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A causa dello scarso rendimento nonché di problemi economici del
padre, non completò gli studi, ma entrò sin da piccolo a far parte
del mondo del lavoro. Nel 1869 venne raccomandato ad una casa
d’arte, la Groupil & CO., a l’Aja, che si occupava della vendita di
riproduzioni di opere d’arte, successivamente lavorò anche in altre
filiali a Bruxelles e a Londra. Il soggiorno a Londra lo portò ad
innamorarsi di una ragazza che , essendo già fidanzata, dovette
rifiutarlo provocando in lui una profonda depressione che lo portò
a richiedere il trasferimento a l’Aja.
Figlio di un pastore protestante, Vincent, era molto sensibile nei
confronti delle vite più difficili delle sue, per questo tentò di
intraprendere la strada di suo padre, senza però riuscirci. Venne
infatti respinto agli esami di ammissione della facoltà di teologia ,
e dopo aver frequentato un corso di evangelizzazione non venne
riconosciuto idoneo a svolgere la professione di predicatore.
Nonostante tutto, egli non abbandonò mai la sua vena artistica, infatti ,
trasferitosi a Bruxelles , si iscrisse all’Accademia di Belle Arti , con l’intento di
migliorare la sua tecnica.
Tornato al suo paese, si innamorò di sua cugina, riscontrando un altro rifiuto
che lo portò a scontrarsi con la sua famiglia che oltretutto era contraria al suo
allontanamento dalla religione, per poi incontrare, traferitosi a l’Aja, una
prostituta madre di un bambino ed incinta di un altro , che gli fece da
modella.
Entrambi andarono a vivere insieme, con l’intenzione da parte di Vincent di
sposarla per cercare di salvarla dalla brutta situazione in cui viveva.
Ovviamente neanche questa storia funzionò, egli tornò a vivere con i genitori
che erano sempre più preoccupati della sua salute psichica.
Nel 1885 si trasferì ad Anversa, frequentando assiduamente le chiese e i
musei della città dove scoprì le stampe giapponesi e ammirò il colorismo di
Rubens. La svolta parigina
Nel 1886 si tasferì a Parigi, dove frequentò dei corsi di pittura presso
l’atelier del pittore Cormon conoscendo Toulouse-Lautrec ed Emile
Bernard.
Grazie al fratello Theo, che gestiva una galleria nella quale
esponevano alcuni Impressionisti, entrò in contatto con Monet, Degas,
Renoir, Seurat, Signac e Guguin.
Questo suo contatto con l’impressionismo lo spinse ad abbandonare i
colori scuri e i temi sociali della sua prima pittura per iniziare ad
occuparsi di paesaggi e nature morte .
Nacque una nuova tavolozza chiara, accesa da contrasti tra i colori
complementari , modulata sulla luce del mattino e ispirata a un
divisionismo non scientifico.
Nello stesso momento mise a punto la pennellata allungata e scissa.
La prospettiva venne appiattita , ispirandosi alle stampe giapponesi
che tanto lo affascinavano, dalle quali l’artista apprese anche la tecnica
grafica del disegno a ‘punto e tratto’.
Tuttavia egli non aderì mai a quella scuola, perché egli intese sempre
esprimere solo quello che aveva «dentro la mente e il cuore».
La fuga ad Arles
Nel 1888 si trasferì ad Arles , nella famosa “casa Gialla”
rappresentata in una delle sue opere.
Sognava di potervi stabilire una comunità di artisti con gli stessi
ideali.
Durante questo periodo sperimentò tecniche diverse: metteva in
risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo
sfondo a strati per creare una struttura a traliccio, oppure ondulava
i contorni per accentuare la struttura delle forme, o punteggiava
con brevi pennellate fino a spremere il colore dal tubetto
direttamente sulla tela.
Iniziò un periodo di convivenza con Gauguin durato due mesi
pieni di litigi e di scontri dovuti alle diverse visioni sullo scopo e
sui metodi dell’arte, tematiche discusse in modi tutt’altro che
ragionevoli; Van Gogh, infatti arrivò a minacciare Gauguin con un
coltello, lo stesso con cui poi si tagliò un orecchio.
Nel 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò
volontariamente nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un
vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico.
A settembre, due suoi dipinti, la Notte stellata e le Piante di iris,
erano state esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi.
Dopo essere stato dichiarato guarito ritornò a Parigi per poi
stabilirsi in un villaggio a 30 chilometri, dove trovò un tutore e un
amico che lo sostenne, il medico Gachet.
Morì il 29 luglio del 1890, forse incapace di dominare l’agitazione
per questi primi successi, si uccise con un colpo di pistola.
Le opere
Vincent Van Gogh iniziò a dipingere all’età di 30 anni, prima di allora la
sua produzione artistica era limitata a disegni ed acquerelli ispirandosi
molto al “genere contadino”, data la sua stima e sensibilità nei confronti
dei lavoratori.
Nonostante la sua maggiore produzione artistica sia limitata a 7 anni
della sua vita, contiamo ben 864 tele e più di mille disegni.
I mangiatori di patate (1885)
Questo quadro, dipinto nel 1885,
rappresenta il punto di arrivo
della prima fase pittorica di
Van Gogh.
È il periodo che coincide con la
sua vocazione religiosa. Sono
molto evidenti le influenze della
pittura fiamminga del Seicento,
sia per la scelta di rappresentare
la scena in un interno, sia per la
luce debole che illumina solo
parzialmente la stanza e il
gruppo di persone sedute intorno
al tavolo.
Una scena molto ricca di dettagli.
L'azione si svolge in un ambiente angusto, misero e disadorno, dove nella
penombra si intravvedono appena pochi semplici oggetti d'uso comune; in questa
casa un gruppo di contadini sta consumando un misero pasto a base di patate.
Sono cinque persone con pose ed espressioni serie e composte che
esprimono una dignità che li riscatta dalla condizione di miseria in cui
vivono, poiché stanno consumando i cibi che essi stessi hanno ottenuto
coltivando la terra.
La serietà con cui stanno consumando il pasto dà una nota quasi religiosa
alla scena.
È un rito, che essi stanno svolgendo, che attinge ai più profondi valori
umani.
I valori del lavoro, della famiglia, delle cose semplici ma vere.
Nel quadro predominano i colori scuri e brunastri, con pennellate gialle e
bianco-azzurrine al fine di rappresentare i riflessi della poca luce che rende
possibile la visione.
Da notare l’alone biancastro che avvolge la figura della ragazzina di spalle
e che crea un suggestivo effetto di controluce.
Le mani dei personaggi sono grandi e sgraziate, gli sguardi inquieti, i volti
irregolari, colti di scorcio, resi con pennellate mosse e tratti tormentati
animati da un marcato gioco chiaroscurale che accende l'espressività delle
fisionomie di un tocco quasi grottesco.
Autoritratto (1887)
Van Gogh, durante la sua vita, dipinse molti autoritratti: tra il 1886 e il 1889
rappresentò se stesso ben 37 volte.
In tutte queste opere, lo sguardo del pittore è
raramente diretto verso l‘ osservatore,
anche quando lo sguardo è fisso,
sembra guardare altrove.
Per Van Gogh l'autoritratto appare quasi
come una necessità, l'unico mezzo per uscire
da una solitudine esistenziale senza scampo,
rispecchiandosi in sé per cercare da fuori le
ragioni della propria sofferenza:
l'autoritratto è la messa in scena del suo dramma
umano, il tentativo di un'autoanalisi attraverso
tratteggi, forme, volumi, colori, il tentativo di giungere
alla sintesi perfetta tra raffigurazione fisica e sentimento
interiore, tra ciò che lo spettatore vede e ciò che l'artista sente.
Van Gogh dipinge tanto spesso se stesso perché considera la sua
persona non laterale, ma centrale rispetto alla propria pittura.
Perciò ogni passo della sua evoluzione artistica è sottolineato da
almeno un autoritratto. Si nota con grande risalto l'influenza del
Pointillisme.
Il colore, steso a pennellate distinte in piccole aree vicine una
all'altra, in una profusione di cromatismi vivaci e contrastanti,
audacemente accostati, conferisce allo spazio attorno all'immagine
dinamismo e vitalità, segni di un interiore stato psichico, mentre la
figura, costruita con tratti decisi e forti, con inserti di colore puro, è
l'immagine vibrante di energia di un animo percorso dalle passioni
ed in continuo conflitto con se stesso.
La camera da letto di Arles (1888)
Rappresenta la camera da letto della casa Gialla con cui poi andrà a
vivere con Gauguin. Il suo intento era di voler rappresentare la sua
stanza come la sua oasi di pace, quattro mura capaci di accudire la sua
intimità, un luogo calmo, silenzioso e positivo.
Per far ciò utilizza dei colori
luminosi e chiari; organizza una
minuziosa messa in scena con
dettagli accurati.
L'insieme molto spontaneo ma
al tempo stesso sapientemente
orchestrato , contrastano con
la voluta trasgressione alle
regole della prospettiva,
eseguita al fine di
rappresentare una totale
libertà mentale priva di costrizioni.
Da qui ne deriva un effetto ad imbuto che risucchia lo spazio
verso il fondo evidenziando il primo piano costituito dalla
spalliera del letto, del tutto sproporzionata.
Questo fa si che il quadro, contrariamente a quanto desiderato,
si identifichi con l'interiorità psicologica dell'artista realizzando
invece un quadro che urla il suo disagio, il suo doloroso
confronto con una realtà che lo rifiuta, e che egli rifiuta.
Il giallo solare e l'azzurro-violetto delicato e luminoso non
riescono a rallegrare l’ ambiente ;
lo sguardo dell'osservatore è convogliato verso una finestra con
le persiane chiuse, da cui nulla trapela della realtà esterna .
Girasoli ( 1888/1889)
Nella serie dei Girasoli, l’artista adotta in modo consapevole la tecnica a
“cellette”, apprezzabile soprattutto nei vasi e sui fondi, ripresa dalle vetrate
delle chiese. Lo stesso soggetto dei girasoli indica che l’uomo come quel
fiore, non può avere altra certezza che il
rivolgersi costantemente verso Dio.
Nella letteratura olandese il girasole
simboleggia spesso devozione e lealtà,
inoltre i vari stadi di decadimento
potevano simboleggiare i cicli di vita e
morte. C’è un netto contrasto tra la
piattezza del fondo e del vaso e i fiori che
invece sembrano contorcersi in tutte le
direzioni . Questo è dovuto a un approccio
scultoreo alla pittura, Van Gogh, infatti