 a 24 mensilità di retribuzione utile
al calcolo del TFR (2 mensilità per ogni anno di servizio); solo nel caso di licenziamento
per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ove ricorra l’insussistenza del fatto
materiale contestato il giudice annulla il licenziamento, ordina la reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro e gli riconosce una indennità risarcitoria fino ad un massimo
di 12 mensilità; nel caso di vizi motivazionali, violazioni del procedimento disciplinare,
omessa o incompleta comunicazione di avvio del licenziamento collettivo, erronea
valutazione dei criteri di scelta, il giudice dichiara l’estinzione del rapporto alla data del
licenziamento, e condanna il datoredi lavoro alla corresponsione di una indennità
risarcitoria da 2 a 12 mensilità utile per il calcolo del TFR.
il licenziamento ad nutum. L63
Per licenziamento ad nutum s'intende il caso in cui il datore di lavoro licenzia il lavoratore
senza fornire alcuna motivazione e senza motivazione di giusta causa, ma con l'unico
vincolo del preavviso. Si applica in vari casi, tra cui il lavoro domestico di colf e badanti.
Ad esempio anche nel lavoro in prova ex art. 2096 c.c. è sempre consentita la libera
recedibilità delle parti, a prescindere dall’esito della prova, salvo che non sia pattuita una
durata minima obbligatoria della prova stessa. Anche se una giurisprudenza risalente
esigeva che il licenziamento durante il periodo di prova dovesse essere sempre
causalmente collegato all’esito negativo della prova stessa. Anche nel lavoro dirigenziale
si può parlare di libera recedibilità poiché l’art. 10, della legge n. 604 del 1966, introduce il
regime vincolistico solo per operai, impiegati e quadri. Pertanto nel lavoro dirigenziale vi è
libertà di recesso anche se i vari CCNL di settore prevedono che in caso di
ingiustificatezza del licenziamento al dirigente spetti una indennità supplementare di
preavviso, computata sull’anzianità anagrafica dello stesso, che dovrà essere accertata in
sede di arbitrato irrituale ex art. 808 c.p.c. E’ illegittimo il licenziamento ad nutum intimato
di un direttore di giornale.
nei confronti
Le dimissioni e la risoluzione consensuale del