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La Young sostiene che lo stato assistenziale abbia il difetto di spoliticizzare i processi
di elaborazione delle politiche pubbliche. Infatti, sempre secondo il parere
dell'autrice, lo stato assistenziale definirebbe la politica come competenza esclusiva
degli specialisti e affiderebbe la contrattazione per la distribuzione di benefici sociali
a gruppi d'interesse. Il paradigma distributivo sarebbe il riflesso di tale vita pubblica
spoliticizzata in quanto non in grado di garantire la democraticità in questioni
inerenti ad esempio il potere decisionale, componente invece fondamentale della
giustizia sociale.
In una società, per essere giusta, devono essere presenti le condizioni istituzionali per
la realizzazione di due valori: lo sviluppo e l'esercizio delle proprie capacità e
l'espressione della propria esistenza; la partecipazione alla determinazione del
proprio agire e delle condizioni per farlo.
Sintomo di ingiustizia è invece l'oppressione, la mancanza di opportunità di
apprendimento, di capacità di interazione e comunicazione, e non solo di godimento
di beni materiali. Nonché la presenza di dominio tale da negare alle persone la
partecipazione alla determinazione del loro agire. Per questo le persone identificate
con la corporeità e il sentimento (donne, neri, ecc.) sono esclusi dalla cittadinanza e
dalla vita pubblica e secondo l'autrice questo è il modo in cui la teoria liberale
costruisce l'ideale universalistico e dell'imparzialità. Al contrario, un gruppo
democratico e inclusivo dovrebbe includere le differenze, non eliminarle, e
affermarle come valori. Solo in questo modo, secondo la Young, si possono eliminare
le graduatorie dei corpi che si riflettono nel sessismo, nell'omofobia, ecc..
Quella della Young è una concezione della giustizia come “abilitazione”,
caratterizzata dall'idea di una società democratica in cui il cittadino non è semplice
consumatore, preoccupato solo della soddisfazione materiale dei propri bisogni, bensì
parte di un “pubblico politicizzato” che prende le decisioni ascoltando le ragioni di
tutti.
5) Quale ruolo ha la democrazia nella visione di Young? A quale modello
democratico fa riferimento?
Secondo l'autrice la democraticità è elemento fondamentale della giustizia sociale.
Sostiene che lo stato assistenziale abbia il difetto di spoliticizzare i processi di
elaborazione delle politiche pubbliche. Infatti, sempre secondo il parere dell'autrice,
lo stato assistenziale definirebbe la politica come competenza esclusiva degli
specialisti e affiderebbe la contrattazione per la distribuzione di benefici sociali a
gruppi d'interesse. Il paradigma distributivo sarebbe il riflesso di tale vita pubblica
spoliticizzata in quanto non in grado di garantire la democraticità in questioni
inerenti ad esempio il potere decisionale.
Quella della Young è una concezione della giustizia come “abilitazione”,
caratterizzata dall'idea di una società democratica in cui il cittadino non è semplice
consumatore, preoccupato solo della soddisfazione materiale dei propri bisogni, bensì
parte di un “pubblico politicizzato” che prende le decisioni ascoltando le ragioni di
tutti. In una società, per essere giusta, devono essere presenti le condizioni
istituzionali per la realizzazione di due valori: lo sviluppo e l'esercizio delle proprie
capacità e l'espressione della propria esistenza; la partecipazione alla determinazione
del proprio agire e delle condizioni per farlo.
Sintomo di ingiustizia è invece l'oppressione, la mancanza di opportunità di
apprendimento, di capacità di interazione e comunicazione, e non solo di godimento
di beni materiali. Nonché la presenza di dominio tale da negare alle persone la
partecipazione alla determinazione del loro agire. Per questo le persone identificate
con la corporeità e il sentimento (donne, neri, ecc.) sono esclusi dalla cittadinanza e
dalla vita pubblica e secondo l'autrice questo è il modo in cui la teoria liberale
costruisce l'ideale universalistico e dell'imparzialità. Quest'ultimo presuppone dei
punti di vista distaccati che cancellano la differenza tra i soggetti, annullando la loro
corporeità, la loro emotività e porta all'esclusione sociale di quei gruppi che non
rientrano nel modello di cittadino razionale capace di trascendere il corpo e il
sentimento. Così facendo si eliminerebbero dalla discussione pubblica gli aspetti
controversi delle persone che si relegherebbero nella sfera privata. Al contrario, un
gruppo democratico e inclusivo dovrebbe includere le differenze, non eliminarle, e
affermarle come valori.
Quello della Young è un modello di democrazia deliberativa in cui i gruppi oppressi
dovrebbero avere le stesse opportunità di far sentire la propria voci degli altri gruppi
sociali. Un possibile rimedio potrebbe essere una rappresentanza differenziata dei
diversi gruppi e addirittura un potere di veto su determinate politiche pubbliche da
parte dei gruppi destinatari.
6) Perché i diritti e il rispetto non possono essere trattati come beni?
Le critiche principali che la Young fa al paradigma distributivo sono due. La prima è
che tende ad ignorare il contesto istituzionale che determina la distribuzione dei beni
materiali. La seconda riguarda il fatto che quando viene esteso ai beni non materiali
dà di questi una rappresentazione errata. Secondo la Young la giustizia sociale non
può essere ricondotta alla giustizia distributiva poiché si rischia di creare una
confusione concettuale. Infatti la logica distributiva tratta i beni non materiali, come i
diritti, il rispetto di sè, le opportunità, l'onore e il potere, come oggetti che si
posseggono, definibili e distribuiti tra gli individui secondo uno schema ben preciso e
statico. Certo è che, ad esempio, le misure distributive costituiscono le condizioni
preliminari per il rispetto di sé, tuttavia comporta anche molte condizioni non
materiali, come il modo in cui una persona si definisce o viene considerata dagli altri,
che non si possono piegare a soluzioni distributive. Lo stesso vale per il potere, inteso
erroneamente dalla logica distributiva come una merce posseduta in quantità
maggiore o minore dai soggetti, il cui esercizio dipenderà dal possesso di determinate
risorse. La Young concepisce invece tali beni non materiali come rapporti, regole che
definiscono il comportamento delle persone e i loro rapporti sociali.
7) Come definisce la propria teoria della giustizia la Young e perché?
La Young definisce la sua teoria “critica”, intendendo una riflessione storicamente e
socialmente contestualizzata. Sostiene che sia necessario partire da situazioni
storicamente specifiche per formulare una riflessione normativa. Il contesto sociale, e
nello specifico la descrizione e l'interpretazione di situazioni di ordine sociale e
politico, è il punto di partenza per la costruzione di un sistema normativo universale.
Il presupposto della teoria critica è che gli ideali normativi che vengono utilizzati per
analizzare criticamente una società devono essere radicati nell'esperienza e nella
riflessione di quella stessa città. Questo è importante perché avere un interesse
pratico, un sentimento nei confronti di ciò che si sta perseguendo, garantirà una
maggiore probabilità di riuscita.
La sua non è una teoria della giustizia astratta, applicabile a tutte le società
indipendentemente dalle caratteristiche di ognuna e dalle relazione sociali al loro
interno. Per servire come misura di giustizia e ingiustizia deve in qualche modo
contenere qualche assunto sostantivo sulla realtà sociale concreta. Una teoria della
giustizia per essere universale, totale e necessaria deve fondere insieme riflessione
morale e conoscenza scientifica, fondata non sull'osservazione, in quanto
l'osservatore è imparziale e distaccato, ma sull'ascolto delle voci interne alla società.
La Young si riferisce all'ascolto diretto delle rivendicazioni dei movimenti, come
quelli dei neri, degli omosessuali, delle femministe ecc., che hanno denunciato
l'esistenza di profonde ingiustizie presenti negli Stati Uniti a partire dagli anni '70.
La Young adotta una teoria della giustizia fondata sui concetti di dominio e
oppressione anziché su quello di distribuzione. Con tale teoria l'autrice vuole porre
l'attenzione alla realtà dei gruppi sociali e alle differenze che li caratterizzano
piuttosto che sull'individuo, come invece fa la teoria distributiva. Questo perché la
nostra identità si definisce in relazione al modo in cui gli altri ci identificano e tale
identificazione dipende dall'appartenenza a determinati gruppi e non ad altri e ai
relativi stereotipi, attributi e norme.
La sua teoria critica quindi la logica distributiva in quanto in quanto l'importanza da
loro attribuita alla sola distribuzione di eguali diritti ed opportunità non garantirebbe
soluzioni per una maggiore giustizia sociale. Una società giusta, secondo l'autrice,
deve mettere tutti nella posizione di poter esprimere e soddisfare i propri bisogni e di
esercitare la propria libertà.
Inoltre critica tale approccio poiché tratta i beni non materiali, come i diritti e il
rispetto, come oggetti che si posseggono, definibili e distribuiti tra gli individui
secondo uno schema ben preciso e statico. La Young invece concepisce tali beni non
materiali come rapporti, regole che definiscono il comportamento delle persone e i
loro rapporti sociali.
In una società, per essere giusta, devono essere presenti le condizioni istituzionali per
la realizzazione di due valori: lo sviluppo e l'esercizio delle proprie capacità e
l'espressione della propria esistenza; la partecipazione alla determinazione del
proprio agire e delle condizioni per farlo.
Sintomo di ingiustizia è invece l'oppressione, la mancanza di opportunità di
apprendimento, di capacità di interazione e comunicazione, e non solo di godimento
di beni materiali. Nonché la presenza di dominio tale da negare alle persone la
partecipazione alla determinazione del loro agire.
Quella della Young è una concezione della giustizia come “abilitazione”,
caratterizzata dall'idea di una società democratica in cui il cittadino non è semplice
consumatore, preoccupato solo della soddisfazione materiale dei propri bisogni, bensì
parte di un “pubblico politicizzato” che prende le decisioni ascoltando le ragioni di
tutti.
Questa sua concezione ampia della giustizia coincide con la politica stessa, ma con
que