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ELABORATO
The Ruins of Palmyra di R. Wood: la riscoperta
dell’architettura antica nel Vicino Oriente
Studente:
Annachiara Callegaro
119483
LM – Storia dell’Arte e conservazione dei beni storico-artistici
Oggi la città-oasi di Palmira nel deserto siriano è tristemente nota al mondo occidentale per i
recenti attacchi militari subiti ai danni del suo considerevole patrimonio archeologico, che dal 1980
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rientra nei beni dell’UNESCO , ma fino al XVII secolo il sito era praticamente sconosciuto
2
all’Europa, fatte salve alcune spedizioni che si erano spinte fino ad esso già agli inizi del ‘600 , tra
cui quella compiuta dall’italiano Pietro Della Valle a metà degli anni Dieci del Seicento e quella del
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francese G.B. Tavernier (1630) .
Al centro del presente saggio è il contributo dato alla riscoperta di Palmira e della sua architettura e
alla sua considerazione all’interno del generale clima neoclassico che pervadeva l’Europa nel XVIII
da Robert Wood, che nel 1753 pubblicò The Ruins of Palmyra, otherwise Tedmor in the Desart,
frutto del suo viaggio nel Vicino Oriente. Riteniamo che l’opera possa porsi a fianco di
pubblicazioni come Le antichità di Ercolano esposte (pubblicate tra il 1757 e il 1792), Les ruines
des plus beaux monuments de la Grèce (1758) di Julien-David Le Roy o The Antiquities of Athens
di Nicholas Revett e James Stuart (i quattro volumi dell’opera apparirono tra il 1762 e il 1816) per
le informazioni fornite sui resti architettonici studiati, tanto in forma scritta quanto – e soprattutto –
sotto forma di immagini. Quelle pubblicate da Wood, infatti, non sono vedute pittoresche di rovine
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sperse nel deserto
Situata in un’oasi a metà strada tra il Mediterraneo e l’Eufrate, a circa 240 km a nord-est di
Damasco, la città di Palmira fiorì e si espanse grazie alla sua posizione strategicamente rilevante
sulle rotte commerciali che collegavano il Vicino Oriente e il Nord Africa al Medio Oriente e
all’India. Si hanno notizie di Palmira fin dal II millennio a.C., in quanto citata con il suo nome
ebraico Tadmōr sia in archivi assiri sia nell’Antico Testamento, ma mancano testimonianze
archeologiche di questo lungo periodo, mentre i dati a disposizione danno informazioni certe solo
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dal I secolo d.C. .
Dal 183 d.C. la città divenne ufficialmente colonia romana, uno status che non le fu certo
favorevole, in quanto inficiava i suoi rapporti commerciali – vitali per un centro che, come Palmira,
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basava la propria sopravvivenza sul commercio a causa della scarsità di suolo coltivabile . Sotto gli
imperatori bizantini la città riacquista parte del suo passato splendore, finché, all’inizio del VII
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secolo entra a far parte dei domini musulmani .
1 http://whc.unesco.org/
2 Ci sarebbe poi il caso del rabbino spagnolo Beniamino di Tudela, che tra il 1159 e 1173 viaggiò da Navarra a
Baghdad per visitare le colonie ebraiche; dal suo viaggio egli trasse i Massā‛ōt, testo per lungo tempo conosciuto
solo in lingua ebraica, ricco di dati storici e riguardanti le condizioni della religione, ma che non consideriamo ai
fini di questo saggio in quanto, nonostante scarso di osservazioni personali, manca di quella attenzione erudita
tipica delle pubblicazioni scientifiche qui analizzate (“Beniamino Ben Jonah di Tuleda”, voce dell’Enciclopedia
Italiana, Treccani, 1930).
3 “Palmira”, voce dell’Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, Treccani, 1963
4 Anche se non manca nelle vedute panoramiche l’inserimento di personaggi in diversi atteggiamenti (a cavallo,
intente ad osservare il panorama, a tracciare disegni…) che potrebbe sminuire il valore scientifico dell’incisione;
tuttavia, si potrebbero considerare come una sorta di unità di misura per mostrare al lettore la reale dimensione delle
costruzioni rispetto alla figura umana.
Nel ponderare la scientificità del lavoro di Wood riteniamo che abbiano un peso tutte quelle sue annotazioni di
sapere quasi romantico, per non dire pittoresco, nelle quali indulge in diversi punti del suo discorso: sottolineando il
suo amore per i classici greci, ricorda come essi abbiano tutt’altro sapore se letti nelle terre dove sono ambientati,
un commento che pensiamo infici la veste di rigore scientifico che intendeva dare al suo lavoro.
5 Tuttavia sono presenti architetture monumentali di epoca ellenistica (Treccani 1963).
6 R. Wood, The Ruins of Palmyra, otherwise Tedmor in the Desart, 1753
7 Treccani 1963 8
Risale al 1691 la prima spedizione verso Palmira i cui partecipanti – dei mercanti inglesi
stanziati ad Aleppo dalla Compagnia del Levante e alcuni intellettuali – raggiunsero la città con il
solo intento di studiarla; dalla missione nacquero una serie di articoli, pubblicati da Philosophical
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Transactions, rivista della Royal Society specializzata in studi scientifici ed umanistici . Tra questi
vi era “Some Account of the Ancient State of the City of Palmira, with Short Remarks upon the
Inscriptions Found there” di Edmond Halley, ricordato da Wood nel capitolo del suo libro
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riguardante le iscrizioni . Assieme agli articoli fu pubblicata anche una veduta a 180° della città
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vista da nord-est (fig. 1), la cui importanza sta tanto nel fatto di essere la prima immagine di
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Palmira pubblicata quanto nel costituire uno strumento scientifico utile al lettore per orientarsi
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nella lettura del resoconto .
Fig. 1: "A view of the Ruines of Palmyra alias Tadmor, taken on the Southern Side" (da Philosophical Transactions,
218 (1695)
Nel 1749 Robert Wood (1717? - 1771) lascia l’Inghilterra per intraprendere un viaggio che
lo porterà prima nell’arcipelago greco e nell’Asia Minore, poi in Siria e in Palestina ed infine in
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Egitto, dal quale ripartirà alla volta della patria . Ad accompagnarlo ci sono l’archeologo James
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Dawkins (1722 – 1757) e John Bouverie (che però muore nel 1750, mentre i tre si trovavano in
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Magnesia ), con i quali aveva già compiuto dei viaggi in Francia e in Italia . Come ricorda Wood
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stesso lo scopo del viaggio è lo studio delle antichità che la spedizione incontrerà nel suo percorso
e, per tal fine, i tre appassionati di antichità trascorrono l’inverno a Roma per raccogliere quante più
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informazioni sui luoghi da studiare .
8 Già nel 1678 un gruppo di inglesi aveva tentato di raggiungere la città, ma era caduto prigioniero dai beduini
(Treccani 1963).
9 Wood 1753, G. Astengo, “The rediscovery of Palmyra and its dissemination in Philosophical Transactions”, Royal
Society Publishing, 2016
10 Wood 1753
Delle incisioni pubblicate da Halley, solo una non è stata poi ritrovata anche dalla spedizione di Wood.
11 L’incisione si basa probabilmente su un disegno del pittore olandese G. Hofstede Van Essen, che prese parte alla
spedizione del 1691 (Astengo 2016).
12 Astengo 2016
13 Se si legge l’immagine da sinistra verso destra (cioè dal Tempio di Bēl alle tombe) è infatti possibile seguire
l’effettivo percorso compiuto dal gruppo nella città (Astengo 2016).
14 Per un resoconto completo dei luoghi visitati da Wood si veda “The Publisher to the Reader”, in Wood 1753.
15 Oltre a collaborare con Wood nella realizzazione di The Ruins of Palmyra e di The Ruins of Balbec, otherwise
Helipolis in Cœlosyria, aiutò Stuart e Revett nei rilevamenti dei resti greci di Atene a tal punto che nella prefazione
dell’impresa è espressamente ringraziato da Stuart (“James Dawkins”, voce del Dictionary of National Biography,
supplemento, vol. II, 1901).
16 Wood lo riteneva un valido conoscitore dell’arte antica, come si poteva evincere dalla sua collezione (Wood 1753).
17 Dictionary 1901
18 “Robert Wood”, voce del Dictionary of National Biography, vol. LXII, 1900
19 Wood 1753
20 Idem
Forti di un gruppo di circa 200 persone, gli studiosi raggiungono Palmira il 14 marzo 1751 e vi
rimangono fino al 24 dello stesso mese per partire poi alla volta di Balbec, dove arrivano il 1° aprile
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del 1751 .
Per realizzare i disegni delle rovine (fig. 2) e poi trarne le incisioni (fig.3) per la pubblicazione,
Wood ingaggia il pittore, architetto e incisore italiano Giovanni Battista Borra; l’artista non si
doveva limitare alle vedute dei resti, ma doveva anche rilevare i dati relativi alle dimensioni delle
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rovine e tradurle in immagini esplicative . La spedizione era infatti fortemente incentrata
sull’analisi dei resti architettonici, dichiaratamente sulle orme di quanto già realizzato da Antoine
Babuty Desgodetz con Les edifices antiques de Rome dessinés et mesurés très exactement (Parigi,
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1682), le cui dettagliate tavole dei monumenti romani dovevano servire agli architetti francesi .
Nonostante l’elevato numero di persone, Wood e Dawkins non intrapresero alcuna operazione di
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scavo , limitandosi ad osservare quanto conservato in superficie, e forse per questo Wood riporta
dell’assenza di un luogo deputato al divertimento (teatro, anfiteatro o circo), benché ne avesse visti
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almeno una ventina in Asia Minore .
Fig. 2: G.B. Borra, Disegno per la tavola XXVI, marzo 1751
21 Idem
22 Dictionary 1900
23 Wood 1753
24 Gli scavi di Palmira cominciarono all’inizio del XX secolo.
25 La città era effettivamente provvista di un teatro, che si trovava vicino al Grande Colonnato, l’arteria principale di
Palmira (Enciclopedia 1963).
Fig. 3: G.B. Borra, Tavola XXVI. Veduta dell’arco trionfale da eEst
Il risultato dell’impresa è The Ruins of Palmyra, otherwise Tedmor in the Desart, uscito a Londra
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nel 1753 , più volte ristampato nel corso dell’‘800 e del ‘900 e tradotto in diverse lingue.
L’accoglienza riservata al libro fu varia: in Voyage pittoresque de la Syrie (1799) F. Cassas si
congratula con Wood per il suo lavoro, mentre per lo storico Edward Gibbon l’autore ha disatteso le
aspettative del pubblico come viaggiatore e come critico, ma descrizioni e disegni sono di ottima
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qualità .
Alle 57 tavole ad incisione, che si dividono tra mappe, vedute e rilievi tecnici di edifici o particolari
architettonici, Wood premette un saggio su Palmira, dove cerca di ricostruirne le origini e la storia –
basandosi tanto su fonti scritte, quanto sui resti e sulle iscrizioni epigrafiche -, uno dedicato alle
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iscrizioni , con il quale intende anche correggere gli errori di trascrizione presenti nella
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pubblicazione di Halley del 1695, ed uno riguardante il viaggio attraverso il deserto . Oltre alle
30
i