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allo stesso modo nell’onore, nel patrimonio, nella stessa salute, e tanto infimo che in tutto il mondo
non si trova uno uguale alla sua miseria”.
Così disse e baciato a lungo il figlio premendolo dolcemente (a sé), si avvia verso le coste vicine da
cui rifluisce il mare, e calcando sulla superficie le rosee piante dei flutti vibranti eccola che già si
risiede sul fondo asciutto del mare, inizia a volerlo e subito, quasi l’avesse in precedenza da molto,
non indugia l’ossequio marino: arrivano le figlie di Nereo cantando in coro, Portunno ispido di peli
cerulei, Salacia col seno carico di pesci e il piccolo Palemone auriga del delfino; già le schiere dei
Tritoni saltellanti per tutti i mari, questo suona con la tromba dolcemente di una conchiglia
risonante, un altro stende un vestito di seta per il fiammeggiare del sole ostile, un altro ancora porta
lo specchio sotto gli occhi della dea, altri per coppie nuotano sotto il carro. Questa è l’esercito che
accompagna Venere che si dirige verso l’Oceano.
32.
Intanto Psiche, con la sua straordinaria bellezza, non raccoglie alcun frutto dalla sua grazia. Tutti la
contemplano, tutti la lodano, ma nessuno, né re, né di rango reale, né plebeo si fa avanti almeno
come pretendente desideroso di sposarla. Ammirano di certo l’aspetto divino, ma tutti la ammirano
come una statua abilmente lavorata.
Una volta le due sorelle maggiori, la cui modesta bellezza nessun popolo aveva reso famose,
promesse a pretendenti regali ormai già avevano ottenuto le beate nozze, ma la vergine e sola
Psiche rimasta in casa piange la sua disperata solitudine malata di corpo e ferita nell’animo, e prova
odio dentro di sé benché ammirata per la sua bellezza da tutti quanti. Così l’infelicissimo padre
della sfortunatissima figlia, sospettando odi celesti e temendo l’ira divina, consulta il vecchissimo
oracolo del dio di Mileto, e con preghiere e vittime chiede un così grande nume nozze e marito per
quella vergine sgradita. Ma Apollo, benché Greco e Ionio, per riguardo all’autore della milesia
risponde cosi in lingua latina:
33.
“Sulla rupe di un alto monte, o re, poni la fanciulla
ornata con l’abbigliamento del letto di morte.
Non sperare un genero nato da stirpe mortale,
ma un crudele, feroce e viperino male,
che volando con le ali sopra l’etere stanca tutti
e con le armi e col fuoco debilita ogni cosa,
che trema lo stesso Giove e a lui i numi sono spaventati,
e orridiscono i fiumi e le tenebre Stigie”.
Il re, un tempo felice, raccolte le parole del sacro vaticinio, triste e malinconico se ne torna a casa e
spiega alla moglie i comandi dell’infausto responso. Ci si affligge, si piange, si lamenta per più e
più giorni. Ma già preme il tetro effetto del funesto responso. Già si prepara all’infelicissima
vergine l’abbigliamento delle ferali nozze, la luce della fiaccola già si smorza nella cenere nera di
fuliggine, e il suono della tibia nuziale si muta nei lamentevoli modi lidii e il lieto canto dell’imeneo
si conclude in un lugubre ululato e la fanciulla promessa a sposa si asciuga le lacrime col suo stesso
velo.
Così tutta la cittadinanza compiangeva il triste destino della casa colpita e subito si ordina la
chiusura dei tribunali in congruenza col lutto cittadino (pubblico).
34.
Ma la necessità di obbedire ai moniti celesti premeva la misera Psiche alla pena destinata.
Dunque terminate le solenni cerimonie con grandissima tristezza per il talamo funebre, il funerale di
una persona viva si avvia seguito da tutto il popolo che accompagna Psiche che piange non alle
nozze ma alle sue esequie. E mentre i genitori, tristi e sconvolti, esitano a portare a termine una
sventura così grande, quella stessa figlia li esorta con queste parole: